"Appaiono per scomparire. Si attaccano al potere per perderlo. L'unico vantaggio che sembrano avere su noi comuni mortali è una morte pubblica"
di Zygmunt Bauman
Avendo già iniziato a commentare lettere altrui - anziché scriverne di mie - permettetemi di cimentarmi ancora una volta in una simile impresa. Il motivo che mi spinge a farlo è il medesimo: come nel caso del film-lettera Il matrimonio di Lorna, ritengo che quest'altra lettera nascosta sia molto più penetrante ed esemplificativa di quanto io avrei saputo scrivere, e immagino abbia richiesto un'immaginazione, un talento e un gusto estetico che non potrei uguagliare.
Mi riferisco a La tribù con gli occhi al cielo, il racconto di Italo Calvino.
Come suggerisce il titolo, la storia narra di una tribù dedita a contemplare il cielo. La volta celeste offre uno spettacolo interessante e regala molte soddisfazioni a chi vi volge lo sguardo, attraversata com'è da "nuovi corpi celesti": aerei a reazione, dischi volanti, razzi e missili telecomandati.
La tribù osserva, e vedendosi obbligati a dare una spiegazione su tali fenomeni, gli stregoni del villaggio dichiarano che questi offrono un segno inequivocabile dell'imminente fine della servitù e della miseria che da secoli affliggono la tribù. Presto la "savana incolta produrrà sorgo e mais", e la tribù non sarà più costretta a cibarsi esclusivamente di noci di cocco. Dunque - e qui sta il punto - "non si stia ad almanaccare su nuovi sistemi" per uscire dall'attuale situazione; "confidiamo nella Grande Profezia, stringiamoci attorno ai suoi soli retti interpreti, senza chiedere di più".
Sulla terra, nella valle dove la tribù ha costruito le proprie capanne di paglia e fango, nel villaggio da cui gli uomini ogni giorno partono alla ricerca di noci di cocco e a cui ogni sera fanno ritorno, le cose stanno cambiando. In passato qui giungevano di quando in quando dei mercanti, per acquistare noci di cocco. I mercanti imbrogliavano sui prezzi, ma gli indigeni, scaltri, riuscivano a loro volta ad ingannarli.
Adesso però i mercanti non si vedono più. Al loro posto è sorto un ufficio della moderna "Coccobello Corporation, che compra tutto il raccolto in blocco e impone i prezzi". Non si contratta più, e imbrogliare è impossibile: i prezzi vengono stabiliti in anticipo, prendere o lasciare. Naturalmente, "lasciando" si rischia di non sopravvivere sino al raccolto successivo. C'è qualcosa che accomuna gli stregoni e i rappresentanti della Coccobello Corporation: sia gli uni che gli altri parlano di razzi e dei presagi che questi annunciano, ed entrambi (di nuovo qui sta il punto) affermano le stesse cose: "è nella potenza dei bolidi celesti che risiede tutto il nostro destino!".
Il narratore del racconto condivide il destino e le abitudini del villaggio. Anche lui, come il resto della tribù, trascorre le serate sulla soglia della sua capanna di paglia e fango, intento ad osservare il cielo. Anche lui, come gli altri, ascolta e ricorda ciò che gli stregoni e gli agenti della Coccobello Corporation ripetono di continuo. Ma al tempo stesso pensa (anzi, nella sua mente i pensieri si pensano da soli): "un'idea ho in testa che nessuno mi leva: che una tribù che s'affida solo al volere dei bolidi celesti, per bene che le vada, continuerà sempre a vendere le sue noci di cocco sottocosto".
In un altro racconto, La decapitazione dei capi, Italo Calvino fa notare come la televisione (e qui lo scrittore va dritto al punto, saltando a piè pari la metafora del cielo e dei bolidi celesti) "ha cambiato molte cose". Benché non necessariamente le stesse che ai nuovi stregoni (che adesso chiamiamo spin doctors) piace riconoscersi il merito - e riconoscerlo alla tv - di aver cambiato.
La televisione ha cambiato, tra l'altro, il modo in cui vediamo i i nostri leader. Un tempo questi ci apparivano come figure distanti, poste in alto, su un palco, o erano raffigurati in ritratti "atteggiati a espressioni di una fierezza convenzionale". Adesso invece, grazie alla tv, ognuno può scrutare in loro "il minimo moto di lineamenti, lo scatto infastidito delle palpebre, alla luce dei riflettori, il nervoso umettare delle labbra tra parola e parola".
In breve: i nostri leader sono diventati terribilmente banali, come tutti noi. E, al pari di noi, mortali. Vengono per poi andarsene. Appaiono per scomparire. Si attaccano al potere per perderlo. L'unico vantaggio che sembrano avere su di noi, comuni mortali, è di essere destinati ad una morte pubblica - una morte a cui "siamo certi d'assistere, tutti insieme".
Con un tono non del tutto ironico, Calvino si spinge a suggerire che è proprio questa consapevolezza a spiegare il motivo per cui un politico, fino a quando è in vita, è "circondato dal nostro interesse ansioso, anticipatore".
Quelle che seguono sono parole così intense da meritare di essere citate testualmente e per esteso: "Per noi la democrazia comincia solo dal giorno in cui si ha la certezza che nel giorno stabilito le telecamere inquadreranno l'agonia della nostra classe dirigente al completo, e, in coda allo stesso programma (ma molti degli spettatori a quel punto spengono l'apparecchio), l'insediamento del nuovo personale, che resterà in carica (e in vita) per un periodo equivalente". Tutto ciò, conclude Calvino, viene contemplato "da milioni di spettatori con raccoglimento sereno, come chi osserva i movimenti dei corpi celesti nel loro ciclico ripetersi". Uno "spettacolo che quanto più ci è estraneo tanto più sentiamo come rassicurante". L'abitudine di tenere gli occhi puntati verso il cielo non è, si direbbe, la prerogativa di un'unica, remota tribù. Né i motivi per farlo, o le conseguenze che ne derivano, differiscono molto da una tribù all'altra. A cambiare sono gli strumenti necessari a dedicarsi a tale attività/passività. E i nomi, e le storie degli stregoni - ma non il messaggio di quelle storie, né le intenzioni di coloro che le raccontano. (Traduzione di Marzia Porta)
da: la repubblica delle donne, 28 novembre 2009