Seguo sempre con interesse gli scritti di Mons. Ravasi, anche se ovviamente non sempre sono d'accordo con lui. Talvolta, poi veleggia talmente "alto" che per seguirlo bisogna avere fatto ben altri studi che i miei di ragioneria...Ma d'altronde nel mio caso forse è una eredità di famiglia: il mio bisnonno (che oltretutto fisicamente mi assomigliava tantissimo) faceva il barbiere in seminario e amava cercare di tenere testa ai futuri cardinali, studiando la sera su ponderosi volumi che una mia zia alla sua morte decise di usare per il camino.....
Riporto qui una interessantissima discussione apparsa sul sole 24 ore in due puntate. Allego anche alcune lettere ricevute da mons. Ravasi sull'argomento dell'uccisione degli animali a
finalità commestibile. gg
Può
un cristiano lasciar uccidere gli animali?
Illustrissimo
cardinal Gianfranco Ravasi, desidero sottoporre alla Sua alta
competenza, una questione etica che mi inquieta da tempo, e che
attiene la mia quotidiana sfera professionale. Sono un funzionario
del Servizio veterinario di una Asl della Lombardia; mi occupo con
particolare attenzione, degli alimenti di origine animale e tutto
quanto si snoda attraverso la suddetta filiera, attraverso tutte le
varie fasi della produzione. «Dalla stalla al piatto», come è
d'uso dire oggi Effettuo campionamenti di alimenti o materie prime, e
compio sopralluoghi e ispezioni in tutte le strutture deputate alla
produzione e al consumo di carne, latte, pesce, uova, miele e
quant'altro. Assisto spesso anche alla macellazione degli animali,
dove poi anche attraverso le competenze della mia professione,
esprimo giudizi in merito.
E
qui vengo, reverendissimo padre, al nocciolo della questione. È
ormai universalmente riconosciuto e documentato anche attraverso
numerose e infinite ricerche effettuate in tutto il mondo, che gli
animali sono considerati esseri senzienti dotati di capacità di
dolore, di sentimento e di coscienza. Ancora di più, la Chiesa
attraverso due suoi santi padri, ha riconosciuto agli animali
un'anima. Nel gennaio 1990 infatti Papa Wojtyla -Giovanni Paolo II
- ha affermato: «Non solo l'uomo, ma anche gli animali
hanno il soffio-spirito di Dio», dedicando loro poi anche un
passaggio nella sua enciclica Sollicitudo rei socialis. E Papa
Montini -Paolo VI - parecchi anni prima, aveva affermato: «Gli
animali sono la parte più piccola della creazione divina, ma noi un
giorno li rivedremo nel mistero di Cristo». Nel Libro di Isaia
infine, si parla di animali che pasceranno in pace tra di loro, e
che vivranno a fianco degli uomini. Mi viene naturalmente da pensare:
in quale luogo potrebbe accadere questo, se non in Paradiso? E qui
vengo allora alla domanda per lei, di cui in apertura. Per quanto
critico, e perennemente alla ricerca di risposte, mi dico cristiano.
Ed allora, come mi debbo porre io cristiano, di fronte all'uccisione
(perché di questo si tratta) di altri esseri viventi anch'essi
dotati di coscienza e di anima? Non sono un ingenuo, e voglio subito
togliere qualsiasi velo di ipocrisia alla cosa: un conto è l'uomo
fatto a immagine di Dio, e un altro sono gli animali, ovviamente e
certamente; questo è chiaro. Nella fattispecie però, trattasi
sempre di esseri coscienti e appunto, con un'anima. Tecnicamente la
legislazione italiana consente, previo stordimento ed
insensibilizzazione, l'uccisione di animali ai fini alimentari, ma è
chiaro che il mio problema non è di questo tipo; il mio è un
problema di natura etico-morale.
Sono
sempre più in crisi di fronte a queste uccisioni, e mi pongo spesso
di fronte al dubbio: io avvallo e acconsento l'uccisione di esseri
viventi dotati di anima.
Il
suo illuminato e competente parere sarebbe per me di fondamentale
importanza.
La
ringrazio per la sua risposta, e che il Signore sia sempre con lei
F.M.
- Bergamo
Risponde
Mons. Ravasi:
La
questione sollevata dal nostro lettore è molto più complessa di
quanto appaia a prima vista. Potremo, perciò, affrontare solo
qualche aspetto in modo semplificato, ignorando molti profili
contestuali e di interpretazione generale dei testi sacri.
Procederemo schematicamente, quasi per asserti, rimanendo all'interno
della tradizione ebraico-cristiana (diversa, ad esempio, da quella
"panteista" indiana). O La Bibbia riconosce che gli
umani e gli animali hanno un identico "spirito" (rùah)
vitale che ha come espressione il «soffio-respiro» e il
«sangue», segni della vita.
0
L'umanità, però, ha un'ulteriore componente esclusiva con Dio,
chiamata in ebraico nishmat-hajjim (Genesi 2,7) di solito resa
con «alito di vita», ma in realtà da ricondurre alla «coscienza»
perché essa è così definita nel libro biblico dei Proverbi :
«Lampada del Signore è la nishmat dell'uomo: essa scruta fin
nell'intimo delle viscere», cioè nell'interiorità personale
(20,27). Inoltre, solo dell'uomo e della donna si dichiara che sono
"immagine" di Dio (Genesi 1,27) e che sono creature
libere e morali («l'albero della conoscenza del bene e del male»).
©
Il rapporto umano con gli animali è, perciò, di solidarietà
vitale, ma è anche di profonda differenza qualitativa, tant'è vero
che l'uomo è chiamato ad essere una sorta di viceré nel creato: è
il famoso imperativo "dominate" (Genesi 1,28) che il
Creatore gli rivolge (e il verbo è quello del dominio regale).
Purtroppo, l'essere umano, con la sua libertà, trasforma nella
storia questa investitura in tirannide che devasta la natura (Genesi
3,17-18). O Nel progetto ideale divino, il "dominio"
umano esclude la macellazione dell'animale a fini commestibili. La
dieta è vegetariana: «Ecco, io vi do erba che produce seme e che è
su tutta la terra e ogni albero fruttifero: saranno il vostro cibo»
(Genesi 1,29). È solo dopo il diluvio, ossia nella storia
concreta e "pesante" in cui siamo immersi, che si passa al
regime carnivoro, ammesso da Dio: «Ogni essere che striscia e ha
vita vi servirà da cibo, come le verdi erbe» (9,3). Anche Gesù si
ciba di pesce e persino lo cuoce per i suoi discepoli (Giovanni
21,9-13). È, quindi, uno stato quasi di "necessità"
storica, in cui però
si esclude il "sangue" dell'animale, affermando così una
sorta di rispetto di principio nei confronti della vita e, quindi, di
condanna di ogni violenza gratuita verso i viventi.
In
questa luce si comprende perché nella pienezza della redenzione dal
male, la cosiddetta "escatologia", animali e umani vivano
in gioiosa armonia, come canta il profeta Isaia in una celebre pagina
messianica (11,6-7) che può essere considerata la base per
ipotizzare una nuova creazione alla quale partecipino tutti insieme
uomini, donne e animali (si veda Romani
8,19-22).
Gianfranco
Ravasi
//
Sole 24 Ore Quotidiano 29 gennaio 2012
Il
dilemma dell'onnivoro
Gianfranco Ravasi 12 febbraio 2012
Il «Fermoposta» di domenica 29 gennaio sull'uccisione degli animali a finalità commestibile ha generato uno sciame di reazioni disparate, ora pacate ora eccitate. E proprio perché – come allora scrivevo – la questione è ben più complessa di quanto immaginano gli animalisti estremi o gli "umanisti" radicali, abbiamo pensato di ritornare sull'argomento in modo più generale, anche se non esaustivo, naturalmente secondo la prospettiva culturale cristiana. Quest'ultima, infatti, ha elaborato una sua concezione della natura, originale rispetto alle altre civiltà e per secoli dominante in Occidente. Essa potrebbe essere riassunta in due asserti principali.
Da un lato, la tradizione ebraico-cristiana ha demitologizzato la natura che non è perciò né una divinità né frutto di una generazione divina (così accadeva nelle cosmogonie orientali e nello stesso panteismo stoico o indiano), ma è il risultato di un atto creatore e quindi è una realtà finita e limitata. D'altro lato, pur riconoscendo un legame tra uomo e animali attraverso la vita (rûah o "spirito" vitale), ha affermato una netta distinzione qualitativa tra i due, attraverso l'introduzione di un particolare statuto umano variamente descritto in alcuni passi della Genesi: si pensi al simbolismo dell'«immagine e somiglianza divina» (1,27), alla dotazione della coscienza morale nella «conoscenza del bene e del male» (cc. 2-3) e alla funzione di «governo» delegato, di «nomina» e di «custodia e coltivazione» del creato da parte dell'uomo e della donna (1,26 e 2,15-20). L'accettazione della teoria scientifica dell'evoluzione biologica non è incompatibile con l'affermazione teologica e metafisica della specificità umana, variamente declinata (anima, spiritualità, simbolicità, estetica e così via).
In questa prospettiva non si contesta l'uso nutritivo delle carni animali, sia pure con vincoli di taglio igienico-folclorico-sacrale (ad esempio, le norme di purità rituale che escludono alcuni animali dall'essere commestibili, norme superate però dal cristianesimo, come appare nella visione di san Pietro descritta nel c. 10 degli Atti degli Apostoli). Lapidario è il precetto successivo al diluvio: «Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà da cibo, come le verdi erbe» (Genesi 9,3). Gesù stesso si nutre di pesce e persino lo cuoce per i suoi discepoli, così come è implicito che abbia consumato l'agnello pasquale.
Tutto questo, però, non impedisce che si sia consapevoli del peccato dell'uomo quando prevarica sul creato in modo tirannico e devastante. È, così, sorto un movimento ambientalista e animalista (talora strettamente vegetariano) cristiano che ha inteso richiamare la meta ideale a cui la stessa Bibbia vorrebbe condurre l'umanità e che è dipinta, ad esempio, dal profeta Isaia con sette coppie di esseri viventi, animali e umani che coesistono in perfetta parità e armonia (11,6-8). In questa creazione perfetta ed "escatologica" – nella quale anche gli animali sono coinvolti – la dieta sarà necessariamente vegetariana: «Ecco, io vi do erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero fruttifero: saranno il vostro cibo» (Genesi 1,29).
A una rinnovata sensibilità cosmica, sminuita nella storia del cristianesimo dal l'influsso spiritualistico greco, ha contribuito la figura di san Francesco, anche se la sua era una visione non tanto ecologista ma nettamente teologica, come è attestato dal suo Cantico delle creature: alieno da una concezione panteistica, egli considera il creato come dono di Dio, come segno di bellezza trascendente, come simbolo che conduce al Creatore, sulla scia di quanto si legge nel libro biblico della Sapienza: «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (13,5). Questa ecologia cristiana sorge intorno agli anni Sessanta del secolo scorso in ambito protestante (in particolare con il teologo americano Joseph Sittler e col Faith-Man-Nature Group del Consiglio delle Chiese protestanti d'America).
Ben presto anche il mondo cattolico vi si associa e, tra i tanti passi dei testi magisteriali ufficiali di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sul tema, ricordiamo soprattutto il messaggio del 1° gennaio 1990 di Papa Wojtyla Pace con Dio Creatore, pace con tutto il creato, ove si denuncia la crisi ecologica come questione morale, evocando una nuova solidarietà dell'uomo con le altre creature e il creato. Intanto, però, si stavano affermando anche concezioni ambientaliste e animaliste radicali che si alimentavano a religioni e filosofie orientali di stampo immanentistico e reincazionistico. Si trattava di impostazioni spesso sincretistiche dagli esiti più disparati: tanto per fare un esempio ormai famoso, si pensi al saggio Il Tao della Fisica (Adelphi 1982) del fisico nucleare Fritjof Capra che cercava di conciliare la fisica teoretica col misticismo orientale. Oppure all'altrettanto nota e vasta opera Liberazione animale (Mondadori 1991) del filosofo australiano Peter Singer, incline ad assegnare al mondo animale una superiorità rispetto a quello umano.
In America, anche su impulso della rivalutazione del pensiero degli Indiani aborigeni per i quali tutte le forme di vita sono uguali e appartenenti a un'unica comunità, si è registrato un grande successo (ora, però, in crisi) del movimento New Age che, tra l'altro, propugnava un'ecologia "olistica" di stampo pan-spiritualistico. In questa linea si debordava, anche in ambito cristiano, dalla prospettiva sopra descritta e si adottavano definizioni e descrizioni antropomorfiche per gli animali: anch'essi, ad esempio, avrebbero una coscienza etica, percepirebbero il trascendente e pregherebbero (si veda Michel Damien, Un paradiso per gli animali. L'animale, l'uomo e Dio, Piemme 1987). Un capitolo a sé è quello della sofferenza degli animali, definita un po' enfaticamente «un mistero ancor maggiore rispetto al dolore umano» dalla Teologia degli animali di Paolo De Benedetti (Morcelliana 2007).
D'accordo,
Cristo era carnivoro. Ma succedeva tanto tempo fa...
Caro
Monsignor Ravasi, non si può prendere per oro colato tutto quello
che il vecchio testamento ci riporta
essendo
tale racconto solo la storia del popolo ebraico, E neanche la
presunta parola del Creatore che in molti casi interpretata a nostra
somiglianza giustificai peggiori desideri dell'uomo. Gesù infatti si
fa agnello per una nuova alleanza e per questo entra subito in
conflitto con il potere temporale e spirituale del tempo dopodiché
viene sacrificato nel modo che ben conosciamo. Sul permesso che Gesù
concede al popolo che lo seguiva di mangiare il pesce consideriamo il
tempo in cui si viveva, ma ora la coscienza si è evoluta; però
certo necessiterà molto tempo'prima che gli animali siano davvero
considerati liberi e fino a quel momento non ci sarà vera pace sulla
Terra.
Marco
Melodia
Pastore
protestante e storico del cristianesimo
Eminenza,
la Sua risposta al veterinario F.M. di Bergamo aggira la questione
posta e lascia le cose come stanno. Ella trascura il fatto che dal
1996 con un documento della Chiesa è stata riconosciuta la verità
scientifica dell'evoluzione biologica da una comune origine di tutte
le forme di vita, anche se interpretata finalisticamente (cioè
antiscientificamente) come indirizzata verso la formazione della
specie homo. I teologi, già alcuni decenni
prima (e cito solo il paleontologo Teilhard de Chardin) hanno cercato
di superare tutte le difficoltà dottrinali conseguenti a
incominciare da quella del peccato originale, senza il quale cade
tutta la cristologìa.
Poiché
vi sono alcune interpretazioni teologiche che attribuiscono
l'immortalità dell'anima anche agli animali non umani, mi domando se
questa sia da attribuire a tutti gli animali, compresi gli insetti
come pulci, zecche, zanzare, e perfino ai batteri. Oppure la
sopravvivenza è limitata solo agli animai dotati di coscienza? Già
il filosofo dei diritti degli animali Tom Regan aveva sospeso il
giudizio sulla presenza di coscienza perfino per animali come le
galline. Figuriamoci per gli insetti. Chi siamo noi per poter
escludere scientificamente uno stato di coscienza per insetti,
molluschi e crostacei (per esempio)? Ma vengo alla questione
principale, che mi sta soprattutto a cuore. Io rimprovero alla
Chiesa
di continuare a considerare il diritto naturale di avere ereditato un
concetto di diritto naturale che è quello stesso che nell'età
moderna fu sostenuto da Grazio, Pufendorf, Locke, Leibniz,
Montesquieu, Kant e altri, cioè come diritto della ragione. Ma
allora non si tratta di giusnaturalismo bensì di giusrazionalismo.
Fatta questa lunga premessa rilevo che ancor oggi assurdamente la
Chiesa non ritiene peccato di cui bisogna confessarsi ciò che per la
legge (almeno sulla carta) è reato: il maltrattamento degli animali.
E questo è assai grave da parte della Chiesa, che, inoltre, continua
a conservare un complice silenzio sulla maggiore crudeltà della
macellazione ebraico-islamica. Eminenza, i cristiani vegetariani 0
comunque sensibili alle sofferenze degli animali non umani (odio il
termine «bestie») non si sentono rappresentati dalla Chiesa e le
chiese si stanno svuotando sempre di più anche per questo. I
vegetariani in Italia hanno superato i 6 milioni e sono
in crescita costante. Io, che ho studiato sempre in istituti
religiosi dalle elementari, sono agnostico dall'età di 20 anni e
vegetariano dall'età di 10 anni, e ne ho 72. Sono in pensione da due
anni come professore Universitario di storia della filosofia. È in
corso di stampa un mio dialogo teologico intitolato Addio a Dio.
I diritti d'autore sono devoluti
ad una associazione animalistica.
Pietro
Melis, Cagliari
Il
dolore e la sofferenza delle bestie al macello
Eminenza,
premesso che da tanti anni leggo sempre con interesse e viva
partecipazione quanto scrive su argomenti che riguardano la "mia"
religione, confesso di essere rimasto un po' insoddisfatto per la Sua
risposta al Sig. F.M.
È
ben vero che Ella all'inizio conferma che la questione è molto
complessa e avrebbe potuto affrontarne solo qualche aspetto, ma mi
perdoni, mi aspettavo che si pure di sfuggita Ella affrontasse due
aspetti che a mio avviso sono molto importanti.
Primo,
le sofferenze alla quali sono molto spesso sottoposti gli animali
destinati al macello. Anni fa, per lavoro, ebbi occasione di visitare
uno dei più grandi e attrezzati macelli d'Italia, ed è ben vero che
potei constatare come venivano uccisi con un colpo solo, ma le
povere
bestie già prima avevano perfettamente capito tutto, ed erano
chiaramente terrorizzate. Il dolore non è soltanto fisico, ma anche
psicologico, e gli animali soffrono, godono, si rallegrano, hanno
paura, e quant'altro esattamente come noi.
Secondo.
Io mangio carne e pesce, lo confesso. Noi uomini siamo l'ultimo
anello della catena alimentare e quando uccidiamo un animale per
soddisfare un'esigenza alimentare rientriamo in un meccanismo
"naturale", non c'è dubbio. Ma uccidere per divertimento
no, questo non è ammissibile per un cristiano, e il mancato
riferimento alla caccia e alla pesca sportiva confesso che mi lascia
perplesso.
Guglielmo
Franchi Scarselli, Bologna