mercoledì 2 febbraio 2011

Sbagliato paragonare I Gonzaga ad Arcore

 una simpatica lettera a "postacelere"  a cui risponde Pietro Colaprico,
Repubblica, 1 febbraio 2011

Gentile Colaprico, mi permetta di fare qualche precisazione alla lettera del signor Imbriani di sabato scorso intitolata «Guardare i Gonzaga per capire Arcore». Ricordo di avere letto della villa del Serraglio sui Garda, ma Vincenzo I Gonzaga nel l660 era già morto(morì nel 1612) e suo figlio Vincenzo II era scomparso nel 1627. Nel 1660 era duca di Mantova Carlo Gonzaga Nevèrs cui successe l'ultimo duca Ferdinando Carlo.
Mi permetto di non apprezzare, da discendente della famiglia, il parallelo con il presidente del Consiglio. I paragoni storici sono effettivamente scivolosi e vanno inquadrati nel loro contesto. Nel Quattrocento si diceva del marchese di Ferrara che «di qua e di là dal Po son tutti figli di Nicolò». Certo l'emancipazione della donna doveva fare ancora grandi passi avanti—ma c'erano anche la tortura, i servi sfruttati, eccetera.
I Gonzaga hanno governato per 380 anni dal l328 al l708 tra luci e ombre, ma hanno fatto della piccola città di Mantova una capitale europea e un centro di grande prestigio culturale. Vorrei tanto che l'onorevole Berlusconi potesse dire di avere fatto qualcosa di altrettanto significativo per il Paese!
Un'ultima nota: dovrebbe fare riflettere il fatto che uno si risenta se la sua Famiglia viene accostata al nome del presidente del Consiglio. Se fosse stata accostata a Giovanni Spadolini non credo che avrei scritto. Cordiali saluti
Carlos Gonzaga

risposta:
Tirerò le orecchie (metaforicamente) al lettore-storico. A volte regala a  belle immagini sulla Milano che fu. Forse oltre i confini del Seveso non dovrà più andare...
La sua è una voce al di fuori dell'ipocrisia di queste settimane peripatetiche. Non credo ai sondaggi sui voti che non si spostano: i tg, saldamente berlusconiani, hanno cianciato delle polemiche politiche, ma molto poco dei fatti, delle intercettazioni, delle news che fanno lievitare gli ascolti dei pochi programmi ch «osano» riportarle. Pertini, Spadolini, Goria, Rumor, ognuno aveva la sua vita, ma praticavano il decoro e l'esempio. Con il Drago di Arcore siamo più vicini alla tristezza: quella di un nonno di 74 anni, operato di cuore e prostata, convinto di poter essere (con minorenni e con ventenni che «più sono disperate meglio è») un playboy. Quella che ci dà un «vecchio» quando si scopre circondato da falsi amici, e non c'è rimedio.