sabato 18 febbraio 2012

il banchiere paga le colpe ma a spese dei clienti




L’accordo è stato salutato come una svolta storica, forse addirittura la parola "fine" alla vicenda ignobile dei mutui subprime, nonché l’inizio di una ripresa per il mercato immobiliare americano. Si tratta di un maxipatteggiamento: i protagonisti sono da una parte l’Amministrazione Obama e le procure generali di 49 stati Usa, dall’altra cinque tra le più grandi banche americane che operano nel credito per la casa (Bank of America, JP Morgan Chase, Citigroup, Wells Fargo, Ally Financial).
In cambio di una chiusura delle indagini giudiziarie e quindi di una rinuncia ai processi, le banche hanno accettato di pagare oltre 25 miliardi di dollari di indennità ai clienti. E’ il secondo maggiore risarcimento nella storia americana dopo quello dell’industria del tabacco.
La maggior parte di questo denaro, 17 miliardi, andrà alle famiglie che hanno subito (o rischiano di subire presto) il pignoramento dell’abitazione, con il conseguente sfratto e vendita giudiziaria. Dunque sono fondi che vanno ad aiutare i più bisognosi, e possono anche mettere uno stop alla costante discesa dei prezzi immobiliari. L’effetto di equità c’è. L’effetto di sostegno macroeconomico alla ripresa c’è. Non stupisce che Obama abbia presentato questa operazione come un successo. Eppure qualcuno non è convinto.
Certi procuratori statali avrebbero voluto andare avanti fino a trascinare i banchieri nelle aule dei tribunali. Non posso dargli torto. E non per una sorta di "giustizialismo all’italiana". Ho sempre apprezzato il pragmatismo della giustizia americana, che tra i suoi motti ha anche l’antico proverbio "il meglio è nemico del bene". A volte è più saggio puntare al patteggiamento, recuperare il maltolto subito, anziché voler inseguire una punizione esemplare che rischia di arrivare molto tardi (e magari di non arrivare mai: i banchieri hanno sempre dei buoni avvocati).
Il vizio in questo tipo di patteggiamenti però va alla radice delle patologie della finanza. Patteggiando, i banchieri non devono ammettere colpe personali e si mettono al riparo da conseguenze penali. Certo, l’indennizzo che pagano è colossale. Ma "chi" lo paga esattamente? Non un solo centesimo esce dalle tasche dei chief executive e altri top manager. Pagano le aziende da loro amministrate. Cioè in prima istanza gli azionisti. Poi i costi verranno "spalmati" in qualche modo sui clienti, escogitando nuove commissioni, nuovi margini d’intermediazione. Non un solo banchiere verrà licenziato.
Anche se gli azionisti volessero cacciare un top manager, non hanno il potere di farlo: questo è lo sporco segreto della "corporate governance" moderna. Dunque l’impatto sui bilanci delle banche sarà modesto, l’impatto sugli alti dirigenti sarà nullo. Effetto deterrente o "educativo": minimo. Manca ogni principio di responsabilità personale, manca ogni meccanismo punitivo contro i colpevoli. Con queste premesse, perché non dovrebbe ricominciare tutto come prima?
Federico Rampini, repubblica affari e finanza, 13 febbraio 2012