AVETE presente il finale di certi film westem in cui il vecchio sceriffo salta sull'ultima diligenza, per affrontare le incognite e i pericoli di un viaggio avventuroso, mentre sta arrivando in città la prima scoppiettante automobile? Ecco, la scena assomiglia a quella che stiamo vivendo in questo momento in Italia, dopo il rilancio del nucleare e l'approvazione dei due decreti legislativi varati ieri dal Consiglio dei ministri.
Una «revanche tricolore», è stata definita con qualche accento di trionfalismo, vale a dire una rivincita. Ma alla fine in realtà potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro, se non proprio una sconfitta o addirittura una disfatta.
Il fatto è che – a più di vent'anni di distanza dal referendum popolare con cui la grande maggioranza degli italiani bloccò lo sviluppo dell'energia nucleare - il governo italiano rischia adesso di adottare gli impianti di terza generazione, considerati tuttora troppo costo si e insicuri, mentre stanno per arrivare sul mercato quelli di quarta generazione che dovrebbero invece affrontare alla radice il problema della sicurezza e in particolare delle scorie radioattive, favorendo perci l'abbattimento dei costi. Al di là di qualsiasi pregiudizio ideologico, dunque, oggi la questione è essenzialmente economica: non è più una guerra di religione , bensì una guerra di cifre e di soldi.
Si dice: l'Italia deve ridurre la dipendenza energetica dall'estero, causata dalle forti importazioni di petrolio e di gas. Giusto. Ma la verità è che il nostro Paese non ha neppure giacimenti di uranio e deve procurarselo altrove. E lo stesso uranio, come il petrolio e tante altre risorse naturali, è comunque in via di esaurimento. Si dice ancora che l'uranio, rispetto ai combustibili fossili, è pi economico.Vero. Ma non si tiene conto, o non si tiene conto abbastanza, che l'energia nucleare costa molto di più per la costruzione delle centrali e appunto per lo stoccaggio e lo smaltimento delle scorie. Poi c'è la questione delle fonti rinnovabili, a cominciare dal sole e dal vento, prodigate generosamente da madre natura. Negli ultimi tempi, la lobby filo- nucleare ha promosso la tesi che l'energia atomica e quella verde non sono alternative, anzi sono compatibili, vanno sviluppate entrambe. Bene. Ma di fatto l'enorme investimento che occorre per il nucleare minaccia di sottrarre troppe risorse alle rinnovabili che vanno comunque incentivate.
Alla luce di tutte queste considerazioni, allo stato degli atti il decreto legislativo predisposto dal governo non offre elementi rassicuranti in ordine alla localizzazione dei siti nucleari e nemmeno in ordine ai costi di costruzione e gestione delle centrali. E sono proprio i due punti su cui s'incardinano le resistenze degli ambientalisti e di buona parte dell'opposizione.
In base alla legge sviluppo approvata a metà agosto, l'elenco dei siti avrebbe dovuto essere già stilato entro sei mesi. E invece viene ulteriormente rinviato, con ogni probabilità per evitare un boomerang elettorale alle prossime regionali di primavera. Tanto più che le Regioni, a dispetto della propaganda sul federalismo, non verranno né interpellate nè consultate.
Quanto ai costi, a parte l'incertezza che pesa da sempre e ovunque su questo capitolo, il provvedimento contempla sia un meccanismo di compensazione a favore dei Comuni che accetteranno di ospitare le centrali sia una campagna d'informazione promozionale. Da una parte, insomma, c'è la cosiddetta monetizzazione del rischio ; dall'altra, un battage pubblicitario, presumibilmente a colpi di spot in tv, per convincere i cittadini ad acquistare il prodotto, come se si trattasse di un fustino per la lavatrice o di una nuova bibita ipocalorica. Con il consenso, si tende a comprare così anche la sicurezza, la salute, la vita.
Il culmine del paradosso è che l'Italia sta imboccando la via francese al nucleare proprio nel momento in cui Oltralpe 18 centrali sono bloccate per guasti o incidenti e la Francia è costretta a importare energia dall'estero. Nel frattempo, la fredda Germania continua a produrre pi energia solare di noi. E l'Umpi, una piccola azienda di Cattolica che ha sviluppato brevetti e tecnologie per il risparmio energetico nell'illuminazione stradale, applica già questi sistemi a oltre centomila punti luce in Arabia Saudita e illumina perfino La Mecca.
di Valentini Giovanni
repubblica, 23 dicembre 2009