Il problema di questa "crisi" è che è stata causata dall'ingordigia delle banche e degli speculatori, e che i frutti di tale ingordigia, cioè i prodotti finanziari schifezza, sono ancora tutti in giro, non si sa a quanto ammontano (650 milioni dollari forse è una cifra per difetto) né dove sono!
E quindi, i famosi "sacrifici" e le "manovre" più o meno aggiuntive non hanno alcun senso se PRIMA non vengono rimossi e annientati i prodotti finanziari schifezza. Perchè il famoso "spread", dopo le riforme Monti, è rischizzato oltre quota 440? Perchè va su e giù dipendendo dalle speculazioni, non dalle riforme. Senza riforme forse sarebbe un pochino meno, ma a che prezzo sociale e umano?
Se non vengono eliminati gli strumenti finanziari tossici, come si fa a iniziare la famosa "crescita", di cui tutti parlano e nessuno sa cosa voglia dire?
Allego illuminante articolo di Federico Rampini, apparso su "La Repubblica Affari e Finanza" del 21 maggio 2012.
Giorgio Gregori
Torna il fantasma dei derivati nemico invisibile da 650 trilioni
la maxi perdita della jp morgan - da 2 a 4 miliardi di dollari e forse più -testimonia che malgrado tutti i tentativi di riforma è ancora lontana una efficace regolamentazione di questi strumenti. ora obama ci riprova ma i suoi margini sono stretti
Federico Rampini
New York E’ il ritorno dei morti viventi. Ci
illudevamo di averli seppelliti, di aver trovato la formula per un
funerale definitivo, che ce li togliesse di torno per sempre? Come
zombi, i derivati sono risorti e sono in mezzo a noi più temibili e
pericolosi che mai.
Una massa incontrollata che vale 650 trilioni di
dollari. Non è solo la scoperta di quel buco di 2 miliardi (già
diventati 3, ora si mormora che siano saliti a 4, e non staccate gli
occhi dal contatore) nel bilancio di JP Morgan Chase, la più grande
banca degli Usa. Un obbrobrio su cui ora indaga perfino l’Fbi, dopo
la Federal Reserve e la Sec.
C’è di peggio, tutta una serie di dettagli di
contorno che danno a questa vicenda un aspetto terrificante: gli
zombi fingevano di riposare, eccoli che ci afferrano come in un
remakeinfinito dello stesso film-horror, come se fosse impossibile
uscire dall’incubo. Zombi per eccellenza lo è una figura-chiave
dello scandalo: non tanto lo Squalo di Londra Bruno Iksil, diretto
esecutore della speculazione sui derivati; bensì sopra di lui la
malefica Ina Drew, la manager che dal quartier generale di JP Morgan
sulla Park Avenue di Manhattan aveva la guida delle strategie
d’investimento e la supervisione sul controllo dei rischi. Si
scopre che la superbanchiera si fece le ossa nientemeno che nello
hedge fund Ltcm. Vi state stropicciando gli occhi? Ma sì, proprio
quello, il fondo che usava sofisticati algoritmi matematici elaborati
da un premio Nobel che con le sue travolgenti speculazioni e poi
l’improvvisa maxiperdita fece crollare Wall Street nel 1998,
costringendo ad intervenire la Fed allora guidata da Alan Greenspan,
per impedire uno shock sistemico. Non è un refuso, l’anno di
grazia era proprio il 1998, e la Signora Drew era già all’onore
delle cronache per i disastri dei derivati. A nulla servì quella
catastrofe come a nulla è servita la lezione della crisi del 2008.
Più zombi di così!
L’improvvisa voragine nel bilancio JP Morgan è
legata a speculazioni sui credit default swaps (Cds), titoli derivati che
fungono da polizze assicurative e servono a proteggersi
dall’eventualità di bancarotta di una società a cui il banchiere
ha prestato soldi, oppure dalla quale ha comprato dei bond. Gli
stessi Cds però possono servire non a scopo precauzionale, bensì
per la finalità opposta: una giocata aggressiva di chi scommette sui
fallimenti societari. Una storia stravecchia: fu attraverso titoli
strutturati di questo tipo che la bolla dei subprime nel 2008
travolse Lehman Brothers e rischiò di mandare in bancarotta la
maggiore compagnia assicurativa americana, Aig, se a salvare
quest’ultima non fosse intervenuto il governo e quindi il
contribuente americano.
A proposito di zombi, che dire di Jamie Dimon, il
capo supremo di JP Morgan? Secondo l’economista Mark Williams della
Boston University, che in passato lavorò alla vigilanza della Fed,
sotto la guida di Dimon “la JP Morgan Chase contiene un enorme
hedge fund nascosto dentro il corpo di una grande banca di depositi”.
Questa commistione fra due mestieri fu all’origine del grande crac
di Wall Street nel 1929 così come nel 2008. E’ la lezione che
credevamo fosse stata imparata quattro anni fa, no? “Le grandi
banche di deposito continua Williams - dovrebbero raccogliere il
risparmio e fare prestiti, non avventurarsi in grosse operazioni
speculative”. Se la commistione di mestieri non viene evitata,
l’instabilità che incombe sull’intero sistema del credito è
molto pericolosa. Basti pensare a questo, tornando alla tecnicalità
delle operazioni che l’ufficio di Londra di JP Morgan effettuava
sotto la direzione di Squalo Iksil e Madama Drew: è bastato uno
spostamento infimo dello 0,25% dei tassi d’interesse sui mercati
per sballare un coacervo di posizioni speculative del valore
“nozionale” tra i 150 e i 200 miliardi di dollari (neppure JP
Morgan riesce a quantificare esattamente l’entità: gli apprendisti
stregoni hanno messo in movimento forze troppo grandi per loro).
Il martedì successivo alla scoperta, il 14 maggio
a Tampa (Florida), Dimon all’assemblea degli azionisti della sua
banca ha ammesso che probabilmente l’operazione “è iniziata nel
rispetto delle normative attuali, poi si è trasformata in qualcosa
di diverso”. Questa frase non è suonata solo come lo
“scaricabarile” che ha dato il via alle dimensioni della Drew e
Iksil. In realtà in quel passaggio c’è anche la scelta di una
sottile strategia politica. Dimon nel suo intervento di Tampa ha
scelto di “difendere” la normativa attuale come efficace e
sufficiente, attribuendo il disastro al mancato rispetto di quelle
stesse regole. L’obiettivo è difendere la versione più
minimalista della Volcker Rule, la regola che prende il nome dal più
severo (e competente) fustigatore dei banchieri Usa, l’ex
presidente della Fed. Nella riforma dei mercati finanziari - la
Dodd-Frank varata al Congresso su pressione di Barack Obama - è
inserita la Volcker Rule: quella che proibisce alle grandi banche
di deposito di fare operazioni speculative con capitali propri.
In sede interpretativa, però, Dimon da due anni ha guidato
l’offensiva della lobby di Wall Street per svuotare la Volcker Rule
inserendovi un’eccezione: in questa versione le operazioni
speculative sono consentite allo scopo di “copertura del rischio”,
cioè per proteggere la banca da eventuali perdite dovute all’insieme
delle sue attività. Questa scappatoia che avrebbe dovuto essere un
correttivo marginale, di fatto consente l’aggiramento della Volcker
Rule e il ritorno a tutti i peggiori eccessi pre-2008 (o pre-1929…).
Guarda caso l’ufficio di Londra diretto da
Iksil si occupava proprio di “copertura del rischio” per conto di
Dimon. E’ con quell’alibi che ha potuto ricominciare a speculare
sui derivati, alla grande, in barba allo spirito della Volcker Rule.
All’assemblea degli azionisti a Tampa, solo
un coraggioso sacerdote cattolico, il Reverendo Seamus Finn
dell’ordine missionario di Maria Immacolata, ha osato affrontare il
potente Dimon prendendo la parola a nome di un gruppo di piccoli
azionisti. “Le sembra il caso - ha detto il Reverendo Finn -
che la banca continui a spendere soldi dei suoi azionisti, al ritmo
di 7 milioni di dollari quest’anno, per attività di lobby dirette
a modificare la legge Dodd-Frank?” Inoltre, sfidando il dogma
neoliberista di cui Dimon è un alfiere, il missionario cattolico gli
ha chiesto: “Alla luce di queste ultime rivelazioni, Mr. Dimon, lei
pensa ancora che una banca sia in grado di regolarsi da sola?”
Ma l’intervento del sacerdote non ha impedito
che l’assemblea degli azionisti approvasse la mozione proposta dal
consiglio d’amministrazione: confermando a Dimon uno stipendio di
23 milioni di dollari, nonché il cumulo delle cariche di
presidente e amministratore delegato. Dunque il super-zombi la farà
franca anche questa volta? Sul fronte politico, non è detto che le
cose si mettano male per il più potente banchiere d’America.
Certo, la Casa Bianca ha colto la palla al balzo per ripartire
all’offensiva in favore di una interpretazione più rigorosa della
Regola Volcker.
A meno di sei mesi dalle elezioni, Obama ha
interesse a mostrarsi intransigente contro gli eccessi di Wall
Street, un tema che compatta la sua base democratica e può portargli
consensi anche fra gli incerti e i moderati. La logica è dalla sua
parte: quando una banca ha le dimensioni della JP Morgan Chase, un
suo fallimento è impensabile perché trascinerebbe l’intero
settore del credito in una nuova “glaciazione”. Visto dunque che
per le sue stesse dimensioni la JP Morgan gode della protezione
implicita delle autorità pubbliche (Federal Reserve, Federal Deposit
Insurace), la sua attività va limitata in modo severo. C’è ancora
tempo per farlo: la Volcker Rule deve diventare pienamente operativa
a luglio, da qui a luglio è ancora aperta la partita per la sua
“interpretazione definitiva” da parte del Tesoro e delle
authority coinvolte, dalla Fed alla Sec. Ma è impossibile non notare
che Obama è stato finora attento ad evitare attacchi personali a
Dimon. Tutti sanno che il chief executive di JP Morgan è un
democratico, e in passato è stato generoso di contributi elettorali
ai candidati del suo partito. Inoltre nel 2010 Obama fu quasi
“costretto” a difendere il “diritto” di Dimon di attribuirsi
un bonus di 17 milioni (oltre allo stipendio). Perché? Un precedente
attacco di Obama ai superstipendi dei banchieri gli era valso una
valanga di accuse dai repubblicani. Lo avevano dipinto come un
“socialista”, che interferisce politicamente nella gestione delle
aziende private.
Ancora in questi giorni, la reazione di Mitt
Romney al “buco dei derivati” nel bilancio di JP Morgan è stata
un classico del brivido. Intervistato dal blogger Ed Morrissey in un
talkshow radiofonico, il candidato repubblicano alla Casa Bianca ha
escluso categoricamente che questa perdita debba “ispirare nuove
leggi o modifiche alle regole”. Romney ha proseguito così: “E’
in questo modo che funziona l’America. Qualcuno ha preso delle
decisioni sbagliate e ci ha perso dei soldi. Be’, sapete cosa?
Qualcun altro ci avrà guadagnato, quindi va bene così”. Ecco quel
che pensa l’uomo che potrebbe entrare alla Casa Bianca dal gennaio
2013. Dimon all’assemblea di Tampa ha avuto un momento di
autoironia, con tanto di citazione cinematografica da un celebre
western all’italiana. “Io non metto me stesso su un piedistallo -
ha dichiarato il banchiere - so bene che non sono sempre bravo: di
volta in volta sono il buono il brutto e il cattivo”. Ma nei film
di Sergio Leone almeno alla fine i cattivi pagavano, e una volta
eliminati non ritornavano per sempre, eternamente eguali a se stessi.
(21 maggio 2012)