mercoledì 5 dicembre 2012

Rebetiko: quella musica popolare che resiste alla crisi

QUELLA MUSICA POPOLARE CHE RESISTE ALLA CRISI
 Cosa te ne fai della musica quando non hai più niente, nemmeno la speranza? In Grecia, per esempio. L' economia è al collasso, le manifestazioni di protesta sono così frequenti da non fare più notizia, i medici restano senza stipendio,i malati senza medicine, più della metà dei giovani (il 55% secondo gli ultimi dati Eurostat) non ha lavoro. Per disperazione, molti si rifugiano nell' eroina.
Ma c' è chi, come Teodora, trentenne minuta con un visetto da elfo, appollaiata sullo sgabello di una taverna, ad Atene, rivela che ha trovato il modo di reagire al terrore che la paralizzava proprio nella musica. Canta rebetiko, la musica popolare greca nata negli anni Venti tra i profughi da Smirne, figlia di una crisi diversa ma non meno drammatica della presente, fiorita tra porti, emarginati, fuorilegge, fumatori di hashish e oppio, capace di raccontare dolore, rabbia, e soprattutto l' assenza, in greco delkas, «sentimento della mancanza». La voce di Teodora vibra struggente sulle note parapognalikos - aspre, dolorose - del rebetiko, e riempie la saletta di montaggio al Pigneto di Roma dove Vinicio Capossela e il regista Andrea Segre (autore di documentari e del bellissimo Io sono Li: uno degli sguardi più originali in circolazione) sono imbarcati nel montaggio di un documentario frutto venti giorni di riprese concentrate tra Atene e Salonicco, nei giorni caldi dopo le elezioni suppletive, titolo provvisorio: Rebetika Krysis. «Questa musica, come il tango, è un repertorio biologico, fa parte della sensibilità con cui si legge la realtà», spiega Segre. Come il cinema di Pino Solanas ha affrontato i fantasmi della dittatura argentina e dell' esilio attraverso il tango, così il rebetiko diventa il filtro narrativo per guardare la Grecia di oggi. Il rebetiko è un' arte intima, estranea alla logica dell' esibizione: non c' è un cantante e un pubblico, piuttosto condivisione. «Come un' eucaristia», ripete Vinicio. Come il tango, però, esprime una ribellione esistenziale che assume valenza politica: per questo fu messo fuori legge sotto la dittatura Metaxas nel 1936 (la storia è raccontata nel graphic novel di David Proudhomme, Rebetiko. La mala erba) e poi dai Colonnelli, dopo la stagione d' oro degli anni Sessanta, con interpreti come Vamvakaris e Papaioannis. «I Clash cantavano Straight to hell, il rebetiko è "straight to the true"», spiega uno dei musicisti che si «confessano» davanti alla telecamera tra una canzone e l' altra. L' etica del mangas (cioè chi canta rebetiko) è dire la verità, senza filtri, in un mondo di bugiardi. Dirompente, in un paese governato ancora dai politici che hanno falsificato i bilanci statali, dove il giornalista Vaxevanis finisce in carcere per aver pubblicato la lista dei grandi evasori fiscali. Sbirciando le immagini in anteprima, scopro che Teodora non è l' unica. Sono sempre di più i ragazzi che «si mormorano» il rebetiko (nella forma più antica si chiamava proprio mormourika, mormorio): «Per non sentirti solo rispetto alla sofferenza che vivi oggi» spiegano due ragazze intervistate. «Perché mi parla della vita che non ho ancora vissuto!» replica grintoso il quindicenne Stavrosa Capossela, stupito di trovarselo a un seminario per rebetes. «I "taverno-punk" suonano questa musica di ottant' anni fa invece dei Sex Pistols - spiega - perché è onesta. Non ha paura del dolore, lo affronta». E gli dà sfogo, almeno a giudicare dai pavimenti coperti di cocci al termine di una performance su cui indugia la camera di Luca Bigazzi, direttore della fotografia. Visi lisci accanto alle facce scolpite di vecchi coi baffoni e i capelli bianchi, insieme nella luce calda delle taverne, i muri tappezzati di vecchie foto, ritratti dei grandi rebetes degli anni ' 30, ' 50 e ' 60. Vegliano su di loro come numi tutelari: «Quando non ci son più santi a proteggerti - ride Vinicio - almeno loro ti accompagnano». Loro, e il repertorio tradizionale. «Il rebetiko non ha un' evoluzione: è il suo limite ma anche la sua forma di eternità. La sua verità umana trascende il tempo edè continuamente attuale. Come il mito». Al montaggio vogliono giocare con l' intreccio tra queste parole antiche e le scritte sui muri di oggi (indimenticabile un «C' è gente così povera che tutto quello che ha sono i soldi»). Guardo le immagini del porto del Pireo immerso nella bruma bianca dell' afa, i casermoni di cemento del sacco edilizio che assediano chiesette ortodosse del XIII secolo, il ragazzo che improvvisa un concerto al mercato, e mi rendo conto che di Grecia si parla ossessivamente da mesi, ma il paese vivo, reale, non ce lo mostrano mai. «È uno spettro che fa troppa paura» commenta Segre «perché ci vediamo molto di noi, quello che ci aspetta: il dolore e le contraddizioni sono solo più evidenti. È lo specchio della crisi d' identità dell' uomo occidentale: senza denaro perde anche il senso della propria identità, che ormai da decenni è basata sul consumo e il possesso». È proprio in questo crollo che l' arte e la musica si rivelano una risorsa. «Il rebetiko riaffiora oggi come "un giacimento di senso"» sintetizza Segre. Alla sua ricerca, Vinicio Capossela si aggira nella notte tra le case-fantasma del centro storico di Atene, incarnazione del flâneur, il viandante di Benjamin. Brandisce come bacchetta da rabdomante un piccolo strumento. «È un baglamas - spiega - il "riassunto" del bouzouki da nascondere e contrabbandare in carcere. Me lo sono guadagnato sul campo». Manolis Pappos, massiccio e ironico artista del bouzouki (lo strumento tricorde tradizionale), che accompagna i vagabondaggi di Capossela nel film e nella tournée dell' ultimo album, Rebetiko Gymnastas, azzarda un pronostico: «I rebetes sparirono con la condizione sociale che li aveva generati, ma la situazione di crisi attuale potrebbe farne nascere di nuovi». Parole che si saldano con le immagini dell' aedo Psaradonische che suona la lira all' alba, tra le greggi, sulla vetta del monte Psiloritis a Creta (dove, narra il mito, Zeus si nascose dalla furia omicida del padre), punto conclusivo delle riprese e forse del film, quasi un archetipo del vecchio saggio. Musica primordiale che si mescola al vento, all' acqua, alla terra, immagine della dignità dell' uomo. BENEDETTA TOBAGI - Repubblica 1 dic 2012