PENNABILLI (Pesaro) Tonino Guerra ci accoglie nella sua casa di Pennabilli, ricolma d' arte e di oggetti raccolti in ogni dove: ricordi. Una vita lunga la sua, 91 anni e una miriade di bellezza prodotta. I film indimenticabili con Fellini, Antonioni, i Taviani; le poesie e i libri, i dipinti, le sculture: tutto riflette il suo modo delicato e incantato di vedere il mondo, tutto è frutto di una vena creativa inesauribile e poliedrica, che continua irrefrenabile ed emana dalle parole che dice. Sono racconto e poesia, riescono a gettare luce anche sulla cosa più apparentemente insignificante. Incontro Tonino Guerra perché ha dato alle stampe un libretto, «Progetti Sospesi». È un elenco d' idee da realizzare, da lasciare a chi vorrà farle sue e portarle a termine, come si fa a Napoli per i caffè: se ne prende uno ma se ne pagano due, lasciando il secondo «sospeso» per chi andrà nel bar dopo di noi. I progetti sospesi sono bozze, e riguardano la protezione del territorio, la memoria, la cultura, gli edifici abbandonati, l' educazione dei bambini, l' importanza delle nostre campagnee del saperle coltivare. Si propone di fare gli orti nei giardini degli ospizi come di catalogare con targhette gli alberi secolari, oppure di proteggere i cimiteri abbandonatie le storie di vita che contengono. In realtà sono poesie, che riconducono semprea lei, alla bellezza, al saperla cogliere - «vedere e non guardare» - e al prendersene cura. «L' ultima lezione di sceneggiatura che ho tenuto a Mosca era sulla differenza tra guardare e vedere. Allora mi è venuto in mente un fatto che mi è successo. Faccio fermare la macchina su cui ero perché vedo una panchina, mi voglio avvicinare. Era una panchina di ferro diventata verde, piena di muschio. Ho cominciato a capire perché: la trattoria davanti era chiusa, nel giardinetto non andava più nessuno, la panchina soffriva di solitudine. E allora mi sono seduto e l' ho fatta lavorare. Ho voluto darle un po' di valore: solo allora stavo vedendo, prima guardavo».
Se ti dico le parole «Granai della memoria» che cosa pensi?
«Mi piace, mi dà l' idea di cose belle che si ammucchiano e si raccolgono». È questo il mio progetto sospeso. Penso che ogni paese, ogni città, ogni comunità dovrebbe avere un piccolo granaio della memoria. Cioè una raccolta di registrazioni video e audio, con i racconti in prima persona delle vite di chi ha abitato quei luoghi. «Per tuo conforto devo dire che non trovavo la parola giusta, perché io vorrei dire una fila di cose straordinarie che mi sono capitate e allora potrei adoperare il granaio della mia memoria, come possono fare i paesi e le comunità. Per esempio quando lavoravo con Fellini ad Amarcord lui veniva sempre a suonarmi il campanello e io lo facevo aspettare. Una volta scendoe lui era là che guardava fisso l' ingorgo delle macchine che c' era in strada. Lo chiamo e mi dice: "Oddio mi hai rovinato i 10 minuti più belli della mia vita!". Vuole il caso che quando ritorno a casa riattraverso l' ingorgo e una macchina nera mi striscia. Io impreco, mi giro e mi trovo davanti a papa Giovanni XXIII. Resto bloccato con le mani in alto davanti a questo faccione con le grandi orecchie che mi sorride un po' , poi mi benedice come se spaccasse un cocomero e quindi la macchina va via. Poter mettere nel granaio queste cose, che possono capitare in tutte le vite e in tutti i paesi, sarebbe una cosa straordinaria».
Il granaio tiene i semi che poi devono essere riutilizzati, fatti rifiorire. Il termine è meglio di banca della memoria, vero?
«Granaio è una parola nuova, poetica, che già ti confonde. È bello quando dici una cosa a qualcuno e lui in un primo momento non capisce niente, lo confondi. Le grandi cose non sono mai chiare subito,è dopo che diventano chiare».
Non credi anche tu che oggi abbiamo bisogno di memoria, di farne il sale per costruire un nuovo futuro? Un popolo senza memoria come lo vedi?
«No, non può esistere. La memoria è indispensabile e ti dirò di più: quando mi chiedono che cos' è la storia, che cos' è la memoria, io racconto sempre che mio nonno quando camminava si guardava continuamente indietro. Una volta gli chiesi: "Nonno perché vi voltate sempre indietro?". Lui rispose: "Bisogna, perché è da lì che viene il modo per andare avanti". Quindi è giusto che un popolo, che una persona, che un paese tengano conto di quello che hanno dato quelli venuti prima di loro».
Secondo te questo Paese cura la memoria? Che effetto ti ha fatto sapere di quel muro crollato a Pompei?
«Oggi quelli che comandano non vogliono capire che la cultura è importante. Noi non abbiamo il petrolio, abbiamo la bellezza! Ragazzi, la bellezza è una preghiera, se non lo capiamoe la trascuriamo crollerà tutto, non soltanto un muro a Pompei. Non c' è affetto, non c' è per la terra, l' acqua e l' aria. Dobbiamo fare in modo che i bambini tornino ad avere devozione per la terra, dobbiamo farlo per loro stessi. Per esempio si cancellanoi paesaggi. Se fate scomparire la linea di quella collina lì davanti a me, voi toccate la mia memoria, mi danneggiate».
I migliori custodi, coloro che curavano di più paesaggio e campagna sono sempre stati i contadini, ma oggi sembra non ci siano più.
«Non ci sono perché non guadagnano, perché noi non li aiutiamo. Sono persone enormi, i contadini erano dei continenti, persone così preparate a vivere. Per esempio io vado nei posti più diversi per incontrare persone anziane, che stanno combattendo contro il mondo da sole. Una volta incontro una vecchiae le chiedo se lei è felice, se ha la sua domenica. Mi risponde di sì, che si mette in casa alla finestra e guarda passare la luna. Una cosa sconvolgente. Oppure Liseo che ho soprannominato Omero. Gli chiedo se secondo lui Dio c' è. Lui, tutto raccolto negli occhi, mi risponde: "Dire che c' è può essere una bugia, dire che non c' è può essere una bugia più grande". Immenso».
La potenza di questo signore era l' oralità, parlava dialetto.
«Certo, Omero parlava come gli antichi, il dialetto è una lingua che una volta sapevano tutti alla perfezione. Adesso non sanno più parlare, adesso l' italiano ci arriva dalla televisione, quasi nessuno lo sa alla perfezione». C' è chi sostiene che il dialetto vada insegnato nelle scuole.
«Non va insegnato, va frequentato, va ascoltato. Il dialetto dei contadini era magico, tu gli chiedevi "Come sta sua madre oggi?" e uno magari rispondeva partendo dal fatto che era un periodo in cui nevicava spesso. Partivano da lontano, la risposta se la facevano fiorire in bocca. Oggi fermate chi volete e vi risponderà banalmente: «Mah, insomma, bene». E poi c' erano i modi di dire, fantastici, una volta chiesi a mio fratello come stava un signore molto ammalato e mi rispose in dialetto: «Ce ne sono di più belli al cimitero». Dobbiamo vergognarci di pensare che c' era un mare di gente che sapeva parlare a perfezione una lingua e non c' è più, perché anche i grattacieli di New York sono stati fatti in dialetto!»
La civiltà contadina aveva queste capacità, l' oralità, la cura del territorio, il rispetto del tempo, ma se si parla di queste cose, di memoria, di dialetto o di paesaggio, molte volte si viene intercettati come nostalgici, con progetti improponibili per il futuro. Non pensi che invece questo ragionamento possa essere un nuovo paradigma dirompente, rivoluzionario?
«Dicono così perché non vogliono riflettere, hanno fretta. Ogni volta che ritorno dalla Russia ho sempre più l' idea che siamo diventati un mondo di gente ignorante, di gente che non legge, che non sa e non ama le sue cose belle. C' è solo il denaro, il divertimento, l' effimero. Ci sta tutto, ma non fare come mio nonno che si guardava indietro è da pazzi. Bisogna ricreare questa passione che avevano, la devozione per la terra. Ma in modo nuovo. Sennò andiamo a finire in niente. L' Italia non è più bella come una volta, è inutile che mi rompano le scatole, perché una volta c' era chi la curava. Non erano dieci persone messe lì dallo Stato, erano quelli che l' abitavano: i contadini. Dobbiamo riapprendere quella forza d' amore che avevano loro».
Forse prima hai fatto un lapsus: dici che vaia cercare dei vecchi, ma ora tu hai novant' anni, ne trovi ancora più vecchi di te?
«Ecco, sono vecchio anch' io, piano piano sei ridotto verso casa, dentro casa e guardi il mondo dalla finestra. Da loro vado a chiedere conforto, perché ciò che mi dicono sono indicazioni di vita, poesia. Cominci a capire che cosa devi guardare per vedere, quali sono le cose che non ti deludono mai. Io so che la neve ci sarà sempre, che la pioggia ci sarà sempre, e sono spettacoli enormi. L' autunno, i tramonti: noi dobbiamo andare verso questo mondo, sono le uniche cose che danno conforto. Un' automobile velocissima potrà anche essere comoda, ma non dà nessun conforto. C' è l' arte, ci sono i libri che tengono compagnia e ti fanno sentire diverso, lontano dai tuoi problemi. Ragazzi, la vita è dura e difficile e non vi salva la mano calda dell' amico, della moglieo dell' amante, siete soli e dovete trovare qualcosa che vi dia la bellezza, che è il più grande conforto, una preghiera. Perché ti tiene in devozione e ti fa rendere grazie». - CARLO PETRINI
La Repubblica, 15 marzo 2011