Nell'unico Paese occidentale dove il Grande fratello continua a fare record d'ascolti, quello dove si legge meno, dove ci si laurea di meno, dove l'intelligenza scappa all'estero, si continuano a fare tagli sull'istruzione e la ricerca.
Decine di migliaia di maestre e professori precari lasciati a casa, facoltà universitarie cancellate dall'oggi al domani, miliardi sottratti alla formazione dei nostri ragazzi, ma non ai corrotti, ai ladri, agli evasori.
Pare che l'unico sistema per contenere la spesa pubblica in Italia siano i tagli alla scuola pubblica. Soltanto alla scuola pubblica, s'intende, perché su quelle private, cattoliche in particolare, continuano a piovere danari statali, fregandosene della Costituzione. Se si tratta di una «scelta obbligata dalla crisi», come sostiene il ministro Giulio Tremonti, rimane da capire perché è obbligata soltanto da noi. Francia, Germania e Gran Bretagna non stanno togliendo fondi all'istruzione, anzi, in qualche caso li aumentano. La ragione è piuttosto ovvia. L'istruzione, la formazione costituiscono l'unica risposta seria della vecchia Europa alla sfida delle potenze emergenti asiatiche.
Il sospetto, ma possiamo dire la certezza, è che nell'attacco sistematico alla scuola pubblica da parte del governo Berlusconi il vero movente sia ideologico. Per questa classe dirigente volgare e ignorante, nata e pasciuta nell'analfabetismo televisivo, la scuola è un territorio nemico da epurare e basta. Perfino il fascismo ha cercato di piegare ai propri interessi la scuola pubblica, senza distruggerla. Il nuovo progetto autoritario passa invece dalla distrazione dell'istruzione pubblica. È una battaglia anticulturale, assai prima che antipolitica.
La stessa nomina della povera Gelmini a ministro, con la sua pochezza culturale e l'esame da avvocato superato nel profondo Sud, era un'aperta provocazione da parte del premier, così come la nomina dell'ex calendarista Carfagna alle Pari opportunità e dell'icona sadomaso Brambilla al Turismo, 10 per cento del Pil nazionale.
Un modo per chiarire che il governo non aveva alcuna intenzione di affrontare il ritardo culturale del Paese, la sopravvivenza di una società patriarcale e il crollo d'immagine dell'Italia agli occhi degli stranieri. Che sono seri problemi per il futuro di tutti noi, ma anche altrettante fortune per il presente di Berlusconi. Si tratta di vedere fino a quando durerà questo presente perpetuo, senza progetti, senza speranze.
Curzio Maltese, Venerdi di Repubblica, 26 marzio 2010