giovedì 9 febbraio 2012

Le mostre a Brescia di Marco Goldin

Le mostre organizzate a Brescia da Goldin erano indubbiamente bellissime. Ma ho sempre avuto due dubbi:
1) quanto sono costate, in termini di risorse "risucchiate" alla cultura della città?
2) qual è stato il "ritorno economico" nella città di queste mostre, quanto hanno lasciato?
A mio parere, queste mostre hanno praticamente drenato tutto il drenabile dal punto di vista economico e hanno lasciato il deserto. Da anni i soldi per iniziative culturali in città sono pochissimi, a parte qualche "notte bianca" buona per dare in un giorno una razione di "panem e circenses" alla plebe. Chi in città, da cittadino bresciano,  si trova a voler fare musica o teatro, tira la cinghia.
Per quanto riguarda il ritorno economico, mah....! Nei "pacchetti Goldin" i pullman dei turisti, dopo la visita alla mostra, venivano dirottati all'outlet franciacorta. A parte un paio di bar nella zona di via Musei e forse qualche ristorante pseudo antico a porta Bruciata non so quanti altri abbiano beneficiato della visita degli appassionati d'arte. Nelle guide turistiche straniere, del museo di santa giulia c'è misera traccia, e si accenna che "talvolta" ci sono mostre d'arte.

Allego un paio di articoli apparsi sulle pagine bresciane de "Il corriere della sera".

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Tino Bino 8 febbraio 2012:

Nino Dolfo ripropone, da queste pagine, il modello Goldin, l'organizzatore di eventi che patì l'ingratitudine della città cui aveva concesso di diventare titolare di una «immagine» nuova legata alle grandi mostre. Se Dolfo risolleva il caso vuol dire che non ne abbiamo discusso abbastanza, che quelle iniziative sono ancora un prodotto da analizzare per trarne utili lezioni e indicare strategie di futuro. Già le denominazione dice il più significativo limite. Si parla di «mostre Goldin», non delle mostre di Brescia o di un progetto della cultura (anche nazional-popolare) della città. Goldin è mi abile mercante di mostre, un ottimo professionista dell'organizzazione e nessuno può disconoscere i risultatiquantitativi del suo lavoro. Che, qui sta il punto, è stato un lavoro effimero, di eventi emotivi, di mostre da consumare. E ancora nulla contro l'effimero, le mostre di consumo, la partecipazione emotiva, a condizione che tutto stia dentro un progetto il cui referente sia una istituzione loca­le che ha il compito di trasformare l'effimero in istituzionale, in lavoro fisso. Il che vuol dire da un lato far crescere un istituto, (Brescia mostre, Brescia Musei), in grado di progettare una linea di lavoro culturale e dunque degli obiettivi per raggiungere i quali serve utilizzare di volta in volta professionisti come Goldin. La linea di lavoro coinvolge la città, le sue risorse umane ed economiche, le sue eccellenze culturali, le sue università e fa
crescere professionalità in fund raising, in marketing culturale, eccetera.
Dall'altro la continuità dell' istituto serve per tentare di trasformare l'immagine in identitàe quindi in abitudine dei cittadini a consumare il prodotto culturale. Che significa una fatica quotidiana, la sollecitazione a visitare musei e mostre anche modeste, ma significative (penso a quelle di architettura fatte dentro l'università) allestite in continuità lungo tutto l'arco dell'an­no per cambiare le abitudini i modi di vivere la città da parte dei bresciani. Intorno agli obiettivi che ci si propone sta la valu­tazione dei costi, degli investimenti, del rapporto benefici economici e benefici sociali e così via. Una sola mostra Goldin, per dire una banalità, è costata come quaranta anni di contributi alla Associazione Artisti Bresciani e alla Fondazione.Civiltà bre­sciana. Non sono comparazioni possibili, ma constatazioni non| eludibili.
Su questi temi va tenuto aperto il dibattito, senza «negazionismi» nei confronti del modello Goldin, che a Brescia ha lasciato in molti un buon ricordo, ma senza dimenticare che a Brescia, di quella organizzazione non è rimasta nemmeno copia dell'indirizzario dei visitatori. Ma così si ricomincia sempre daccapo. Torniamo sempre al punto di partenza.


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Nino Dolfo 19 ottobre 2011

Goldin: «Con la cultura si può mangiare»
La ricetta dell'ex curatore delle mostre bresciane

«Uniremo lo splendore al significato, l'emozione all'elaborazione intellettuale... »: così, con un incipit ore rotundo il sindaco Adriano Paroli firmava il fondino di prefazione alla rassegna degli Inca in Santa Giulia sul domenicale del «Sole 24 Ore». Via col vanto, l'era del dopo Goldin (il patron trevigiano era stato silurato dalla nuova amministrazione) iniziava alla grande per la Brescia metallara che all'improvviso si era scoperta città loisir del turismo d'arte. Sono passati manco due anni e come nel più perfido gioco dell'oca, ci troviamo fermi un giro. Le grandi mostre sono in rimessaggio. Ci avevano promesso Renoir, Mirò e Picasso, taglie XL della pittura, invece a breve termine, come «tacòn del buso» dovremo accontentarci dei vestiti di Roberto Capucci, stilista di rispetto che predilige però la taglia small. Certo, in pochi mesi è accaduto l'imponderabile, la crisi morde. Siamo un «Paese a prezzi», nel senso che le grandi mostre costano e in questi tempi di quaresima economica e di paventato sprofondo rosso, non ce le possiamo permettere. E il reprobo Marco Goldin, mago delle mostre blockbuster, che fa? Se la gode seduto sull'argine guardando il fiume? No, Marco Goldin continua a fare quello che ha sempre fatto. Allestisce esposizioni di successo a Genova, Rimini, San Marino, a Villa Manin di Codroipo, dal prossimo anno anche a Verona e Vicenza.

Come mai a lei riesce facile e agli altri no? «Perché io e Linea d'ombra siamo abituati da sempre a lavorare in modo diverso. Noi rischiamo in proprio e in modo pesantissimo. Ho letto che il vostro consiglio comunale ha appena votato una variazione di bilancio per stanziare 800mila euro per la mostra dei Maya del 2012. É più dei 700mila che a me dà il Comune di Genova per Van Gogh e il viaggio di Gauguin, una mostra che costa 5 milioni di euro. E il resto chi lo tira fuori? Il privato, naturalmente, che deve dimostrare la sua capacità manageriale. Leggasi Marco Goldin, che cerca e trova gli sponsor. Alcuni sponsor finanziano direttamente (Unicredit in testa, nella fattispecie), altri forniscono servizi di scambio. Certo la situazione economica è critica, ma è appunto in un frangente come questo che si vede la capacità di lavoro».

Con la cultura si può mangiare, dunque? «Su questo non ho alcun dubbio. Nei miei anni bresciani mi sono assunto i rischi di impresa al 50%, a volte anche al 75%. Ho perso dei soldi, ma ho creato reddito, ho sempre fatto quello in cui ho creduto, obbedendo al poeta che c'è in me e non all'imprenditore. L'organizzatore privato che fa leva in buona parte sul finanziamento pubblico è uno che non ha la certezza dei risultati. E questo è un modo di fare mostre, lasciatemelo dire, vecchio ».

Si dice che lei a Brescia abbia avuto una congiuntura favorevole, una partnership perfetta tra pubblico e privato con Brescia Musei a fare da interfaccia e con l'illuminismo culturale dell'ex sindaco Corsini. Oggi sembra che la burocrazia, con il suo pragmatismo pronto cassa, metta i bastoni fra le ruote al potere esecutivo. E tutto è più difficile. «Condivido l'analisi, non la sintesi. É vero, allora c'era una sinergia straordinaria tra me, Folonari, Corsini e Mantovani, il grande tessitore. Quanto alla burocrazia, è quella di sempre ovunque, va convinta e piegata con i dati e i fatti».

Ritornerebbe a Brescia? «E perché no, ma alle mie condizioni. Brescia mi è rimasta nel cuore, è una città che mi è più cara di Treviso. É stata una bella esperienza del passato, ma io guardo al futuro». Non ci rimane dunque che confidare nei Maya, puntuali nell'anno della loro apocalittica profezia. Magari per quella data, 21 dicembre 2012, l'assessore Arcai proporrà la sua ennesima notte bianca. Attesa da brivido, poi una risata ci seppellirà.