lunedì 26 aprile 2010

I PARTIGIANI


I PARTIGIANI
Sarebbe bello se per legge fosse obbligatorio ascoltarne uno
Mi chiamo Anita Malavasi e il mese di maggio compio 89 anni. Sono diventata partigiana dopo l'8 settembre 1943, a Reggio Emilia, facevo trasporto munizioni, stampa, vettovagliamento. Poi, in montagna, mi hanno insegnato le armi, come usarle e accudirle. Il mio nome di battaglia era Lalla. Lo presi da un romanzo su una ragazza che combatteva al posto del suo fidanzato ucciso».

Era una bella ragazza? «Sì, ma noi eravamo state educate severamente, anche nel modo di vestire. Però sfruttavamo la nostra bellezza. Quando, con le armi addosso, passavo al posto di blocco in bicicletta.mi mettevo la gonna stretta e fingevo di abbassarmela, loro, fessacchiotti, fischiavano e io passavo». Le è mai capitato di uccidere? «Certo». Che sensazione dà? «La donna è sempre donna. Ma nel momento del pericolo anche la donna accetta le regole della guerra. Non è facile.
Nata ed educata per dare la vita, in guerra la vita la togli. È importante capire che non siamo diventate combattenti per spirito d'avventura. Ci furono torture orrende. Nella mia formazione avevo una ragazza, Francesca, che era incinta, ma era lo stesso così magra che scappò dalla prigione passando tra le sbarre della finestrina del bagno. Per raggiungerci camminò scalza nella neve per 10 km. Quando il bambino nacque lo allattò solo da un seno perché il capezzolo dell'altro le era stato strappato a morsi da un fascista. Ho visto ragazze con le parti intime bruciate dai ferri da stiro».
Quanto contava l'amore? «Niente. L'importante era aiutare, lo ero anche fidanzata, lo lasciai quando mi disse che fare la partigiana mi avrebbe reso indegna di crescere i suoi figli. Era un mondo maschilista. Soltanto tra i partigiani la donna aveva diritti, era un compagno di lotta. Si dormiva insieme, per terra, nei boschi, ma se uno mancava di rispetto veniva punito. La Resistenza ci ha fatto capire che nella società potevamo occupare un posto diverso». Si è più sposata? «No. Però in montagna, avevo trovato un ragazzo... Lui sì, lo avrei sposato se non me lo avessero ucciso, aveva una mentalità aperta, ma uomini così non ne ho più trovati». Chi era? «Si chiamava Trolli Giambattista, nome di battaglia Fifa, anche se era coraggiosissimo. È morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944,
a 23 anni. L'ho saputo solo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e il corpo fu ritrovato. È sepolto al cimitero di San Bartolomeo. Gli porto ancora i fiori... Dev'essere stato importante per me, se mentre ne parlo lo rivedo davanti. L'unico nostro bacio è stato d'addio».
Vuole dire qualcosa alle donne di oggi? «I diritti paritari garantiti dalla Costituzione non sono stati un regalo, ma un riconoscimento per ciò che le donne hanno fatto nella guerra di Liberazione. Difendere la Costituzione significa difendere la possibilità di garantire un futuro di libertà e democrazia ai figli delle donne». Ci sono generazioni che hanno fatto (l'Italia, la grande guerra, la resistenza, il sessantotto). Altre che hanno visto (Genova, l'11 settembre, l'Iraq). Poco prima di essere ucciso a 27 anni nella guerra di Spagna, Alistair Noon, poeta inglese omosessuale e comunista, scrisse: «Caro Robert, so bene che combatto per qualcosa che non durerà. Nessun futuro è per sempre. Combatto per avere un passato, perché un po' della mia vita riposi intatta nell'accaduto». Oggi l'Anpi, l'Associazione nazionali partigiani - che ha reso possibile l'intervista a Laila - conta 105mila iscritti (ma dal 2006 si accettano anche i non partigiani). Nel 2000, dieci anni fa, i partigiani viventi erano 29mila. Oggi sono 10-12mila. Sarebbe bello se, per legge, ognuno fosse obbligato ad ascoltarne uno. Domani è il 25 aprile.
24 APRILE 2010