martedì 11 ottobre 2011

Interessantissimi questi due articoli su cosa succede in america e in Cina. Mentre in Italia la nostra leadershit politica discute su leggi bavaglio, escort, lavitolate, il resto del mondo si muove, nel bene e nel male.
Interessante la considerazione di rampini sulla "classe media" americana, che di solito si presume guadagni dai 60.000 ai 120.000 dollari l'anno...
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FAR WEST
INDUSTRIA DELL’AUTO L’OUTSOURCING NON TIRA PIU';
FEDERICO RAMPINI
repubblica affari e finanza, 10 ottobre 2001

Per la prossima generazione di Ford Fusion la produzione si sposterà nello stabilimento di Flat Rock, Michigan: finora quelle auto venivano assemblate solo in Messico. Un'altra fabbrica Ford, nel Kentucky, sfornerà i veicoli commerciali che finora venivano prodotti in Turchia. La Ford ha deciso di rimpatriare sul territorio Usa la produzione di una scatola del cambio che comprava da un fornitore giapponese, e di una pompa d’iniezione del carburatore made in China.
Miracolo? Si scorgono i segnali di un’inversione di tendenza: dopo un paio di decenni di delocalizzazioni, l’industria automobilistica americana sta cambiando direzione di marcia. La rilocalizzazione negli Usa non riguarda solo Ford. La sua principale concorrente, General Motors, ha fatto un passo ancora più audace, decidendo di fabbricare nel suo stabilimento di Lake Orion (Michigan) addirittura la Chevy Sonic, praticamente un’utilitaria per gli standard del mercato americano. Finora si pensava che le fabbriche americane non sarebbero mai state competitive per le vetture così piccole. Quello che sta accadendo nell’industria automobilistica non è un caso isolato. S’inserisce in una strategia che l’Amministrazione Obama ha perseguito con tenacia: rilanciare la vocazione manifatturiera degli Stati Uniti, anche con l’aiuto di sgravi fiscali mirati. Certo non nuoce il fatto che dalla crisi del 2008 in poi il dollaro sia stato piuttosto debole, se misurato in confronto al paniere di valute dei principali partner commerciali: l’evoluzione della parità di cambio ha contribuito a un recupero di competitività. Ma la spiegazione principale sta altrove. E’ nelle concessioni sostanziali che l’industria ha negoziato con i sindacati. All’inizio queste concessioni furono una conseguenza della grande crisi del 20082009 che portò alla bancarotta di Gm e Chrysler (ma non Ford). Per salvare il salvabile, in termini di occupazione, il sindacato metalmeccanici Uaw ratificò un doppio regime salariale, coi nuovi assunti a metà paga. Ora però quel sistema diventa permanente. E’ il risultato dei nuovi accordi firmati alla Gm e alla Ford per il contratto collettivo di lavoro. Ecco un esempio di come funzionano. La Ford paga 100.000 dollari di buonuscita (Gm un po’ meno: 75.000) per ogni colletto blu della vecchia "aristocrazia operaia" che accetta di andarsene. Questi sono dipendenti che ricevevano un salario di 28 dollari l’ora, più un’assicurazione sanitaria e un contributo al fondo pensione aziendale assai generosi. I nuovi assunti – 12.000 alla sola Ford da qui al 2015 – devono accontentarsi invece di un salario di 19 dollari all’ora. E’ meglio delle condizioni negoziate nel 2008, quando i salari d’ingresso erano addirittura a 14 dollari, ma è pur sempre un arretramento sostanziale. Non basta a compensarlo né il "premio antiinflazione" tra i 6.000 (Ford) e gli 8.000 dollari (Gm), né la compartecipazione agli utili che quest’anno varrà 3.700 dollari per il dipendente medio della Ford. Se questa è la condizione per frenare le delocalizzazioni, si capisce perché il concetto stesso di una middle class americana si stia svuotando di significato.

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FAR EAST
SILICON VALLEY D’ORIENTE I CERVELLI ORA RIENTRANO
GIAMPAOLO VISETTI
repubblica affari e finanza, 10 ottobre 2001

L’economista Li Daokui è stato nominato vicedirettore della «Silicon Valley» cinese. Formato ad Harvard, già ricercatore e docente nel Michigan, a Stanford e a Hong Kong, il professor Li è il simbolo del piano di Pechino per riportare i talenti in patria. Avrà il compito di stilare un programma, completo di previsioni di spesa, che nel giro di dieci anni sia in grado di attrarre verso lo Zhongguancun Science and Technology Park, alle porte della capitale, i migliori studenti laureati all’estero. La Cina ha aperto le sue porte alla fine degli anni 70: da allora oltre due milioni di universitari cinesi sono emigrati negli Stati Uniti, in Canada, Gran Bretagna, Australia. Negli ultimi anni il flusso si è allargato ai migliori atenei di Germania, Francia, India e Brasile. Fino ad oggi solo il 2,7% di essi, terminati gli studi, sceglie di tornare a lavorare in quella che nel frattempo è diventata la seconda potenza economica. La Cina non può più permettersi di restare una fabbrica low cost, punta a dominare il mercato dell’hitech e a guidare la modernizzazione globale. Il piano di sviluppo dei talenti, appena approvato, riconosce la leadership degli studiosi formati in Occidente, li definisce «una risorsa di vitale importanza» e avvicina al 2% del Pil i fondi per la ricerca fino al 2020. Nessun istituto di ricerca al mondo mette a disposizione dei laureati finanziamenti e laboratori alla pari di quelli cinesi. Entro 5 anni la «Silicon Valley» di Pechino intende alzare al 35% la percentuale di rientro degli studenti di maggior talento, al 12% quella dei ricercatori di primo livello. Istruzione e ricerca in Oriente sono le priorità. Cina, India, Corea del Sud e Vietnam seguono l’esempio del Giappone, che trent’anni fa fondò il boom industriale sui primati della scienza. Europa e Usa sono scossi dalla crisi, tagliano i fondi a formazione e ricerca, e Pechino s’è accorta del vuoto da colmare. Li Daokui non può esibire un background di eccellenza nell’alta tecnologia. E’ una star dell’economia e il governo cinese punta sulla sua credibilità per trasformare gli investimenti nello studio in business. Gli esperti della Tsinghua University di Pechino, fucina della classe dirigente, sono convinti che la chiave del successo consista nell’assegnare un alto ruolo sociale, e compensi stimolanti, a chi la proietta nel futuro. Nelle ultime settimane accademici di punta sono stati coinvolti in cariche politiche da sempre riservate ai funzionari di partito. Wu Weihua, docente alla China Agricoltural University, è stato nominato direttore della commissione per lo sviluppo. Huang Wei, docente di ingegneria, è uno dei vicesindaci della capitale. I ricercatori in Occidente sono considerati eccentrici romantici e guadagnano meno di un idraulico. In Cina sono celebrità, giornali e televisioni li esaltano, mietono premi e la gente li ferma per strada. Il biologo Yuan Longping è uno di essi. Ha inventato il «superriso», capace di produrre 13,9 tonnellate di raccolto per ettaro rispetto ad una resa media mondiale di 4,3. Grazie ai finanziamenti pubblici ha studiato per dieci anni, fino a sviluppare un chicco che promette di cancellare la fame dal pianeta. Solo in Cina lo avrebbero sostenuto con tanto rispetto e con incrollabile ottimismo. E i risultati sono evidenti.