Nell'Italia dei figli di papà (e soprattutto anche della mamma...) brilla questa vicenda bresciana.
Come dire: di trota nel bresciano non ce n'è uno solo! Interessante fare il confronto tra il curriculum vitae inviato dal Di Mezza, candidato alla vicepresidenza del consiglio di sorveglianza A2A, e gli altri candidati...anche se cè anche chi, di incarichi nei consigli di amministrazione, ne colleziona fin troppi!
http://www.linkiesta.it/consiglio-di-sorveglianza-a2a-fausto-di-mezza
Roba da film di Alberto Sordi.........
aggiungo un commento di Gian Antonio Stella, dal "corriere della sera" del 24 maggio:
E
chi se ne frega!» la meravigliosa rubrica di Cuore, che infilzava le
notizie più insulse pubblicate dai giornali, dovrebbe tornare in vita
per i curriculum presentati dagli aspiranti dirigenti di A2A, la
mega-municipalizzata lombarda. Dove il candidato vicepresidente del
consiglio di sorveglianza esordisce così: sono figlio di Tizio, nipote
del famosissimo Caio, ho fatto politica nel partito di Sempronio. Tanto
per spiegarlo a chi lombardo non è, la A2A è una gigantesca azienda
multiservizi nata dalla fusione nel 2008 tra la storica Azienda
Elettrica Municipale milanese fondata nel lontano 1910 e l'ancora più
anziana «sorella» bresciana ASM nata addirittura nel 1908. Un colosso
quotato in borsa. Con un capitale sociale di 1 miliardo e 629 milioni di
euro, un fatturato di 6 miliardi, un margine operativo lordo di 1.040
milioni e oltre 9 mila dipendenti. Soldi pubblici. Soldi dei cittadini.
Tanto è vero che la lista dei candidati
al consiglio di sorveglianza della maxi-azienda in vista dell'assemblea
societaria prevista per il 29 maggio, viene comunicata alla A2A su
carta intestata dei Comuni di Milano e di Brescia, con tanto di timbri
municipali e di firma dei due sindaci, Giuliano Pisapia e Adriano
Paroli. Il primo di sinistra, il secondo di destra. Bene, chi
dovrebbero aspettarsi i cittadini di vedere alla testa dell'organo di
controllo di un pachiderma che si occupa «della produzione, vendita e
distribuzione di energia elettrica; della vendita e distribuzione del
gas; della produzione, distribuzione e vendita di calore tramite reti di
teleriscaldamento; della gestione dei rifiuti; della gestione del ciclo
idrico integrato» e maneggia miliardi e miliardi di euro?
Professionisti preparati, operativi, puliti e al di sopra delle parti,
direte voi. Poi, certo, è giusto che le amministrazioni municipali
delineino le loro strategie di fondo dando più peso a un aspetto o
all'altro a seconda delle diverse sensibilità politiche.
Ma il controllo deve essere in mano
a persone quanto più possibile al di sopra delle parti. O come minimo
che rispettino le forme, evitando l'arroganza partitica più sfacciata.
Presidente dell'organo di controllo, su indicazione milanese, sarà Pippo
Ranci Ortigosa, a lungo docente universitario alla Cattolica, già
presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, direttore
della Florence School of Regulation presso l'Istituto universitario
europeo e mai, che si sappia, con una tessera di partito in tasca.
Vicino al mondo cattolico di centrosinistra, certo. Ma niente di più.
Tanto che il suo curriculum ricorda un mucchio di cose scientifiche,
professionali e accademiche tranne le simpatie più o meno politiche.
Il curriculum di Fausto Di Mezza,
candidato alla vice-presidenza su indicazione bresciana, come denuncia
indignato il radicale Marco Cappato, resterà invece indimenticabile fin
dall'incipit: «Nato a Brescia il 12/11/1971, figlio dell'avvocato
Amilcare Di Mezza professionista e imprenditore bresciano e di Gnutti
Giuliana figlia di Cesarino Gnutti, capostipite della notissima famiglia
di imprenditori della valle Trompia». Testuale. Seguono poche righe
sugli studi, la laurea, la pratica forense e qualche incarico guadagnato
qua e là prima ancora di superare l'esame da avvocato, poi il diluvio. E
veniamo così a sapere che «nel dicembre 1993 fonda insieme al padre il
"Club Progetto" di Forza Italia», il primo in territorio bresciano che
con «una sede di 800 mq arriva in poche settimane ad avere 700
iscritti». Che l'anno dopo è eletto con Forza Italia in Comune, «terzo
per numero di preferenze». Che nel '95 «a seguito del primo congresso
provinciale di Forza Italia viene eletto membro della direzione
provinciale del partito». Che nel '96 viene designato come «relatore
delle proposte politiche sull'ordine pubblico dell'intero Polo delle
libertà». Che nel '98 «si ricandida nelle liste di Forza Italia ed
ottiene un notevole successo personale, triplicando le preferenze
ottenute nel 1994 e risultando il secondo consigliere eletto per numero
di preferenze di tutte le liste in competizione». Che nel '99 «viene
eletto capogruppo di Forza Italia al Comune di Brescia».
In via così, di incarico in incarico.
Non una pubblicazione scientifica. Non una citazione su una rivista
straniera. Non una medaglia professionale. Niente di niente. Tutta roba
di partito. E ad ogni tappa verrebbe da ripetere la battuta di Cuore: e
chi se ne frega! Nel 2002 viene «nominato dalla segreteria regionale
commissario cittadino del partito»? Chi se ne frega! Nel 2003 «si
candida nelle liste di Forza Italia come capolista ottenendo un successo
personale importante…»? Chi se ne frega! Nel 2004 è «eletto
all'unanimità dal consiglio comunale di Brescia vicepresidente della
commissione statuto del Comune». Chi se ne frega! Provi a presentarla in
America, in Germania, in Francia, Gran Bretagna, una lista di «meriti»
come questa.
Ma scusate, perché queste cose
dovrebbero offrire ai cittadini, anche quelli che non lo hanno votato
mai, qualche garanzia sul fatto che l'avvocato Di Mezza possa essere un
buon vicepresidente dell'organo di controllo di una municipalizzata che
muove miliardi? Perché dovrebbero questi «meriti» rasserenare gli
azionisti di una società quotata in borsa? Vale per lui e varrebbe per
chiunque presentasse un curriculum simile, comunista o missino, leghista
o socialista, bianco, rosso, verde, giallo o blu. E torniamo al tema
sollevato più volte da questo giornale: basta con le nomine ai vertici
delle società pubbliche di persone che vantano come unica
«professionalità» l'appartenenza a questo o quel partito. Quale che sia.
Basta. Li cerchino sul mercato, gli uomini che servono a far funzionare
le aziende che appartengono ai cittadini e agli azionisti, con bandi
pubblici europei. Gente che porti curriculum vitae di spessore. Che
abbia studiato. Fatto esperienze all'estero. Gestito fabbriche e uffici.
O almeno, se vogliono continuare a fare le nomine così, abbiano il
pudore di smetterla di chiedere curriculum di tale fatta.
24 maggio 2012 | 13:37