È davvero bizzarro nell'epopea delle bibite energetiche del fast food, ovverosia della fretta, assistere al ritorno di una bevanda che ha contrassegnato l'era del bar sport, ovverosia dei lunghi pomeriggi al flipper, al calciobalilla, davanti al juke box.
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Il chinotto belle epoque
di Davide Paolini da il sole 24 ore della domenica del 5 luglio 2009
C'era una volta - oppure è meglio dire «a volte tornano» -: stiamo pensando al chinotto, frutto di origine cinese, la Cytrus Myrtifolia, simile alla pianta del mirto (piccole dimensioni, foglie verdi intenso) forse è ritenuto solo un nome coniato per una bevanda.
È davvero bizzarro nell'epopea delle bibite energetiche del fast food, ovverosia della fretta, assistere al ritorno di una bevanda che ha contrassegnato l'era del bar sport, ovverosia dei lunghi pomeriggi al flipper, al calciobalilla, davanti al juke box.
Eppure la civiltà del chinotto, bevanda di modernariato, ha ripreso il suo cammino, magari sotto abiti (leggipackaging) diversi, così come si riveste un divano d'antan con tappezzeria contemporanea: con la biglia come fosse una vecchia gazzosa (Abbondio), con look chic (Lurisia), con bottiglia più larga, ma con la solita grinta (se bevi Neri ne ribevi). Mentre Paoletti continua con la linea tradizionale.
Civiltà, appunto, perché il passato di questo frutto è nobile. È stato il preferito dalla Belle epoque, il protagonista dei salotti liberty, spesso anche ritratto in quadri d'inizio Novecento. L'arrivo della Grande Guerra ne ridimensionò la fama. I mercati d'Europa e d'oltre oceano avevano amato le "mignonnettes", rinomate in Francia e Austria dove il chinotto costituiva il ripieno dei boeri
al cioccolato, o diveniva marmellata. Tra tutti i prodotti, quello più ricercato, divenuto quasi lo status symbol dell'epoca, era però la bevanda gassata e analcolica, servita come aperitivo o rinfrescante.
Tutto iniziò nel 1877, quando un'industria di frutti canditi, Silvestre-Allemand, decise di trasferirsi nella zona di Savona, caratterizzata dall'aroma intenso degli alberi sempreverdi di chinotto, importati dalla Cina da un marinaio locale con il quale quest'azienda elaborava la maggior parte delle canditure. La ricetta segreta con cui addolcire l'agrume, assai acido e aspro, rendendolo commestibile, fu casualmente rivelata dagli operai del laboratorio a una drogheria, il cui proprietario, facendo tesoro della tecnica con cui erano trasformati sia i chinotti grandi, o balloni, che quelli più piccoli, diede vita a una dinastia imprenditoriale, tuttora attiva: Augusto Vincenzo Besio. Dopo varie vicende: crisi economica del dopoguerra e soprattutto congelamento dei frutti per le basse temperature, arrivò la crisi del chinotto. Servirono circa una decina d'anni perché ritornasse a ricoprire un ruolo centrale nel mondo dei dolciumi e dei drink italiani, divenendo uno dei simboli della ripresa alimentare degli anni Trenta. Una storia fatta di stop andgo quasi a segnare la storia del costume. Sirie qua non sempre!