Ragionare fuori dall'ipotesi di Dio è una saggia norma metodologica. Che permette anche di apprezzare ciò che di buono c'è nella religione
Diagora di Melo, filosofo della seconda metà del V secolo, recatosi in un tempio di Samotracia, stava osservando gli ex voto che i marinai vi avevano depositato quando un amico gli chiese: «Tu, che pensi che gli dei non si occupino degli affari umani, non vedi da questi dipinti quanti sono numerosi coloro che sono sfuggiti al furore della tempesta e sono giunti in porto sani e salvi?». La replica fu: «Da nessuna parte sono dipinti tutti quelli che hanno fatto naufragio e sono morti in mare».
In questo episodio, narrato da Cicerone nel De natura deorum, Diagora, detto l'Ateo, nega la Provvidenza, ma non si pone il problema, marginale per i Greci, dell'esistenza o inesistenza di Dio, un tema che a lungo ha tormentato i Cristiani e generato prove o scommesse, da Tommaso ad Anselmo e da Pascal a Kant. Imposta però la questione, sinteticamente formulata da Epicureo, sulla presenza del male
nel mondo in rapporto all'intervento, effettivo o mancato, della divinità: «Se Dio vuole togliere i mali e non può, è impotente. Se può e non vuole è invidioso. Se non vuole e non può è invidioso e impotente. Se vuole e può, perché non li toglie?».
Giulio Giorello, pur professando un"ateismo metodologico", ossia non dottrinale, trova impossibile dimostrare l'esistenza o l'inesistenza di Dio. Dichiara di non essere semplicemente in grado di risolvere il dilemma. Se rifiuta di schierarsi sia con i teisti che con gli atei militanti, perché allora non si proclama agnostico? Ed ecco la risposta: «Essere agnostico non mi basta più. Preferisco dirmi ateo perché si rigeneri quello che Russell chiamava "liberalismo": la possibilità di confrontarsi - e di scontrarsi se è il caso - con le religioni della più variegata estrazione (compresi coloro che dell'ateismo fanno una religione)».
Ateismo e anticlericalismo, in quanto insieme di dogmi simmetrici al teismo, non coincidono affatto. Dinanzi ai teologi contemporanei che, inseguendo «consolazioni a buon mercato», cercano di rendere palatabile la fede attraverso confuse contaminazioni con il Big Bang o la biologia postdarwiniana, Giorello mostra anzi una spiccata simpatia per i "credenti onesti" che non rinunciano alla componente escatologica del cristianesimo, all'idea di una redenzione finale dal male e dall'ingiustizia, e si sforzano di comprendere il significato dell'uomo nell'universo.
Se non si può indire un referendum per stabilire l'esistenza o l'inesistenza di Dio, basta guardarsi attorno per riconoscere l'evidente esistenza del male fisico e morale e il diffuso atteggiamento di acquiescenza o di rassegnazione nei suoi confronti. Questo spinge molti a considerare la religione una sorta di polizza contro l'incertezza dell'esistenza e dell'eventuale vita dopo la morte e induce le chiese a predicare l'obbedienza all'impenetrabile volontà di Dio e a negare lo spirito critico. Con il Bertrand Russell del Perché non sono cristiano, Giorello non ritiene ragionevole il fatto che «una divinità onnipotente, innocente e benevola abbia preparato il mondo da nebulosa senza vita, in tanti milioni di anni, per ritenersi soddisfatta dell'apparizione finale di Hitler, di Stalin e della bomba H». Non vi è, di conseguenza, in lui una apologia del dolore come strumento di purificazione: «Per l'ateo che "protesti violentemente contro il male del mondo" la sofferenza non è edificante, la sopportazione è solo una sconfitta, la gioia con cui si accoglie il dolore difficilmente si distingue dal masochismo. L'ateo si ribella al male, si rifiuta di accettarlo, anzi osa combatterlo».
Quello che Giorello non accetta è l'intolleranza dei vari «eserciti della salvezza» con cui le chiese impongono i loro credo e conculcano la libertà e le preferenze non violente dei singoli in nome di qualche Dio geloso e di una verità di cui posseggono l'indiscutibile monopolio. L'ateo è chi non si piega alle imposizioni e ai ricatti in nome di una futura salvezza quale premio per la sottomissione. Di fronte ai dogmi, Giorello rivendica la libertà dei singoli di dirigere la propria vita senza riverenze per poteri autoproclamatisi superiori e intoccabili e la tolleranza. L'accusa di relativismo non lo tocca: «Relativismo non si oppone a verità. Ma ad assolutismo. Per di più, non è un tranquillo punto di arrivo, ma un inquieto punto di partenza». Giorello non appartiene a quel genere di atei descritti, con la consueta ironia, da Oscar Wilde come coloro che parlano soltanto di Dio. Il suo ateismo irriverente e libertario rivendica l'autonomia dell'individuo, il vivere senza padroni, divini o umani, dinanzi ai quali genuflettersi: «Un ateo insubordinato agisce piuttosto come nel Giappone classico agiva il ronin, ovvero il samurai rimasto senza padrone. Non va in cerca di una prova che Dio non c'è; anche se dovesse esistere il Signore del mondo, preferisce non mettersi al suo servizio, e a differenza dei guerrieri per cui aver perso il padrone costituiva un disonore, per lui ciò non sarebbe che l'occasione per dispiegare senza vergogna la propria autonomia».
La libertà «non è un'influenza contro la quale bisogna vaccinarsi, bensì la condizione di base per una vita che decidiamo di vivere, senza che nessuno venga a dettar legge alla nostra coscienza» e la tolleranza, a sua volta, conquistata in secoli di lotte sanguinose, è un termine da preferire al "rispetto", in quanto non si possono rispettare le assurdità di certe fedi. L'ateo lascia, tuttavia, che ogni concezione, anche religiosa, cresca e fiorisca, senza per questo esonerarla dalla critica e perfino dall'irrisione, secondo l'esempio della pungente satira intrecciata a • ragionamenti efficaci di Voltaire, che, nell'argomentare contro l'immortalità dell'anima, fa dire a uno dei suoi personaggi del Dizionario filosofico: «Forse il ronzio di quest'ape resterà, quando non ci sarà più l'ape?».
Malgrado sia stata rivolta a Giorello l'obiezione di confondere Dio con le religioni, il suo libro non invita soltanto a esercizi di perplessità, non si rivolge soltanto a uomini di buona volontà, ma anche di buon intelletto, disposti cioè a riflettere su problemi che meritano di essere lasciati a lievitare al di là del momento in cui vengono trattati. In tempi di atei devoti, di mercimonio di favori tra politica e religione, questo libro invita a pensare anche i "credenti". Già Ernst Bloch non diceva forse che «l'ateo è il miglior cristiano»?
di Remo Bodei, sole 24 ore, 7 novembre 2010
Giulio Giorello, «Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo», Longanesi, Milano, pagg. 230, €15,00.
per chi volesse vedere anceh una intervista: http://www.youtube.com/watch?v=vqWLsxLumBg