L'inaugurazione è lunedi 1 dicembre, ore 16.00
Mostra fotografica:
BIRMANIA DEVI VIVERE!
a cura di Roberto Giussani e Giorgio Gregori
Promossa dalle realtà bergamasche di:
CISL-Dip.to Internazionale ISCOS e Pace,
Greenpeace, Legambiente,WWF,
Associazione ITINERARI-Telgate, CARITAS e
Consulta Provinciale degli Studenti
in collaborazione con il Liceo Artistico Statale di Bergamo
e con il patrocinio di:
1 -13 dicembre 2008
c/o Aula magna Liceo Artistico Statale
Via Torquato Tasso 18, Bergamo
Orari apertura: da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 18.00;
sabato 9.00-12.00; domenica e festivi chiuso.
Ingresso libero.
domenica 30 novembre 2008
global warming - sito per il 21 secolo
su questo sito e' spiegato molto bene
il problema del global warming e
le potenziali soluzioni.
Ho pensato che poteva essere utile semmai
si decida di fare qulache presentazione al pubblico
o alle scuole!...Certo, ha bisogno dei sottotitoli! :) :)
http://www.noe21.org/solutions/
il problema del global warming e
le potenziali soluzioni.
Ho pensato che poteva essere utile semmai
si decida di fare qulache presentazione al pubblico
o alle scuole!...Certo, ha bisogno dei sottotitoli! :) :)
http://www.noe21.org/solutions/
Brescia: s....cambio giocattoli di S. Lucia
S...CAMBIO DI STAGIONE "GIOCATTOLI DI S. LUCIA"
IL MERCATINO DEL LIBERO E GRATUITO SCAMBIO DI GIOCATTOLI
a cura di legambiente,
che si terrà presso la Cascina Maggia, via della Maggia 3 - Brescia
(a 100 mt dall'uscita autostradale di Brescia Centro)
L'obbiettivo che ci poniamo è quello di sensibilizzare i cittadini e le cittadine ad utilizzare per il giusto tempo il prodotto acquistato anche attraverso il passaggio dei giocattoli di mano in mano, realizzando un mercato di scambio tra chi vuole liberarsi dei giocattoli e chi vede ancora potenzialità d'utilizzo.
GIOVEDI 4 dicembre / VENERDI 5 dicembre 2008
dalle ore 09 alle 18: per la consegna dei giocattoli
SABATO 6 Dicembre 2008 per la consegna e il ritiro dei giocattoli
dalle ore 10 alle ore 17
Per info:
Sede Legambiente Brescia 030 3754151
Lucia 3402239622
Isaac 3931478641
Michele 3489014746
Mario 3495794034
IL MERCATINO DEL LIBERO E GRATUITO SCAMBIO DI GIOCATTOLI
a cura di legambiente,
che si terrà presso la Cascina Maggia, via della Maggia 3 - Brescia
(a 100 mt dall'uscita autostradale di Brescia Centro)
L'obbiettivo che ci poniamo è quello di sensibilizzare i cittadini e le cittadine ad utilizzare per il giusto tempo il prodotto acquistato anche attraverso il passaggio dei giocattoli di mano in mano, realizzando un mercato di scambio tra chi vuole liberarsi dei giocattoli e chi vede ancora potenzialità d'utilizzo.
GIOVEDI 4 dicembre / VENERDI 5 dicembre 2008
dalle ore 09 alle 18: per la consegna dei giocattoli
SABATO 6 Dicembre 2008 per la consegna e il ritiro dei giocattoli
dalle ore 10 alle ore 17
Per info:
Sede Legambiente Brescia 030 3754151
Lucia 3402239622
Isaac 3931478641
Michele 3489014746
Mario 3495794034
Brescia: il nuovo piano sosta
«Il Piano Sosta ci riporta indietro»
Premessa
Il Piano Sosta presentato recentemente dall’amministrazione non fornisce alcun elemento aggiornato di analisi relativamente all’evoluzione del traffico veicolare circolante in centro storico e alla domanda e offerta di sosta dei residenti, né affronta, sia pure lontanamente, il tema importante e basilare del ruolo del trasporto pubblico e delle modalità in cui si svolge.
Gli ultimi dati disponibili, risalenti al 2004, dicono di una popolazione residente all’interno delle mura venete pari a 17.500 abitanti (in aumento dell’8,9% rispetto al 1991) e indicano la presenza di 12.500 autorizzazioni a circolare all’interno delle Ztl (zone a traffico limitato per residenti, titolari di permessi speciali e disabili), cui vanno aggiunti tutti i veicoli che comunque possono muoversi in Ztl ( taxi, autobus, mezzi della polizia, flotte aziendali dei prestatori di servizio).
Questo genera, di fatto, una situazione di notevole densità veicolare in spazi ristretti, se si pensa che il nostro centro è di limitata estensione, superando di poco i due chilometri quadrati.
Proposte per la sosta
Le 12 proposte per la sosta in centro storico, contenute nel Piano, sono riconducibili almeno a quattro tipologie fra esse variamente intrecciate.
1. In primo luogo si suggerisce un nuovo incongruo uso delle piazze storiche della città per le automobili.
Infatti - invertendo un processo in corso da molti anni, teso a riqualificare le piazze, anche mediante la liberazione dalla presenza massiccia degli autoveicoli - si intende riempire molti spazi storici ed identitari e/o ad alterare regimi di circolazione e possibilità di sosta, generalmente a scapito dei residenti.
In piazza Duomo, l’introduzione di 60 nuovi posti auto aperti a tutti dalle 16 alle 19,30, l’estensione della possibilità di circolazione davanti alle due chiese e le nuove sistemazioni della sosta per residenti (anche davanti alla torre del Pegol e alla Loggia delle Grida, in area interdetta per motivi di sicurezza), riconsegnano la piazza stessa ad un uso che si pensava superato.
In piazza Tebaldo Brusato, l’assurda recente eliminazione della Ztl attorno alla piazza e che induce una circolazione "libera" parassitaria, verrebbe completata dall’introduzione di 21 parcometri aperti ai non residenti a nord e nord-est con il duplice risultato di contribuire a svilire la piazza stessa e a compromettere la già critica possibilità di sosta per residenti e autorizzati.
E ancora. In piazza Vittoria, la proposta di estendere la sosta in superficie anche ai non residenti, dalle 16 alle 20, oltre a causare un danno per i residenti stessi è incomprensibile a fronte della presenza di un grande parcheggio sotterraneo aperto a tutti. Quanto a piazzale Arnaldo, piazza del Foro e piazza della chiesa di San Faustino, la proposta di "legalizzare" la sosta ove ora è vietata ( in curva fra via Magenta e piazza Arnaldo), la possibilità di entrare in piazza del Foro o nel sagrato vicino alla chiesa di San Faustino, completano il quadro descritto, reintroducendo forme di colonizzazione di spazi pregiati.
2. In secondo luogo, il Piano Sosta, al di là delle piazze, propone l’introduzione di spazi per la sosta in strade e ambiti oggi vietati. Nel primo tratto di corso Magenta (15 nuovi posti), vicino a piazza Arnaldo, in contrada Santa Croce, via Gramsci, corso Martiri della Libertà nuovi spazi di sosta sono previsti usando come unico decisivo parametro la mancanza o meno di intralcio alla circolazione veicolare, come se non vi fossero altri fattori da considerare quali il decoro urbano, le necessità degli utenti deboli e dei ciclisti, il semplice passeggio o le conseguenze sul trasporto pubblico.
In particolare, la proposta di eliminare, a favore della sosta, la corsia riservata agli autobus in Corso Martiri della Libertà, modificando a tal fine il transito delle linee 9, 12 e 17 (che verrebbero obbligate a percorrere via Matteotti) non è affatto analizzata nelle sue implicazioni, ma è di sicuro danno per il trasporto pubblico e nettamente penalizzante per via Matteotti.
3. In terzo luogo, è contenuta nel Piano un’ulteriore riduzione delle Ztl della città e precisamente in contrada del Cavalletto, vie e vicoli limitrofi (Soncin Rotto, Speranza, Solitario), trasformando in sosta a parcometro 89 posti auto oggi riservati ai residenti.
Questa misura implica - con la sua immotivata brutalità e insieme all’avvenuta soppressione della Ztl in Contrada Santa Chiara e in piazza Tebaldo Brusato - che tutte le zone a traffico limitato a Brescia, pur comprendenti vicoli e vie strette in centro antico, possano essere soppresse, con totale o parziale sacrifico della possibilità di sosta per i residenti.
4. Da ultimo, vi è, nelle indicazioni dell’amministrazione, una sicura penalizzazione della residenza. In corso Cavour, via delle Grazie e via Santa Caterina (90 posti auto oggi per residenti verrebbero aperti a tutti), in via F.lli Porcellaga e via San Faustino, la logica è quella di introdurre posti a parcometro a scapito della possibilità di sosta per residenti, la cui domanda non viene del resto mai analizzata.
Grottesca appare poi l’individuazione, in centro, di 23 nuovi posti auto riservati solo ai residenti, una sorta di compensazione per gli spazi sottratti, sottraendoli a ciclomotori e motocicli o alle operazioni di carico e scarico (via IV Novembre e San Faustino), eliminando pilomat e semaforo (piazza del Foro) o legalizzando spazi vietati (Santa Croce).
Un’ulteriore "compensazione" deriverebbe ai residenti da una nuova possibilità di sosta lungo il Ring (via Marsala, Calatafimi e altro). Si tratta di un’indicazione illusoria, chi risiede in area centrale necessita di spazi limitrofi anche per i bisogni della vita familiare e per la sua libertà di movimento.
Sosta in aree esterne
Ma il Piano è anche altro e propone la riduzione della sosta a pagamento in talune aree esterne al centro storico. Attualmente, la sosta a pagamento esterna al centro sottolinea la "centralità" di taluni spazi, centralità che necessita di un alto tasso di rotazione degli autoveicoli per favorire attività commerciali e momenti legati al tempo libero, allo svago e alla cultura.
Secondo le indicazioni del codice della strada, spazi a pagamento di tale natura, in ambiti centrali anche di quartieri periferici, sono possibili ed auspicabili quando altri spazi liberi sono presenti nelle vicinanze.
Le nuove proposte dell’amministrazione – di sapore sfacciatamente populistico – hanno invece carattere davvero anomalo, perché si abolisce la sosta a pagamento anche dove a pochi metri vi è ampia possibilità di sosta libera, con negazione quindi della"centralità" e vitalità dei molti luoghi della città (in via Ambaraga a Mompiano, via Repubblica Argentina, via Corsica, via Volta, via Rodi ed altri). La sosta con parcometro verrebbe eliminata anche quando riferita a particolari situazioni e/o momenti (parcheggio Castellini e Castello), senza peraltro alcuna analisi delle singole situazioni locali.
Va notato, a proposito di sosta, come non vi sia alcuna valutazione degli effetti economici, sulle società del Comune, della modifica delle tariffe di sosta concernenti i parcheggi in struttura e gli spazi a parcometro o degli effetti derivanti dal progetto, presente anch’esso nel Piano, "tolleranza di un quarto d’ora sui parcometri" (si tratta di demagogia di basso profilo, inesistente in Europa a tale livello).
Del resto, è assente qualunque valutazione circa i costi derivanti dalla soppressione di corsie privilegiate per gli autobus e conseguenti riduzioni delle velocità commerciali del trasporto pubblico, come si vorrebbe fare in Corso Martiri della Libertà.
Nuovo parcheggio in galleria
Completa il Piano Sosta la proposta di un nuovo parcheggio in galleria Tito Speri. L’offerta attuale complessiva di sosta a servizio del centro storico, in struttura o meno, supera gli 11.000 posti auto ed è proporzionata all’entità della popolazione e alle attività che in centro si svolgono, come diversi studi hanno dimostrato.
E’ comunque un’offerta superiore a quella che si riscontra, in rapporto alla popolazione stessa e all’estensione del centro, in città comparabili con Brescia come Verona o Padova. Il nuovo parcheggio in Piazza Arnaldo, di cui è in corso l’appalto, completa il quadro descritto, contribuendo a risolvere qualche criticità nella zona est della città.
Un nuovo parcheggio da 600 auto sotto la galleria, oltre a drenare ingenti risorse mai stanziate in alcun strumento di programmazione, altera gravemente tale situazione sostanzialmente equilibrata perché induce un nuovo pesante traffico in una zona critica senza neppure rapportarsi con il grado e la modalità di riempimento dei parcheggi esistenti (primo fra tutti Fossa Bagni).
Non solo, un parcheggio di tal genere entra necessariamente in conflitto con il trasporto pubblico (Lam oggi e metropolitana leggera domani), rispetto al quale vanno previsti - come si ritrova in deliberazioni consiliari che paiono dimenticate - parcheggi di interscambio ben più lontani. E’ incredibile che fattori di tal genere, in una città che sta costruendo una Metropolitana, non vengano neppure presi in considerazione, come se traffico veicolare, spazi per la sosta e trasporto pubblico innovativo fossero entità separate.
Conclusioni
Il Piano Sosta presentato è segno e simbolo di una profonda regressione culturale, per cui il diritto alla mobilità si esercita essenzialmente attraverso il mezzo privato fino a calpestare spazi per residenti, negare luoghi centrali e identitari, contribuire a compromettere trasporto pubblico e qualità ambientale.
La proposta complessiva appare sicuramente anomala nel panorama delle città europee in cui i tre grandi temi di una politica per il Centro Storico – legati alla permanenza e rafforzamento della residenza, alla tutela e valorizzazione delle attività "positive" che vi si svolgono e alla salvaguardia di monumenti e contenitori storici – vengono declinati e risolti in ben altri modi, esaltando in ogni caso ruolo e funzione del trasporto pubblico e di forme alternative di mobilità, senza l’assurda compromissione di spazi vitali.
di Brunelli e Venturini
da quibrescia.it
Premessa
Il Piano Sosta presentato recentemente dall’amministrazione non fornisce alcun elemento aggiornato di analisi relativamente all’evoluzione del traffico veicolare circolante in centro storico e alla domanda e offerta di sosta dei residenti, né affronta, sia pure lontanamente, il tema importante e basilare del ruolo del trasporto pubblico e delle modalità in cui si svolge.
Gli ultimi dati disponibili, risalenti al 2004, dicono di una popolazione residente all’interno delle mura venete pari a 17.500 abitanti (in aumento dell’8,9% rispetto al 1991) e indicano la presenza di 12.500 autorizzazioni a circolare all’interno delle Ztl (zone a traffico limitato per residenti, titolari di permessi speciali e disabili), cui vanno aggiunti tutti i veicoli che comunque possono muoversi in Ztl ( taxi, autobus, mezzi della polizia, flotte aziendali dei prestatori di servizio).
Questo genera, di fatto, una situazione di notevole densità veicolare in spazi ristretti, se si pensa che il nostro centro è di limitata estensione, superando di poco i due chilometri quadrati.
Proposte per la sosta
Le 12 proposte per la sosta in centro storico, contenute nel Piano, sono riconducibili almeno a quattro tipologie fra esse variamente intrecciate.
1. In primo luogo si suggerisce un nuovo incongruo uso delle piazze storiche della città per le automobili.
Infatti - invertendo un processo in corso da molti anni, teso a riqualificare le piazze, anche mediante la liberazione dalla presenza massiccia degli autoveicoli - si intende riempire molti spazi storici ed identitari e/o ad alterare regimi di circolazione e possibilità di sosta, generalmente a scapito dei residenti.
In piazza Duomo, l’introduzione di 60 nuovi posti auto aperti a tutti dalle 16 alle 19,30, l’estensione della possibilità di circolazione davanti alle due chiese e le nuove sistemazioni della sosta per residenti (anche davanti alla torre del Pegol e alla Loggia delle Grida, in area interdetta per motivi di sicurezza), riconsegnano la piazza stessa ad un uso che si pensava superato.
In piazza Tebaldo Brusato, l’assurda recente eliminazione della Ztl attorno alla piazza e che induce una circolazione "libera" parassitaria, verrebbe completata dall’introduzione di 21 parcometri aperti ai non residenti a nord e nord-est con il duplice risultato di contribuire a svilire la piazza stessa e a compromettere la già critica possibilità di sosta per residenti e autorizzati.
E ancora. In piazza Vittoria, la proposta di estendere la sosta in superficie anche ai non residenti, dalle 16 alle 20, oltre a causare un danno per i residenti stessi è incomprensibile a fronte della presenza di un grande parcheggio sotterraneo aperto a tutti. Quanto a piazzale Arnaldo, piazza del Foro e piazza della chiesa di San Faustino, la proposta di "legalizzare" la sosta ove ora è vietata ( in curva fra via Magenta e piazza Arnaldo), la possibilità di entrare in piazza del Foro o nel sagrato vicino alla chiesa di San Faustino, completano il quadro descritto, reintroducendo forme di colonizzazione di spazi pregiati.
2. In secondo luogo, il Piano Sosta, al di là delle piazze, propone l’introduzione di spazi per la sosta in strade e ambiti oggi vietati. Nel primo tratto di corso Magenta (15 nuovi posti), vicino a piazza Arnaldo, in contrada Santa Croce, via Gramsci, corso Martiri della Libertà nuovi spazi di sosta sono previsti usando come unico decisivo parametro la mancanza o meno di intralcio alla circolazione veicolare, come se non vi fossero altri fattori da considerare quali il decoro urbano, le necessità degli utenti deboli e dei ciclisti, il semplice passeggio o le conseguenze sul trasporto pubblico.
In particolare, la proposta di eliminare, a favore della sosta, la corsia riservata agli autobus in Corso Martiri della Libertà, modificando a tal fine il transito delle linee 9, 12 e 17 (che verrebbero obbligate a percorrere via Matteotti) non è affatto analizzata nelle sue implicazioni, ma è di sicuro danno per il trasporto pubblico e nettamente penalizzante per via Matteotti.
3. In terzo luogo, è contenuta nel Piano un’ulteriore riduzione delle Ztl della città e precisamente in contrada del Cavalletto, vie e vicoli limitrofi (Soncin Rotto, Speranza, Solitario), trasformando in sosta a parcometro 89 posti auto oggi riservati ai residenti.
Questa misura implica - con la sua immotivata brutalità e insieme all’avvenuta soppressione della Ztl in Contrada Santa Chiara e in piazza Tebaldo Brusato - che tutte le zone a traffico limitato a Brescia, pur comprendenti vicoli e vie strette in centro antico, possano essere soppresse, con totale o parziale sacrifico della possibilità di sosta per i residenti.
4. Da ultimo, vi è, nelle indicazioni dell’amministrazione, una sicura penalizzazione della residenza. In corso Cavour, via delle Grazie e via Santa Caterina (90 posti auto oggi per residenti verrebbero aperti a tutti), in via F.lli Porcellaga e via San Faustino, la logica è quella di introdurre posti a parcometro a scapito della possibilità di sosta per residenti, la cui domanda non viene del resto mai analizzata.
Grottesca appare poi l’individuazione, in centro, di 23 nuovi posti auto riservati solo ai residenti, una sorta di compensazione per gli spazi sottratti, sottraendoli a ciclomotori e motocicli o alle operazioni di carico e scarico (via IV Novembre e San Faustino), eliminando pilomat e semaforo (piazza del Foro) o legalizzando spazi vietati (Santa Croce).
Un’ulteriore "compensazione" deriverebbe ai residenti da una nuova possibilità di sosta lungo il Ring (via Marsala, Calatafimi e altro). Si tratta di un’indicazione illusoria, chi risiede in area centrale necessita di spazi limitrofi anche per i bisogni della vita familiare e per la sua libertà di movimento.
Sosta in aree esterne
Ma il Piano è anche altro e propone la riduzione della sosta a pagamento in talune aree esterne al centro storico. Attualmente, la sosta a pagamento esterna al centro sottolinea la "centralità" di taluni spazi, centralità che necessita di un alto tasso di rotazione degli autoveicoli per favorire attività commerciali e momenti legati al tempo libero, allo svago e alla cultura.
Secondo le indicazioni del codice della strada, spazi a pagamento di tale natura, in ambiti centrali anche di quartieri periferici, sono possibili ed auspicabili quando altri spazi liberi sono presenti nelle vicinanze.
Le nuove proposte dell’amministrazione – di sapore sfacciatamente populistico – hanno invece carattere davvero anomalo, perché si abolisce la sosta a pagamento anche dove a pochi metri vi è ampia possibilità di sosta libera, con negazione quindi della"centralità" e vitalità dei molti luoghi della città (in via Ambaraga a Mompiano, via Repubblica Argentina, via Corsica, via Volta, via Rodi ed altri). La sosta con parcometro verrebbe eliminata anche quando riferita a particolari situazioni e/o momenti (parcheggio Castellini e Castello), senza peraltro alcuna analisi delle singole situazioni locali.
Va notato, a proposito di sosta, come non vi sia alcuna valutazione degli effetti economici, sulle società del Comune, della modifica delle tariffe di sosta concernenti i parcheggi in struttura e gli spazi a parcometro o degli effetti derivanti dal progetto, presente anch’esso nel Piano, "tolleranza di un quarto d’ora sui parcometri" (si tratta di demagogia di basso profilo, inesistente in Europa a tale livello).
Del resto, è assente qualunque valutazione circa i costi derivanti dalla soppressione di corsie privilegiate per gli autobus e conseguenti riduzioni delle velocità commerciali del trasporto pubblico, come si vorrebbe fare in Corso Martiri della Libertà.
Nuovo parcheggio in galleria
Completa il Piano Sosta la proposta di un nuovo parcheggio in galleria Tito Speri. L’offerta attuale complessiva di sosta a servizio del centro storico, in struttura o meno, supera gli 11.000 posti auto ed è proporzionata all’entità della popolazione e alle attività che in centro si svolgono, come diversi studi hanno dimostrato.
E’ comunque un’offerta superiore a quella che si riscontra, in rapporto alla popolazione stessa e all’estensione del centro, in città comparabili con Brescia come Verona o Padova. Il nuovo parcheggio in Piazza Arnaldo, di cui è in corso l’appalto, completa il quadro descritto, contribuendo a risolvere qualche criticità nella zona est della città.
Un nuovo parcheggio da 600 auto sotto la galleria, oltre a drenare ingenti risorse mai stanziate in alcun strumento di programmazione, altera gravemente tale situazione sostanzialmente equilibrata perché induce un nuovo pesante traffico in una zona critica senza neppure rapportarsi con il grado e la modalità di riempimento dei parcheggi esistenti (primo fra tutti Fossa Bagni).
Non solo, un parcheggio di tal genere entra necessariamente in conflitto con il trasporto pubblico (Lam oggi e metropolitana leggera domani), rispetto al quale vanno previsti - come si ritrova in deliberazioni consiliari che paiono dimenticate - parcheggi di interscambio ben più lontani. E’ incredibile che fattori di tal genere, in una città che sta costruendo una Metropolitana, non vengano neppure presi in considerazione, come se traffico veicolare, spazi per la sosta e trasporto pubblico innovativo fossero entità separate.
Conclusioni
Il Piano Sosta presentato è segno e simbolo di una profonda regressione culturale, per cui il diritto alla mobilità si esercita essenzialmente attraverso il mezzo privato fino a calpestare spazi per residenti, negare luoghi centrali e identitari, contribuire a compromettere trasporto pubblico e qualità ambientale.
La proposta complessiva appare sicuramente anomala nel panorama delle città europee in cui i tre grandi temi di una politica per il Centro Storico – legati alla permanenza e rafforzamento della residenza, alla tutela e valorizzazione delle attività "positive" che vi si svolgono e alla salvaguardia di monumenti e contenitori storici – vengono declinati e risolti in ben altri modi, esaltando in ogni caso ruolo e funzione del trasporto pubblico e di forme alternative di mobilità, senza l’assurda compromissione di spazi vitali.
di Brunelli e Venturini
da quibrescia.it
dossier che guida all'acquisto delle auto meno inquinanti
Pubblicato dal Ministero dell'Ambiente un dossier che guida all'acquisto delle auto meno inquinanti. Il documento contiene anche un vademecum per risparmiare fino al 15% con piccoli accorgimenti nello stile di guida. Tabelle con consumi ed emissioni di anidride carbonica di tutti i modelli in commercio.
http://www2.minambiente.it/pdf_www2/ras/guida_risparmio_carburante_co2.pdf
http://www2.minambiente.it/pdf_www2/ras/guida_risparmio_carburante_co2.pdf
CLIMA: GERMANIA; KYOTO RAGGIUNTO CON 4 ANNI ANTICIPO
(ANSA) - BERLINO, 28 NOV - La Germania ha gia' raggiunto, con quattro anni di anticipo rispetto al previsto, gli obiettivi di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra. Lo ha detto oggi il ministero dell'Ambiente tedesco, confermando i risultati di uno studio anticipato dal quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung. Secondo lo studio, del centro ricerche americano (National emission inventory), al 2007 queste emissioni sono state ridotte del 22,4% rispetto al livello del 1990, con un miglioramento del 2,4% sull'obiettivo stesso del Paese. Nel 1997, infatti, la Germania si impegno' a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 21% entro il 2012 nel quadro degli accordi di Kyoto. ''I dati mostrano il successo registrato dalla politica tedesca di protezione dell'ambiente - ha commentato il ministro dell'Ambiente, Sigmar Gabriel - sembra che la Germania si avvii a diventare uno dei pochi paesi che raggiungeranno gli obbiettivi di Kyoto''. Le riduzioni ottenute, ha spiegato il ministero, sono particolarmente rilevanti nel settore industriale, ma sono state ridotte notevolmente anche le emissioni legate ai consumi delle famiglie. Lo studio, secondo cui le emissioni di gas serra sono diminuite in parte anche grazie all'inverno mite del 2006-2007, che ha permesso un minore consumo di combustibile, mostra in particolare che dal 1999 a oggi c'e' stata una notevole diminuzione di questi gas legati al traffico stradale.
----
commento di Danilo Scaramella - Brescia
Chi ha frequentato la Germania negli ultimi 10 anni ha potuto rendersi conto visivamente delle trasformazioni che hanno condotto a questo risultato.
C'è stato un fiorire di cantieri per il recupero energetico degli edifici esistenti e la costruzione di nuovi edifici ad elevatissimo livello di isolamento termico.
Sui tetti delle case sono fioriti in modo diffuso impianti solari termici e fotovoltaici (da loro il solare rende mediamente il 30% meno che in Lombardia!), ma soprattutto sulle colline ormai è normale vedere generatori eolici.
Alla luce di questo è tanto più penoso e umiliante vedere i nostri governanti fare il giro delle capitali europee per chiedere proroghe e deroghe affermando che il rispetto degli obiettivi di Kyoto e dell'accordo 20-20-20 metterebbe in ginocchio l'industria, è vero esattamente il contrario, gli investimenti nel risparmio energetico e nelle rinnovabili costituisce un volano per l'economia!
----
commento di Danilo Scaramella - Brescia
Chi ha frequentato la Germania negli ultimi 10 anni ha potuto rendersi conto visivamente delle trasformazioni che hanno condotto a questo risultato.
C'è stato un fiorire di cantieri per il recupero energetico degli edifici esistenti e la costruzione di nuovi edifici ad elevatissimo livello di isolamento termico.
Sui tetti delle case sono fioriti in modo diffuso impianti solari termici e fotovoltaici (da loro il solare rende mediamente il 30% meno che in Lombardia!), ma soprattutto sulle colline ormai è normale vedere generatori eolici.
Alla luce di questo è tanto più penoso e umiliante vedere i nostri governanti fare il giro delle capitali europee per chiedere proroghe e deroghe affermando che il rispetto degli obiettivi di Kyoto e dell'accordo 20-20-20 metterebbe in ginocchio l'industria, è vero esattamente il contrario, gli investimenti nel risparmio energetico e nelle rinnovabili costituisce un volano per l'economia!
mercoledì 26 novembre 2008
L’ecodieta per abbattere il CO2
L’ecodieta per abbattere il CO2
Non resistete alla tentazione di mangiare delle primizie a gennaio che vengono, magari, da un altro continente e hanno quindi un trasporto ad alto carico di CO2? Se proprio non riuscite a farne a meno, potete provvedere a riequilibriare la vostra "dieta" di CO2, proprio come fareste con una normale dieta alimentare.
Come? scoprirlo è semplice: su www.ecodieta.it, ognuno di noi può sapere quante emissioni di CO2 sono legate ad ogni sua azione quotidiana e, soprattutto, come ridurle senza eccessivi sforzi o sacrifici. Solo con un po’ di attenzione in più, infatti, ognuno nel suo piccolo può contribuire a risolvere il problema del riscaldamento globale.
L’obiettivo dell’ultima iniziativa di Enel nell’ambito del Progetto Ambiente e Innovazione, che dedica importanti risorse allo sviluppo di progetti innovativi per la salvaguardia dell’ambiente e delle energie rinnovabili, è sensibilizzare cittadini e consumatori sulla necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera ormai conosciuta da tutti come CO2 il gas ritenuto il principale responsabile dell’effetto serra e, quindi, dei cambiamenti climatici.
Entrando nel sito www.ecodieta.it, si apriranno le porte di un appartamento virtuale: nelle varie stanze della casa si potranno simulare diverse attività come lavarsi, cucinare, accendere o spegnere gli elettrodomestici. All’esterno della casa si potranno invece utilizzare anche i diversi mezzi di trasporto. Al primo ingresso il visitatore sarà invitato a calcolare il livello medio di produzione di CO2 di una sua giornatatipo. E scoprirà, con molta sorpresa, che anche i suoi più piccoli gesti quotidiani sono sufficienti a immettere nell’atmosfera centinaia di chili l’anno di anidride carbonica.
Grazie a un pratico "ecocalcolatore", messo a punto con la collaborazione di AzzeroCO2 una "esco" (Energy Service Company) specializzata nel neutralizzare le emissioni di gas serra grazie a progetti che utilizzano fonti rinnovabili, interventi di risparmio energetico e di forestazione in Italia e all’estero l’utente troverà tutta una serie di indicazioni per ridurre del 20% la sua produzione di CO2, lo stesso target già raggiunto da Enel.
Numerosi sono i suggerimenti utili. Una riduzione del termostato di appena un grado, da 21 a 20, può evitare fino a 300 kg di CO2 l’anno. Anche lavandosi i denti e radendosi si può contribuire alla salute del pianeta: chiudendo il rubinetto tra un’operazione e l’altra il risparmio può essere, rispettivamente, di quasi 50 e 25 kg di CO2 l’anno. Sostituire le tradizionali lampade a incandescenza con lampadine a basso consumo fa risparmiare sulla bolletta e collaborare alla lotta contro il riscaldamento globale.
E’ inoltre ecologico, oltre che comodo, chiedere di ricevere soltanto via email le bollette, riducendo gli effetti di produzione, stampa e consegne. Ogni bolletta, infatti, "pesa" circa 145 grammi di anidride carbonica.
(M.d.A.)
da "repubblica affari e finanza" del 24 novembre 2008
Non resistete alla tentazione di mangiare delle primizie a gennaio che vengono, magari, da un altro continente e hanno quindi un trasporto ad alto carico di CO2? Se proprio non riuscite a farne a meno, potete provvedere a riequilibriare la vostra "dieta" di CO2, proprio come fareste con una normale dieta alimentare.
Come? scoprirlo è semplice: su www.ecodieta.it, ognuno di noi può sapere quante emissioni di CO2 sono legate ad ogni sua azione quotidiana e, soprattutto, come ridurle senza eccessivi sforzi o sacrifici. Solo con un po’ di attenzione in più, infatti, ognuno nel suo piccolo può contribuire a risolvere il problema del riscaldamento globale.
L’obiettivo dell’ultima iniziativa di Enel nell’ambito del Progetto Ambiente e Innovazione, che dedica importanti risorse allo sviluppo di progetti innovativi per la salvaguardia dell’ambiente e delle energie rinnovabili, è sensibilizzare cittadini e consumatori sulla necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera ormai conosciuta da tutti come CO2 il gas ritenuto il principale responsabile dell’effetto serra e, quindi, dei cambiamenti climatici.
Entrando nel sito www.ecodieta.it, si apriranno le porte di un appartamento virtuale: nelle varie stanze della casa si potranno simulare diverse attività come lavarsi, cucinare, accendere o spegnere gli elettrodomestici. All’esterno della casa si potranno invece utilizzare anche i diversi mezzi di trasporto. Al primo ingresso il visitatore sarà invitato a calcolare il livello medio di produzione di CO2 di una sua giornatatipo. E scoprirà, con molta sorpresa, che anche i suoi più piccoli gesti quotidiani sono sufficienti a immettere nell’atmosfera centinaia di chili l’anno di anidride carbonica.
Grazie a un pratico "ecocalcolatore", messo a punto con la collaborazione di AzzeroCO2 una "esco" (Energy Service Company) specializzata nel neutralizzare le emissioni di gas serra grazie a progetti che utilizzano fonti rinnovabili, interventi di risparmio energetico e di forestazione in Italia e all’estero l’utente troverà tutta una serie di indicazioni per ridurre del 20% la sua produzione di CO2, lo stesso target già raggiunto da Enel.
Numerosi sono i suggerimenti utili. Una riduzione del termostato di appena un grado, da 21 a 20, può evitare fino a 300 kg di CO2 l’anno. Anche lavandosi i denti e radendosi si può contribuire alla salute del pianeta: chiudendo il rubinetto tra un’operazione e l’altra il risparmio può essere, rispettivamente, di quasi 50 e 25 kg di CO2 l’anno. Sostituire le tradizionali lampade a incandescenza con lampadine a basso consumo fa risparmiare sulla bolletta e collaborare alla lotta contro il riscaldamento globale.
E’ inoltre ecologico, oltre che comodo, chiedere di ricevere soltanto via email le bollette, riducendo gli effetti di produzione, stampa e consegne. Ogni bolletta, infatti, "pesa" circa 145 grammi di anidride carbonica.
(M.d.A.)
da "repubblica affari e finanza" del 24 novembre 2008
L’onda anomala del professor Jones così in classe si costruisce il nazismo
S’intitola L’Onda, ma non parla di studenti e rivolta. Racconta piuttosto il contrario, le conseguenze di una deliberata estrema obbedienza di un gruppo di ragazzi al loro professore. E’ una storia vera che ha ispirato un libro di successo e ora un film tedesco in concorso al Festival di Torino: Die Welle, L’Onda.
TORINO La trama è fedelissima al fatto reale, l´esperimento ideato dal professor Ron Jones nel liceo Cubberley di Palo Alto, California, nel 1967. Lo scopo era di capire come si diventa nazisti. «La domanda degli studenti è stata: come ha potuto il popolo tedesco tollerare, anzi aderire in massa al totalitarismo, accettare i campi di sterminio, obbedire ciecamente a Hitler?» scrive Jones nel suo diario.
La lezione di storia naturale si rivela inadeguata. Gli studenti prendono un´aria annoiata, del genere: «Ok, abbiamo capito, oggi da noi non potrebbe succedere». Il professore allora propone un esperimento. Per qualche giorno i ragazzi dovranno sottomettersi alla sua autorità, chiamarlo «signor professore» e seguire le lezioni con la testa dritta e il petto all´infuori. La risposta degli studenti è dapprima divertita, poi entusiasta. Sono loro stessi a proporre i sistemi per rendere compatto e disciplinato il gruppo. Si danno un nome, l´Onda con un logo e un saluto: una mano tesa all´altezza del cuore.
Quindi una divisa, jeans e camicia bianca, per diventare tutti uguali. Si alzano in piedi all´ingresso del signor professore, compiono esercizi ginnici, urlano slogan ad alta voce: «La forza è nella comunità». Il professor Jones è stupito del suo successo e anche affascinato. Confida alla moglie: «In un certo senso, ho scoperto un metodo di insegnamento che funziona. I ragazzi imparano in fretta e alla grande. E´ assurdo, ma prima non avevano neppure posti fissi in classe, e ora che non c´è più libertà stanno seduti ai loro posti, rispondo a tutte le domande e si aiutano a vicenda». Dopo i primi giorni, compaiono alcuni effetti collaterali. Gli studenti isolano e denunciano i compagni che esprimono dubbi. Gli alunni delle altre classi si dividono, alcuni chiedono di far parte dell´Onda, altri sono disgustati e reclamano la fine dell´esperimento.
Scoppiano le prime violenze. Un mattino Jones viene affiancato da un suo studente che si qualifica come guardia del corpo. Capisce che l´esperimento gli è completamente sfuggito di mano, ha creato un nucleo perfetto di nazisti, ma è troppo tardi. Si corre verso l´epilogo, dal gioco al massacro.
La storia vera racchiusa nel diario di Ron Jones, il bel libro di Morton Ruhe ("Die Welle") divenuto un classico della letteratura per ragazzi, e il notevole film di Dennis Gansel presentato a Torino, hanno in comune una doppia lettura. Una antropologica, il bisogno primordiale della scimmia umana di sottoporsi al comando di un capo. Un bisogno tanto più emergente nell´età della crisi, nell´adolescenza in cui non si sa chi si è e quindi si può diventare qualsiasi cosa. L´altra lettura è l´attualità. A metà dell´esperimento il professore il protagonista del film, ambientato nella Germania di oggi, scrive sulla lavagna, sotto dettatura degli studenti, l´elenco delle cause che possono portare a un regime. Nell´ordine: la globalizzazione, la crisi economica, la disoccupazione, l´aumento dell´ingiustizia sociale, la manipolazione dei mezzi di informazione, la delusione della politica democratica, il ritorno del nazionalismo e la xenofobia. Sono le sementi che negli anni Venti hanno fecondato il terreno del fascismo e del nazismo in Europa. Sono gli stessi problemi, qui e ora.
All´uscita in Germania, nella primavera scorsa, Die Welle ha scatenato un prevedibile fiume di polemiche. "Der Spiegel" l´ha definito uno dei film più importanti degli ultimi anni, perché racconta l´eterno fascino del totalitarismo. Un fascino reale e in definitiva anche semplice da capire, quasi naturale, per quanto negato da un eccesso di politicamente corretto. "Die Welt" ha opposto l´opinione che i meccanismi totalitari, così inesorabili sulla pellicola, troverebbero oggi enormi resistenze nella realtà. Una parte della stampa ha mosso un´obiezione etica: i giovani neonazisti dell´Onda, nel loro solidarismo, possono risultare al pubblico delle sale assai più simpatici e normali degli studenti anarcoidi degli altri corsi.
L´obiezione sarebbe giustificata, se non fosse che nella realtà funziona quasi sempre così. Fra molte brave persone del Nord, per rimanere dalle nostre parti, i protagonisti delle ronde padane risultano assai più vicini degli intellettualoidi difensori di Rom e immigrati. Ron Jones, la cui vita è stata sconvolta per sempre dal gioco dell´Onda, ha scritto: «L´esperimento ha funzionato perché molti di quei ragazzi erano smarriti, non avevano una famiglia, non avevano una comunità, non avevano un senso di appartenenza. E a un certo punto è arrivato qualcuno a dirgli: io posso darvi tutto questo».
di Curzio Maltese da la Repubblica del 24 novembre 2008
TORINO La trama è fedelissima al fatto reale, l´esperimento ideato dal professor Ron Jones nel liceo Cubberley di Palo Alto, California, nel 1967. Lo scopo era di capire come si diventa nazisti. «La domanda degli studenti è stata: come ha potuto il popolo tedesco tollerare, anzi aderire in massa al totalitarismo, accettare i campi di sterminio, obbedire ciecamente a Hitler?» scrive Jones nel suo diario.
La lezione di storia naturale si rivela inadeguata. Gli studenti prendono un´aria annoiata, del genere: «Ok, abbiamo capito, oggi da noi non potrebbe succedere». Il professore allora propone un esperimento. Per qualche giorno i ragazzi dovranno sottomettersi alla sua autorità, chiamarlo «signor professore» e seguire le lezioni con la testa dritta e il petto all´infuori. La risposta degli studenti è dapprima divertita, poi entusiasta. Sono loro stessi a proporre i sistemi per rendere compatto e disciplinato il gruppo. Si danno un nome, l´Onda con un logo e un saluto: una mano tesa all´altezza del cuore.
Quindi una divisa, jeans e camicia bianca, per diventare tutti uguali. Si alzano in piedi all´ingresso del signor professore, compiono esercizi ginnici, urlano slogan ad alta voce: «La forza è nella comunità». Il professor Jones è stupito del suo successo e anche affascinato. Confida alla moglie: «In un certo senso, ho scoperto un metodo di insegnamento che funziona. I ragazzi imparano in fretta e alla grande. E´ assurdo, ma prima non avevano neppure posti fissi in classe, e ora che non c´è più libertà stanno seduti ai loro posti, rispondo a tutte le domande e si aiutano a vicenda». Dopo i primi giorni, compaiono alcuni effetti collaterali. Gli studenti isolano e denunciano i compagni che esprimono dubbi. Gli alunni delle altre classi si dividono, alcuni chiedono di far parte dell´Onda, altri sono disgustati e reclamano la fine dell´esperimento.
Scoppiano le prime violenze. Un mattino Jones viene affiancato da un suo studente che si qualifica come guardia del corpo. Capisce che l´esperimento gli è completamente sfuggito di mano, ha creato un nucleo perfetto di nazisti, ma è troppo tardi. Si corre verso l´epilogo, dal gioco al massacro.
La storia vera racchiusa nel diario di Ron Jones, il bel libro di Morton Ruhe ("Die Welle") divenuto un classico della letteratura per ragazzi, e il notevole film di Dennis Gansel presentato a Torino, hanno in comune una doppia lettura. Una antropologica, il bisogno primordiale della scimmia umana di sottoporsi al comando di un capo. Un bisogno tanto più emergente nell´età della crisi, nell´adolescenza in cui non si sa chi si è e quindi si può diventare qualsiasi cosa. L´altra lettura è l´attualità. A metà dell´esperimento il professore il protagonista del film, ambientato nella Germania di oggi, scrive sulla lavagna, sotto dettatura degli studenti, l´elenco delle cause che possono portare a un regime. Nell´ordine: la globalizzazione, la crisi economica, la disoccupazione, l´aumento dell´ingiustizia sociale, la manipolazione dei mezzi di informazione, la delusione della politica democratica, il ritorno del nazionalismo e la xenofobia. Sono le sementi che negli anni Venti hanno fecondato il terreno del fascismo e del nazismo in Europa. Sono gli stessi problemi, qui e ora.
All´uscita in Germania, nella primavera scorsa, Die Welle ha scatenato un prevedibile fiume di polemiche. "Der Spiegel" l´ha definito uno dei film più importanti degli ultimi anni, perché racconta l´eterno fascino del totalitarismo. Un fascino reale e in definitiva anche semplice da capire, quasi naturale, per quanto negato da un eccesso di politicamente corretto. "Die Welt" ha opposto l´opinione che i meccanismi totalitari, così inesorabili sulla pellicola, troverebbero oggi enormi resistenze nella realtà. Una parte della stampa ha mosso un´obiezione etica: i giovani neonazisti dell´Onda, nel loro solidarismo, possono risultare al pubblico delle sale assai più simpatici e normali degli studenti anarcoidi degli altri corsi.
L´obiezione sarebbe giustificata, se non fosse che nella realtà funziona quasi sempre così. Fra molte brave persone del Nord, per rimanere dalle nostre parti, i protagonisti delle ronde padane risultano assai più vicini degli intellettualoidi difensori di Rom e immigrati. Ron Jones, la cui vita è stata sconvolta per sempre dal gioco dell´Onda, ha scritto: «L´esperimento ha funzionato perché molti di quei ragazzi erano smarriti, non avevano una famiglia, non avevano una comunità, non avevano un senso di appartenenza. E a un certo punto è arrivato qualcuno a dirgli: io posso darvi tutto questo».
di Curzio Maltese da la Repubblica del 24 novembre 2008
I ricchi dovrebbero essere tutti di sinistra
"I ricchi dovrebbero essere tutti di sinistra, per dormire meglio la notte sapendo che i poveri hanno abbastanza soldi per vivere bene e non progettare di infilzarli sui forconi" John Kennet Galbraith, da "diario" di repubblica dedicato al new deal, martedi 25 novembre 2008
sabato 15 novembre 2008
come disdire l'abbonamento rai
La televisione italiana è una delle migliori al mondo (figuriamoci le altre!...).
Ritengo che valga la pena pagare il canone solo per alcuni programmi che meritano a mio parere di essere sostenuti: Ulisse (Alberto Angela) Passepartout (Philippe Daverio) e quello sulla solidarietà che lo precede "Storie di Vita", report (Gabanelli) e pochi altri.
Chi volesse buttare via la tv e darsi ad una vita migliore, ecco cosa deve fare:
Disdetta dell'abbonamento
La disdetta dell’abbonamento, si realizza esclusivamente al verificarsi dei seguenti eventi:
# L’abbonato cede tutti gli apparecchi in suo possesso dando esatta comunicazione delle generalita’ e indirizzo del nuovo possessore.
# L’abbonato comunica di non essere piu’ in possesso di alcun apparecchio fornendone adeguata comunicazione (ad es. per furto o incendio).
La disdetta dell’abbonamento alla televisione denunciata entro il 31 dicembre dispensa dal pagamento del canone dal 1 gennaio dell’anno successivo.
La disdetta dell’abbonamento alla televisione denunciata entro il 30 giugno dispensa dal pagamento del canone dal primo luglio. Qualora l’abbonato abbia gia’ corrisposto l’intera annualita’ non e’ previsto per legge chiedere il rimborso.
Poiche’ il pagamento trimestrale costituisce una rata del canone semestrale non e’ possibile dare disdetta dell’abbonamento senza aver corrisposto almeno l’importo per il semestre.
# Nel caso che gli abbonati intendano rinunciare all’abbonamento senza cedere ad altri i loro apparecchi, devono presentare disdetta, entro il 31 dicembre, chiedendo il suggellamento degli apparecchi stessi.
(art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
La disdetta con richiesta di suggellamento degli apparecchi, se presentata entro il 31 Dicembre, dispensa dal pagamento del canone dal primo gennaio dell’anno successivo.
Contemporaneamente all’invio della disdetta gli abbonati devono versare all’Agenzia delle Entrate - S.A.T. Sportello Abbonamenti TV - Ufficio Torino 1 - c.p. 22 – 10121 Torino Vaglia e Risparmi, indicando nella causale il numero dell’abbonamento, l’importo di € 5,16 per ogni apparecchio da suggellare. (art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
Il suggellamento consiste nel rendere inutilizzabili, generalmente mediante chiusura in appositi involucri, tutti gli apparecchi posseduti dal titolare dell’abbonamento e dagli appartenenti al suo nucleo familiare presso qualsiasi luogo di loro residenza o dimora. (art. 10 e 12 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
La disdetta deve essere inviata a mezzo raccomandata all’Agenzia delle Entrate S.A.T. - Sportello Abbonamenti TV - Ufficio Torino 1 - c.p. 22 – 10121 Torino. (art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
In mancanza di regolare disdetta l’abbonamento si intende tacitamente rinnovato. R.D.L. 21/02/1938 n. 246
da www.abbonamenti.rai.it
Ritengo che valga la pena pagare il canone solo per alcuni programmi che meritano a mio parere di essere sostenuti: Ulisse (Alberto Angela) Passepartout (Philippe Daverio) e quello sulla solidarietà che lo precede "Storie di Vita", report (Gabanelli) e pochi altri.
Chi volesse buttare via la tv e darsi ad una vita migliore, ecco cosa deve fare:
Disdetta dell'abbonamento
La disdetta dell’abbonamento, si realizza esclusivamente al verificarsi dei seguenti eventi:
# L’abbonato cede tutti gli apparecchi in suo possesso dando esatta comunicazione delle generalita’ e indirizzo del nuovo possessore.
# L’abbonato comunica di non essere piu’ in possesso di alcun apparecchio fornendone adeguata comunicazione (ad es. per furto o incendio).
La disdetta dell’abbonamento alla televisione denunciata entro il 31 dicembre dispensa dal pagamento del canone dal 1 gennaio dell’anno successivo.
La disdetta dell’abbonamento alla televisione denunciata entro il 30 giugno dispensa dal pagamento del canone dal primo luglio. Qualora l’abbonato abbia gia’ corrisposto l’intera annualita’ non e’ previsto per legge chiedere il rimborso.
Poiche’ il pagamento trimestrale costituisce una rata del canone semestrale non e’ possibile dare disdetta dell’abbonamento senza aver corrisposto almeno l’importo per il semestre.
# Nel caso che gli abbonati intendano rinunciare all’abbonamento senza cedere ad altri i loro apparecchi, devono presentare disdetta, entro il 31 dicembre, chiedendo il suggellamento degli apparecchi stessi.
(art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
La disdetta con richiesta di suggellamento degli apparecchi, se presentata entro il 31 Dicembre, dispensa dal pagamento del canone dal primo gennaio dell’anno successivo.
Contemporaneamente all’invio della disdetta gli abbonati devono versare all’Agenzia delle Entrate - S.A.T. Sportello Abbonamenti TV - Ufficio Torino 1 - c.p. 22 – 10121 Torino Vaglia e Risparmi, indicando nella causale il numero dell’abbonamento, l’importo di € 5,16 per ogni apparecchio da suggellare. (art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
Il suggellamento consiste nel rendere inutilizzabili, generalmente mediante chiusura in appositi involucri, tutti gli apparecchi posseduti dal titolare dell’abbonamento e dagli appartenenti al suo nucleo familiare presso qualsiasi luogo di loro residenza o dimora. (art. 10 e 12 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
La disdetta deve essere inviata a mezzo raccomandata all’Agenzia delle Entrate S.A.T. - Sportello Abbonamenti TV - Ufficio Torino 1 - c.p. 22 – 10121 Torino. (art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246)
In mancanza di regolare disdetta l’abbonamento si intende tacitamente rinnovato. R.D.L. 21/02/1938 n. 246
da www.abbonamenti.rai.it
giovedì 13 novembre 2008
prendete un libro....
PRENDETE UN LIBRO.
FATTO? NO, NON L’AVETE PRESO.
NON L'AVETE PRESO TUTTO: UN LIBRO E QUALCOSA CHE VI SFUGGE
E VI SUPERA DI CONTINUO, TANTO È ESTESO NELLO SPAZIO E NEL TEMPO.
Nello spazio perché i libri attraversano il mondo più velocemente di noi e dei nostri pensieri. Nel tempo perché la giostra degli anni ha per loro una antica e ben nota clemenza. È il caso dell'Haggadah di Sarajevo, un piccolo ma importantissimo volume della tradizione ebraica che narra l'esodo dall'Egitto e che nasconde nelle pieghe della sua rilegatura seicento anni di storia. Nasce in Spagna nel XIV secolo, ed è il frutto incandescente di una ribellione al dettato biblico che impone agli ebrei di non raffigurare la divinità attraverso le immagini.
Nel caso dell'Haggadah le immagini servono a facilitarne l'uso conviviale e familiare, il passaggio tra le generazioni. E a salvare il libro stesso, affidandogli un carico di sconvolgente bellezza in grado di commuovere i peggiori inquisitori.
Che differenza c'è tra te persone di carne e quelle persone di carta che sono i libri? Prendete l'Haggadah: è un libro vivo e pulsante, un superstite delle peggiori tragedie. Fu salvato dall'odio nazista nel 1941 e poi, mezzo secolo dopo, dalle bombe dei serbi su Sarajevo. In quella città martoriata, gli angeli custodi del libro sono due bibliotecari musulmani, e questo la dice lunga sul valore interculturale e invincibilmente umano di tutti i libri, di tutti i colori e lingue del mondo. I libri sono posti dove le persone si incontrano e si confrontano, luoghi immateriali fatti di parole e scie di parole che attraversano il pianeta senza fermarsi. In ogni generazione può trovarsi qualcuno che ha il coraggio di opporsi alla propaganda e dire che ciò che ci unisce è più grande e importante di ciò che ci divide. Prendete un libro. Non ci riuscirete, non potete davvero prendere un libro: nessun abbraccio umano è tanto grande. Però potete provarci. Potete provarci sussurrando a voi stessi che è una cosa che vale la pena di fare, che è qualcosa che fa bene. Potete, anzi dovete provare a prendere un libro. Perché in fondo, tentandoci, potreste ritrovarvi in mano il mondo.
di Geraldine Brooks
scrittrice e giornalista australiana. Premio Pulitzer nel 2006, ha di recente pubblicato I custodi del libro (Neri Pozza)
25 OTTOBRE 2008
FATTO? NO, NON L’AVETE PRESO.
NON L'AVETE PRESO TUTTO: UN LIBRO E QUALCOSA CHE VI SFUGGE
E VI SUPERA DI CONTINUO, TANTO È ESTESO NELLO SPAZIO E NEL TEMPO.
Nello spazio perché i libri attraversano il mondo più velocemente di noi e dei nostri pensieri. Nel tempo perché la giostra degli anni ha per loro una antica e ben nota clemenza. È il caso dell'Haggadah di Sarajevo, un piccolo ma importantissimo volume della tradizione ebraica che narra l'esodo dall'Egitto e che nasconde nelle pieghe della sua rilegatura seicento anni di storia. Nasce in Spagna nel XIV secolo, ed è il frutto incandescente di una ribellione al dettato biblico che impone agli ebrei di non raffigurare la divinità attraverso le immagini.
Nel caso dell'Haggadah le immagini servono a facilitarne l'uso conviviale e familiare, il passaggio tra le generazioni. E a salvare il libro stesso, affidandogli un carico di sconvolgente bellezza in grado di commuovere i peggiori inquisitori.
Che differenza c'è tra te persone di carne e quelle persone di carta che sono i libri? Prendete l'Haggadah: è un libro vivo e pulsante, un superstite delle peggiori tragedie. Fu salvato dall'odio nazista nel 1941 e poi, mezzo secolo dopo, dalle bombe dei serbi su Sarajevo. In quella città martoriata, gli angeli custodi del libro sono due bibliotecari musulmani, e questo la dice lunga sul valore interculturale e invincibilmente umano di tutti i libri, di tutti i colori e lingue del mondo. I libri sono posti dove le persone si incontrano e si confrontano, luoghi immateriali fatti di parole e scie di parole che attraversano il pianeta senza fermarsi. In ogni generazione può trovarsi qualcuno che ha il coraggio di opporsi alla propaganda e dire che ciò che ci unisce è più grande e importante di ciò che ci divide. Prendete un libro. Non ci riuscirete, non potete davvero prendere un libro: nessun abbraccio umano è tanto grande. Però potete provarci. Potete provarci sussurrando a voi stessi che è una cosa che vale la pena di fare, che è qualcosa che fa bene. Potete, anzi dovete provare a prendere un libro. Perché in fondo, tentandoci, potreste ritrovarvi in mano il mondo.
di Geraldine Brooks
scrittrice e giornalista australiana. Premio Pulitzer nel 2006, ha di recente pubblicato I custodi del libro (Neri Pozza)
25 OTTOBRE 2008
mercoledì 12 novembre 2008
al gore - la battaglia di barack per salvare l'ambiente
La battaglia di Barack per salvare l´ambiente
Al Gore - La Repubblica 10 novembre 2008
La scelta ispirata e rivoluzionaria del popolo americano di eleggere Obama come nostro presidente costituisce la premessa per un´altra scelta fatidica che egli - e noi con lui - deve effettuare per salvare in extremis la civiltà dall´incombente minaccia della crisi del clima.
L´elettrizzante riscatto della rivoluzionaria dichiarazione americana secondo la quale tutti gli esseri umani sono uguali prepara il terreno a un rinnovo della leadership statunitense in un mondo che necessita disperatamente di proteggere la sua virtù primaria: l´integrità e la vivibilità stessa del pianeta.
La massima autorità al mondo in tema di crisi del clima, l´Intergovernmental Panel on Climate Change, dopo venti anni di studi dettagliati, afferma adesso che le prove sono "inequivocabili". A coloro che sono tuttora tentati di liquidare i sempre più urgenti segnali di allarme lanciati dagli scienziati di tutto il mondo io dico: svegliatevi!
Ecco una buona notizia: le iniziative temerarie e di grossa portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica.
Economisti di tutto lo spettro politico - tra i quali anche Martin Feldstein e Lawrence Summers - concordano sul fatto che ingenti e rapidi investimenti in un´iniziativa volta a migliorare le infrastrutture creando posti di lavoro costituirebbero il modo migliore per rianimare rapidamente e in modo sostenibile la nostra economia. Molti inoltre concordano anche sul fatto che la nostra economia continuerà a peggiorare se continueremo a spendere centinaia di miliardi di dollari per acquistare ogni anno petrolio dall´estero.
Come disse Abraham Lincoln durante le ore più preoccupanti e cupe per l´America, «L´occasione presenta enormi difficoltà e noi dovremo elevarci di conseguenza. Poiché la situazione che ci si presenta è nuova, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo». Nel nostro caso, pensare in modo nuovo impone di liquidare una ormai obsoleta, fallace e fatale definizione del problema che ci sta di fronte.
Trentacinque anni fa, in questa settimana che si è appena conclusa, il presidente Richard Nixon varò il Progetto Indipendenza, che fissava l´obiettivo per tutti gli Stati Uniti di raggiungere entro sette anni "la capacità di far fronte alle nostre esigenze energetiche senza dipendere da fonti energetiche straniere". La sua dichiarazione risuonò a tre settimane di distanza da quando l´embargo del petrolio arabo aveva mandato alle stelle il prezzo del barile e fece inopinatamente comprendere all´America intera i rischi della dipendenza dal petrolio straniero.
All´epoca gli Stati Uniti importavano meno di un terzo del loro petrolio dai Paesi stranieri. Eppure, ancor oggi, dopo che sei presidenti che hanno occupato la poltrona di Nixon hanno ripetuto la loro versione di questo medesimo obiettivo, la nostra dipendenza è raddoppiata.
Alcuni tuttora lo considerano un problema di produzione interna. Se noi riuscissimo - così sostengono - ad aumentare la produzione interna di petrolio e carbone, allora non dovremmo più dipendere dalle importazioni dal Medio Oriente. In ogni caso, tuttavia, le risorse in questione sono di gran lunga troppo onerose, troppo inquinanti oppure troppo fantasiose. In realtà, coloro che spendono centinaia di milioni di dollari per promuovere la tecnologia del "carbone pulito" omettono costantemente di citare il fatto che ci sono pochissimi investimenti in questo senso.
Ma ecco che cosa possiamo fare di concreto adesso: possiamo effettuare un investimento strategico consistente e immediato per sostituire le tecnologie energetiche.
Ecco in cinque punti il piano che potrebbe dare nuova energia all´America.
Punto primo: il nuovo presidente e il nuovo Congresso dovrebbero offrire investimenti su larga scala in incentivi per costruire impianti termali solari concentrati nei deserti del sud-ovest, centrali eoliche nel corridoio dal Texas al Dakota e impianti geotermici.
Punto secondo: dovremmo iniziare a progettare e costruire una rete unica nazionale intelligente per veicolare l´elettricità rinnovabile dalle località rurali alle città. Il costo di una simile griglia moderna - 400 miliardi di dollari in dieci anni - è nulla al confronto dell´annuale perdita per le imprese americane che si aggira sui 120 miliardi di dollari.
Punto terzo: dovremmo aiutare l´industria automobilistica americana per convertire rapidamente i loro prodotti in ibridi che possano funzionare anche con ricarica elettrica. Pensateci: con una griglia di questo tipo, le nostre automobili potrebbero ricaricarsi durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai minimi e durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai massimi.
Punto quarto: dovremmo lanciare e impegnarci in uno sforzo a livello nazionale per migliorare gli edifici con isolanti migliori, finestre efficienti dal punto di vista energetico e della luce.
Punto quinto: gli Stati Uniti dovrebbero mettersi al comando di questa iniziativa, stabilendo un prezzo per l´inquinamento da biossido di carbonio qui in patria, e guidare la comunità internazionale negli sforzi di sostituire il trattato di Kyoto l´anno prossimo a Copenhagen con un trattato ancora migliore, che fissi una soglia globale alle emissioni di biossido di carbonio e incoraggi le singole nazioni a investire tutte insieme in modi efficienti per ridurre rapidamente l´inquinamento che provoca il riscaldamento globale, ivi compresa una drastica riduzione del processo di deforestazione in atto.
Naturalmente, il modo migliore - anzi l´unico - di garantire un accordo globale sarebbe quello di proteggere il nostro futuro facendo sì che gli Stati Uniti tornino ad essere un Paese con un´autorità morale e politica tale da guidare la comunità internazionale verso la soluzione di questi problemi.
In una precedente epoca di grandi trasformazioni nella Storia americana, il presidente John F. Kennedy sfidò la nazione intera a portare un uomo sulla Luna nel giro di dieci anni. Otto anni e due mesi dopo Neil Armstrong mise piede sulla superficie lunare.
Quest´anno, nello stesso modo, abbiamo assistito all´ascesa di tanti giovani americani, il cui entusiasmo ha elettrizzato la campagna di Barack Obama. Indubbiamente questo stesso gruppo di giovani entusiasti rivestirà un ruolo cruciale in questo progetto per garantire un futuro alla nostra nazione, e per trasformare quelli che sembrano obiettivi assolutamente impossibili in successi ispirati.
c. 2008 The New York Times
Traduzione di Anna Bissanti
Al Gore - La Repubblica 10 novembre 2008
La scelta ispirata e rivoluzionaria del popolo americano di eleggere Obama come nostro presidente costituisce la premessa per un´altra scelta fatidica che egli - e noi con lui - deve effettuare per salvare in extremis la civiltà dall´incombente minaccia della crisi del clima.
L´elettrizzante riscatto della rivoluzionaria dichiarazione americana secondo la quale tutti gli esseri umani sono uguali prepara il terreno a un rinnovo della leadership statunitense in un mondo che necessita disperatamente di proteggere la sua virtù primaria: l´integrità e la vivibilità stessa del pianeta.
La massima autorità al mondo in tema di crisi del clima, l´Intergovernmental Panel on Climate Change, dopo venti anni di studi dettagliati, afferma adesso che le prove sono "inequivocabili". A coloro che sono tuttora tentati di liquidare i sempre più urgenti segnali di allarme lanciati dagli scienziati di tutto il mondo io dico: svegliatevi!
Ecco una buona notizia: le iniziative temerarie e di grossa portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica.
Economisti di tutto lo spettro politico - tra i quali anche Martin Feldstein e Lawrence Summers - concordano sul fatto che ingenti e rapidi investimenti in un´iniziativa volta a migliorare le infrastrutture creando posti di lavoro costituirebbero il modo migliore per rianimare rapidamente e in modo sostenibile la nostra economia. Molti inoltre concordano anche sul fatto che la nostra economia continuerà a peggiorare se continueremo a spendere centinaia di miliardi di dollari per acquistare ogni anno petrolio dall´estero.
Come disse Abraham Lincoln durante le ore più preoccupanti e cupe per l´America, «L´occasione presenta enormi difficoltà e noi dovremo elevarci di conseguenza. Poiché la situazione che ci si presenta è nuova, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo». Nel nostro caso, pensare in modo nuovo impone di liquidare una ormai obsoleta, fallace e fatale definizione del problema che ci sta di fronte.
Trentacinque anni fa, in questa settimana che si è appena conclusa, il presidente Richard Nixon varò il Progetto Indipendenza, che fissava l´obiettivo per tutti gli Stati Uniti di raggiungere entro sette anni "la capacità di far fronte alle nostre esigenze energetiche senza dipendere da fonti energetiche straniere". La sua dichiarazione risuonò a tre settimane di distanza da quando l´embargo del petrolio arabo aveva mandato alle stelle il prezzo del barile e fece inopinatamente comprendere all´America intera i rischi della dipendenza dal petrolio straniero.
All´epoca gli Stati Uniti importavano meno di un terzo del loro petrolio dai Paesi stranieri. Eppure, ancor oggi, dopo che sei presidenti che hanno occupato la poltrona di Nixon hanno ripetuto la loro versione di questo medesimo obiettivo, la nostra dipendenza è raddoppiata.
Alcuni tuttora lo considerano un problema di produzione interna. Se noi riuscissimo - così sostengono - ad aumentare la produzione interna di petrolio e carbone, allora non dovremmo più dipendere dalle importazioni dal Medio Oriente. In ogni caso, tuttavia, le risorse in questione sono di gran lunga troppo onerose, troppo inquinanti oppure troppo fantasiose. In realtà, coloro che spendono centinaia di milioni di dollari per promuovere la tecnologia del "carbone pulito" omettono costantemente di citare il fatto che ci sono pochissimi investimenti in questo senso.
Ma ecco che cosa possiamo fare di concreto adesso: possiamo effettuare un investimento strategico consistente e immediato per sostituire le tecnologie energetiche.
Ecco in cinque punti il piano che potrebbe dare nuova energia all´America.
Punto primo: il nuovo presidente e il nuovo Congresso dovrebbero offrire investimenti su larga scala in incentivi per costruire impianti termali solari concentrati nei deserti del sud-ovest, centrali eoliche nel corridoio dal Texas al Dakota e impianti geotermici.
Punto secondo: dovremmo iniziare a progettare e costruire una rete unica nazionale intelligente per veicolare l´elettricità rinnovabile dalle località rurali alle città. Il costo di una simile griglia moderna - 400 miliardi di dollari in dieci anni - è nulla al confronto dell´annuale perdita per le imprese americane che si aggira sui 120 miliardi di dollari.
Punto terzo: dovremmo aiutare l´industria automobilistica americana per convertire rapidamente i loro prodotti in ibridi che possano funzionare anche con ricarica elettrica. Pensateci: con una griglia di questo tipo, le nostre automobili potrebbero ricaricarsi durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai minimi e durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai massimi.
Punto quarto: dovremmo lanciare e impegnarci in uno sforzo a livello nazionale per migliorare gli edifici con isolanti migliori, finestre efficienti dal punto di vista energetico e della luce.
Punto quinto: gli Stati Uniti dovrebbero mettersi al comando di questa iniziativa, stabilendo un prezzo per l´inquinamento da biossido di carbonio qui in patria, e guidare la comunità internazionale negli sforzi di sostituire il trattato di Kyoto l´anno prossimo a Copenhagen con un trattato ancora migliore, che fissi una soglia globale alle emissioni di biossido di carbonio e incoraggi le singole nazioni a investire tutte insieme in modi efficienti per ridurre rapidamente l´inquinamento che provoca il riscaldamento globale, ivi compresa una drastica riduzione del processo di deforestazione in atto.
Naturalmente, il modo migliore - anzi l´unico - di garantire un accordo globale sarebbe quello di proteggere il nostro futuro facendo sì che gli Stati Uniti tornino ad essere un Paese con un´autorità morale e politica tale da guidare la comunità internazionale verso la soluzione di questi problemi.
In una precedente epoca di grandi trasformazioni nella Storia americana, il presidente John F. Kennedy sfidò la nazione intera a portare un uomo sulla Luna nel giro di dieci anni. Otto anni e due mesi dopo Neil Armstrong mise piede sulla superficie lunare.
Quest´anno, nello stesso modo, abbiamo assistito all´ascesa di tanti giovani americani, il cui entusiasmo ha elettrizzato la campagna di Barack Obama. Indubbiamente questo stesso gruppo di giovani entusiasti rivestirà un ruolo cruciale in questo progetto per garantire un futuro alla nostra nazione, e per trasformare quelli che sembrano obiettivi assolutamente impossibili in successi ispirati.
c. 2008 The New York Times
Traduzione di Anna Bissanti
sabato 1 novembre 2008
belle mostre a roma
Segnalo che al Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale a Roma, ci sono due mostre molto belle, fino al 6 gennaio 2009 (lunedi chiuso!) :
"Etruschi. le antiche metropoli del Lazio", tra le altre cose da ammirare il vaso con Achille che gioca a dadi, fantastico!
e
"Visioni Interiori" di Bill Viola, videoarte di altissimo livello.
Compresa nel biglietto una mostra "Chromosomes" di fotogrammi tratti dai film di Cronenberg, e nel bookshop una grande esposizione di fotografie sull'Australia.
Il biglietto di 12,50 euro comprende tutte queste mostre, apertura ore 10.00 e per una visita soddisfacente calcolare due ore per gli etruschi, una per Viola almeno.
Per un break, il ristorante interno è caro, meglio il bar/bookshop dove la pastasciutta o la zuppa sono decenti e ci sono molti giornali a disposizione.
Nel bookshop ci sono molti libri della taschen a prezzo conveniente!
"Etruschi. le antiche metropoli del Lazio", tra le altre cose da ammirare il vaso con Achille che gioca a dadi, fantastico!
e
"Visioni Interiori" di Bill Viola, videoarte di altissimo livello.
Compresa nel biglietto una mostra "Chromosomes" di fotogrammi tratti dai film di Cronenberg, e nel bookshop una grande esposizione di fotografie sull'Australia.
Il biglietto di 12,50 euro comprende tutte queste mostre, apertura ore 10.00 e per una visita soddisfacente calcolare due ore per gli etruschi, una per Viola almeno.
Per un break, il ristorante interno è caro, meglio il bar/bookshop dove la pastasciutta o la zuppa sono decenti e ci sono molti giornali a disposizione.
Nel bookshop ci sono molti libri della taschen a prezzo conveniente!
lunedì 6 ottobre 2008
Una finestra cattura energia così cambia il fotovoltaico
Basta un gel spalmato sul vetro per trasformarlo in un pannello fotovoltalico
(la Repubblica, martedì, 23 settembre 2008)
La nuova tecnologia costa meno della metà di quella tradizionale
LELLO PARISE
POTENZA - Un gel, come quelli adoperati per ravvivare i capelli, ma capace di catturare i raggi del sole e di trasformarli in elettricità. Basterà spalmarlo tra i doppi vetri di una qualsiasi finestra perché la finestra stessa, senza che nessuno se ne accorga giacché il miscuglio è trasparente, assuma le sembianze di un pannello fotovoltaico. Ogni metro quadrato di superficie dovrebbe consentire di generare 100 watt all´ora. Se tutto funzionerà così come assicura l´Archimede Pitagorico lucano che a Potenza estrae dal cilindro il «brevetto mondiale», sarà la bolletta ad andare a farsi benedire o, almeno, a non essere salata come quelle pagate di questi tempi.
Giuseppe Vetere, 48 anni, presidente di Esco energy, srl con un fatturato di 4 milioni che «entro il 2009 diventerà una spa», veste i panni dell´inventore di questa crema magica la cui formula rimane segretissima come quella della Coca Cola. L´imprenditore meridionale dopo avere fatto carriera nel gruppo Eni (Italgas) decide di mollare gli ormeggi e di mettersi in proprio. E´ il 2004 quando nasce Esco: un centinaio di dipendenti, stabilimenti in Calabria e Basilicata. Ingaggia una squadra di venti giovanissimi ricercatori, soprattutto ingegneri nonché chimici, ed investe qualcosa come «10 milioni, ma neppure un centesimo di contributi pubblici, questo deve essere chiaro, io rischio il mio denaro», per materializzare il gel dei miracoli.
Prova e riprova, dopo quattro anni vince la scommessa e riesce a tagliare il traguardo. «Tecnologia del futuro? Semmai è il presente» va per le spicce il patron della società, che «dal 2 ottobre» comincerà a produrre il gel, pronto ad invadere il mercato «dal mese di giugno del 2009» qualora le sperimentazioni tra Puglia, Basilicata e Campania non si rivelino un buco nell´acqua e non mandino il sogno in corto circuito. «Siamo molto ottimisti. Questa è una soluzione che rivoluzionerà il modo di concepire l´energia sostenibile, da consumare facilmente nella vita quotidiana».
Quest´industriale testardo quanto pignolo che «non lavoro solo per vendere», ma ha «la fissazione di diffondere la cultura del risparmio energetico e della tutela ambientale», tira le somme: «Installare un impianto fotovoltaico sul tetto di casa propria, costa circa 16mila euro, ancorché lo Stato riconosce al cittadino per un periodo di vent´anni una tariffa incentivante sulla base dei kilowatt confezionati. Chi sceglie di usare il gel dovrebbe scucire tra i 5mila e i 6mila euro, non di più. Gli infissi riveduti e corretti sarebbero a quel punto, garantiti per vent´anni». Vetere è un fiume in piena: alla fine di settembre, a Milano, presenterà l´intruglio incantato ai principali guru delle fonti rinnovabili. Per metà orgoglioso e per metà determinato, avverte: «E non intendiamo fermarci qui».
(la Repubblica, martedì, 23 settembre 2008)
La nuova tecnologia costa meno della metà di quella tradizionale
LELLO PARISE
POTENZA - Un gel, come quelli adoperati per ravvivare i capelli, ma capace di catturare i raggi del sole e di trasformarli in elettricità. Basterà spalmarlo tra i doppi vetri di una qualsiasi finestra perché la finestra stessa, senza che nessuno se ne accorga giacché il miscuglio è trasparente, assuma le sembianze di un pannello fotovoltaico. Ogni metro quadrato di superficie dovrebbe consentire di generare 100 watt all´ora. Se tutto funzionerà così come assicura l´Archimede Pitagorico lucano che a Potenza estrae dal cilindro il «brevetto mondiale», sarà la bolletta ad andare a farsi benedire o, almeno, a non essere salata come quelle pagate di questi tempi.
Giuseppe Vetere, 48 anni, presidente di Esco energy, srl con un fatturato di 4 milioni che «entro il 2009 diventerà una spa», veste i panni dell´inventore di questa crema magica la cui formula rimane segretissima come quella della Coca Cola. L´imprenditore meridionale dopo avere fatto carriera nel gruppo Eni (Italgas) decide di mollare gli ormeggi e di mettersi in proprio. E´ il 2004 quando nasce Esco: un centinaio di dipendenti, stabilimenti in Calabria e Basilicata. Ingaggia una squadra di venti giovanissimi ricercatori, soprattutto ingegneri nonché chimici, ed investe qualcosa come «10 milioni, ma neppure un centesimo di contributi pubblici, questo deve essere chiaro, io rischio il mio denaro», per materializzare il gel dei miracoli.
Prova e riprova, dopo quattro anni vince la scommessa e riesce a tagliare il traguardo. «Tecnologia del futuro? Semmai è il presente» va per le spicce il patron della società, che «dal 2 ottobre» comincerà a produrre il gel, pronto ad invadere il mercato «dal mese di giugno del 2009» qualora le sperimentazioni tra Puglia, Basilicata e Campania non si rivelino un buco nell´acqua e non mandino il sogno in corto circuito. «Siamo molto ottimisti. Questa è una soluzione che rivoluzionerà il modo di concepire l´energia sostenibile, da consumare facilmente nella vita quotidiana».
Quest´industriale testardo quanto pignolo che «non lavoro solo per vendere», ma ha «la fissazione di diffondere la cultura del risparmio energetico e della tutela ambientale», tira le somme: «Installare un impianto fotovoltaico sul tetto di casa propria, costa circa 16mila euro, ancorché lo Stato riconosce al cittadino per un periodo di vent´anni una tariffa incentivante sulla base dei kilowatt confezionati. Chi sceglie di usare il gel dovrebbe scucire tra i 5mila e i 6mila euro, non di più. Gli infissi riveduti e corretti sarebbero a quel punto, garantiti per vent´anni». Vetere è un fiume in piena: alla fine di settembre, a Milano, presenterà l´intruglio incantato ai principali guru delle fonti rinnovabili. Per metà orgoglioso e per metà determinato, avverte: «E non intendiamo fermarci qui».
NUCLEARE Un costosissimo vicolo cieco
di Michele Boato (da "Terra e Aqua", settembre 2008)
Chiunque riproponga il nucleare finge di ignorare che:
1. Il nucleare non è sicuro, è a rischio di incidenti catastrofici
Nel 1979 ad Harrisburg (Usa) si è sfiorata la "fusione del nocciolo", che c'è stata a Cernobyl (Ucraina) il 26 aprile 1986, con decine di migliaia di tumori e leucemie nei 20 anni successivi e più di 1000 morti per tumore tra i soldati intervenuti; ha contaminato l'acqua di 30 milioni di ucraini; irradiato 9 milioni di persone. Oggi, nelle regioni confinanti, 2/3 degli adulti e metà dei bambini sono malati alla tiroide, col raddoppio di malformazioni. Nel 2002 nell'Ohio (Usa) si è sfiorato io stesso disastro; nel 2004 a Sellafield (GB) c'è stata una fuga 160 kg di velenosissimo plutonio rivelata solo dopo 8 mesi. Dal 1995 al 2005 c'è stata una serie di incidenti gravi (con 7 morti e centinaia di contaminati gravi) nelle centrali del Giappone: tra cui uno gravissimo a Tokai Mura nel 1999 (2 lavoratori morti, 3 gravemente contaminati e 119 esposti a forti dosi di radiazioni) e il più grande impianto nucleare al mondo chiuso il 16.7.2007 per i danni da terremoto. Avere il nucleare vicino casa non è assolutamente la stesso che a centinaia di km.
2. Dopo 50 anni, non si sa ancora dove mettere le scorie radioattive
Ci sono milioni di tonnellate di scorie (di cui ben 250mila altamente radioattive) senza smaltimento definitivo. Gli Usa hanno speso 8 miliardi di dollari in 20 anni senza trovare una soluzione. In Italia il governo ha dato 674 milioni di euro alla Sogin che, dopo il ridicolo tentativo di Scanzano J. (sismico, come gran parte d'Italia), non sa dove mettere le "ecoballe" radioattive: il plutonio resta altamente radioattivo per 200mila anni! L'uranio238 per milioni di anni..
3. Non esiste il nucleare "sicuro e pulito" di Quarta generazione
Le centrali di "terza generazione", che Berlusconi vuole costruire, dovrebbero durare più di quelle in funzione (II generazione), senza aver risolto il problema delle scorie né della "sicurezza intrinseca" (spegnimento automatico se c'è un incidente grave). Le chiama "ponte" verso una "quarta generazione" che promette sarà "assolutamente sicura, non proliferante, con poche scorie e meno pericolose", ecc. Ma i reattori di IV generazione NON esistono! Sono previsti "dopo il 2030", come se fosse domani; e quanto "dopo"?. Intanto il governo propone un colossale rilancio del nucleare, con reattori che, almeno fino al 2040, aggraverebbero tutti i problemi creati dal nucleare! Infatti l'Enel ha investito quasi 2 miliardi di euro per completare, in Slovacchia, due reattori di vecchia tecnologia sovietica, addirittura privi di involucro esterno, giustificandosi: "la probabilità di un impatto aereo è trascurabile". In che mani siamo!...
4. È una favola "solo col nucleare si può fermare il riscaldamento globale"
Per avere una riduzione di gas serra bisognerebbe costruì- re una centrale nucleare ogni 10 giorni (35 all'anno) per i prossimi 60 anni. Così, con 2.000 nuove centrali nucleari, si fornirebbe il 20% dell'energia totale. C'è qualcuno, sano di mente, che pensa si potrebbe procedere a questo ritmo?
Nessuno dei top manager dell'energia crede che le centrali esaurite nei prossimi anni saranno rimpiazzate per più della metà: il trend mondiale del nucleare è verso il basso: solo per mantenere il numero e la potenza delle 435 centrali attuali (ne sono già state chiuse 117) ce ne vorrebbero 70 di nuove entro il 2015 (una ogni mese e mezzo!) e altre 192 entro il 2025: una ogni 18 giorni! Tutto per continuare a produrre non il 20%, ma solo il 6,5% dell'energia totale... 2.000 scienziati dell'IPCC (ONU) lo hanno certificato nel 2007:"II nucleare non potrà fermare la febbre del pianeta". Inoltre il ciclo completo (estrazione ed "arricchimento" dell'uranio, smaltimento scorie, costruzione e smantellamento centrale) emette gas serra quanto il ciclo a combustibile fossile.
5. L'uranio, come il petrolio, scarseggia e dobbiamo importarlo
L'Italia non ha uranio, dovrebbe importarlo da Russia, Niger, Namibia, Kazakistan, Australia, Canada.
Secondo l'Agenzia per l'energia Atomica, l'uranio dovrebbe scarseggiare dal 2030, invece già dal 1991 ha raggiunto il "pic-co"(se ne consuma più di quanto se ne estrae): sono le scorte militari che forniscono metà del combustibile. Già ora la produzione di uranio è insufficiente, perciò il suo prezzo si è moltiplicato per 10 (da 7 a 75 dollari la libbra) dal 2001 al 2007.
6. Altro che "bassi costi": il nucleare è fuori mercato
Le stime Usa per i nuovi impianti danno il nucleare a 6,3 cent/ kWh contro 5,5 del gas e 5,6 del carbone. Per questo negli Usa, nonostante gli enormi incentivi stanziati da Bush (1,8 cent/kWh, oltre il doppio del differenziale di 0,8 cent), nessuno ci investe più dal 1976. L'unico reattore in costruzione in Europa è in Finlandia: l'azienda privata ci sta perchè lo Stato paga (fa pagare ai contribuenti..) smaltimento delle scorie e smantellamento finale della centrale (che costa quasi come la costruzione), e garantisce l'acquisto di tutta l'energia prodotta per 60 anni: un affare senza rischi per il privato! Ma l'entrata in funzione della centrale (ordinata nel 1996) è slittata dal 2009 al 2011: 15 anni. Così il suo costo finale, da 2,5 miliardi di euro è aumentato a 4 miliardi: più di 4 volte di una centrale a metano della stessa potenza (1600 MW). I ritardi nella costruzione sono una costante dell'industria nucleare: negli Usa i costi di 75 reattori, previsti in 45 miliardi di dollari, sono aumentati a 145, tre volte il previsto. In Italia i tempi sarebbero più lunghi e i costi più alti (un km di Tav costa 4 volte che in Francia...): chi paga? L'Enel per le 2 centrali slovacche, spende 2.700 euro/kW, mentre una centrale a gas costa meno di 500 euro/kW. Chi paga?
7. Il nucleare è in crisi: nel mondo solo 9 stati ci investono
L'Austria, col Referendum del 1978, ha deciso di non mettere in funzione la centrale già costruita sul Danubio. L'Italia è uscita dalla follia nucleare col Referendum del 1987. La Germania, nel 2000, ha deciso di non investire più sul nucleare e sostituirlo col risparmio e l'aumento del 2,5% annuo di energie rinnovabili. La Svezia col Referendum del 1980 ha fatto la stessa scelta. La Spagna, con un Referendum nel 1983, ha deciso di uscire dal nucleare e raggiungere l'autonomia energetica entro il 2050, investendo moltissimo nel solare. Negli Usa non si costruiscono più centrali nucleari dal 1976. In Europa nel 1976 c'erano 177 centrali, oggi sono 146, 31 in meno; nei prossimi venti anni un centinaio di esse chiudono;
non saranno sostituite in Belgio, Germania, Olanda, Spagna e Svezia, che hanno deciso di non costruirne più. In Europa non hanno centrali nucleari, oltre all'Italia: Austria, Danimarca, Grecia, Irlanda (il movimento di opposizione ha bloccato il programma nucleare), Norvegia e Polonia, che ha interrotto la costruzione dell'unica centrale. Nel mondo: Australia, Nuova Zelanda, l'America Latina (escluso il Messico e Argentina), l'Africa (escluso Sud Africa) e l'Asia (esclusi Giappone, India, Pakistan, Cina, Iran). Solo 9 stati investono nel nucleare: India, Cina, Russia, Ucraina, Giappone, Iran, Argentina, Romania e Finlandia.
8. Centrali e bombe nucleari sono sorelle gemelle
Le centrali nucleari americane nascono per sfruttare il calore di scarto che si ottiene nel ciclo dell'arricchimento dell'uranio per la produzione delle bombe "sperimentate" in Agosto 1945 (a guerra già vinta!) a Hiroshima e Nagasaki con centinaia di migliaia di civili assassinati. Poi arrivano le centrali sovietiche. Ci sono anche centinaia di reattori militari per le 130.000 bombe atomiche e i sommergibili nucleari. Poi le centrali francesi, per la "Force de frappe", terza potenza nucleare, con esplosioni in nord Africa e Pacifico (le ultime a Mururoa nei 1996). Le stesse industrie (General Electric e Westinghouse) producono sia le centrali che le bombe nucleari: senza gli enormi finanziamenti militari, l'industria nucleare non reggerebbe All'ONU, nel 1980, il presidente Usa Carter afferma: "Qualsiasi ciclo di combustibile nucleare è intrinsecamente proliferante", crea materia prima per bombe atomiche. Così si dividono gli Stati "buoni", che possono avere il nucleare, da quelli "canaglie" (Irak, Iran, Corea del Nord). Chi sono i "buoni"? Lo decidono i buoni stessi (Usa in testa)... Dal 1950 al 90 sono esplose a fini "sperimentali" 2000 bombe nucleari, con enormi dosi di radioattività senza protezione per la popolazione. Oggi gli effetti: negli Usa un'epidemia di malattie da radiazioni: mortalità infantile, cancri, leucemie, autismo, Parkinson, asma, ipotiroidismo in neonati, danni al sistema immunitario. L'esposizione a radiazioni ha causato, tra il 1945 e il 1996 negli Usa, un milione di morti infantili. Fino al 1963 sono state 530 le esplosioni nucleari in atmosfera, molte nel deserto del Nevada. Un esempio degli effetti: delle 220 persone che nel 1954 hanno partecipato alle riprese del film "Il conquistatore" 47 sono morte di cancro e altre 44 ammalate di tumore: totale 91 su 220. Fra i morti, gli attori John Waine e Susan Hayward. Il film fu girato nello Utah. 11 mesi prima, dopo alcune esplosioni atomiche "sperimentali" nel Nevada (a 300 Km di distanza), gli allevatori trovarono molte pecore morte, con ustioni da radiazioni Beta, causate dalle esplosioni. Negli anni 70 e '80, nello Utah c'è stato un numero eccezionalmente alto di cancri e leucemie.
9. Industriali & politici amici temono la democrazia, anche energetica
Il nucleare, come il termoelettrico a carbone, gas e olio combustibile, è centralizzato, controllato dai vertici economici e politici, con enormi investimenti economici e politico-militari. Invece le energie rinnovabili (solare termico e fotovoltaico, mini-idroelettrico ed eolico, biomasse locali) sono controllate da ogni comunità che produce l'energia di cui ha bisogno. Basterebbe coprire di pannelli solari fotovoltaici solo lo 0,4% delle superfici costruite o cementificate in Italia (che sono il 10% del territorio) per soddisfare l'intero fabbisogno nazionale di energia elettrica.
I politici di vecchio stampo (anche se si dicono "federalisti") preferiscono un mondo in cui l'energia (come l'economia e l'informazione) è controllata dal potere centrale.
Chiunque riproponga il nucleare finge di ignorare che:
1. Il nucleare non è sicuro, è a rischio di incidenti catastrofici
Nel 1979 ad Harrisburg (Usa) si è sfiorata la "fusione del nocciolo", che c'è stata a Cernobyl (Ucraina) il 26 aprile 1986, con decine di migliaia di tumori e leucemie nei 20 anni successivi e più di 1000 morti per tumore tra i soldati intervenuti; ha contaminato l'acqua di 30 milioni di ucraini; irradiato 9 milioni di persone. Oggi, nelle regioni confinanti, 2/3 degli adulti e metà dei bambini sono malati alla tiroide, col raddoppio di malformazioni. Nel 2002 nell'Ohio (Usa) si è sfiorato io stesso disastro; nel 2004 a Sellafield (GB) c'è stata una fuga 160 kg di velenosissimo plutonio rivelata solo dopo 8 mesi. Dal 1995 al 2005 c'è stata una serie di incidenti gravi (con 7 morti e centinaia di contaminati gravi) nelle centrali del Giappone: tra cui uno gravissimo a Tokai Mura nel 1999 (2 lavoratori morti, 3 gravemente contaminati e 119 esposti a forti dosi di radiazioni) e il più grande impianto nucleare al mondo chiuso il 16.7.2007 per i danni da terremoto. Avere il nucleare vicino casa non è assolutamente la stesso che a centinaia di km.
2. Dopo 50 anni, non si sa ancora dove mettere le scorie radioattive
Ci sono milioni di tonnellate di scorie (di cui ben 250mila altamente radioattive) senza smaltimento definitivo. Gli Usa hanno speso 8 miliardi di dollari in 20 anni senza trovare una soluzione. In Italia il governo ha dato 674 milioni di euro alla Sogin che, dopo il ridicolo tentativo di Scanzano J. (sismico, come gran parte d'Italia), non sa dove mettere le "ecoballe" radioattive: il plutonio resta altamente radioattivo per 200mila anni! L'uranio238 per milioni di anni..
3. Non esiste il nucleare "sicuro e pulito" di Quarta generazione
Le centrali di "terza generazione", che Berlusconi vuole costruire, dovrebbero durare più di quelle in funzione (II generazione), senza aver risolto il problema delle scorie né della "sicurezza intrinseca" (spegnimento automatico se c'è un incidente grave). Le chiama "ponte" verso una "quarta generazione" che promette sarà "assolutamente sicura, non proliferante, con poche scorie e meno pericolose", ecc. Ma i reattori di IV generazione NON esistono! Sono previsti "dopo il 2030", come se fosse domani; e quanto "dopo"?. Intanto il governo propone un colossale rilancio del nucleare, con reattori che, almeno fino al 2040, aggraverebbero tutti i problemi creati dal nucleare! Infatti l'Enel ha investito quasi 2 miliardi di euro per completare, in Slovacchia, due reattori di vecchia tecnologia sovietica, addirittura privi di involucro esterno, giustificandosi: "la probabilità di un impatto aereo è trascurabile". In che mani siamo!...
4. È una favola "solo col nucleare si può fermare il riscaldamento globale"
Per avere una riduzione di gas serra bisognerebbe costruì- re una centrale nucleare ogni 10 giorni (35 all'anno) per i prossimi 60 anni. Così, con 2.000 nuove centrali nucleari, si fornirebbe il 20% dell'energia totale. C'è qualcuno, sano di mente, che pensa si potrebbe procedere a questo ritmo?
Nessuno dei top manager dell'energia crede che le centrali esaurite nei prossimi anni saranno rimpiazzate per più della metà: il trend mondiale del nucleare è verso il basso: solo per mantenere il numero e la potenza delle 435 centrali attuali (ne sono già state chiuse 117) ce ne vorrebbero 70 di nuove entro il 2015 (una ogni mese e mezzo!) e altre 192 entro il 2025: una ogni 18 giorni! Tutto per continuare a produrre non il 20%, ma solo il 6,5% dell'energia totale... 2.000 scienziati dell'IPCC (ONU) lo hanno certificato nel 2007:"II nucleare non potrà fermare la febbre del pianeta". Inoltre il ciclo completo (estrazione ed "arricchimento" dell'uranio, smaltimento scorie, costruzione e smantellamento centrale) emette gas serra quanto il ciclo a combustibile fossile.
5. L'uranio, come il petrolio, scarseggia e dobbiamo importarlo
L'Italia non ha uranio, dovrebbe importarlo da Russia, Niger, Namibia, Kazakistan, Australia, Canada.
Secondo l'Agenzia per l'energia Atomica, l'uranio dovrebbe scarseggiare dal 2030, invece già dal 1991 ha raggiunto il "pic-co"(se ne consuma più di quanto se ne estrae): sono le scorte militari che forniscono metà del combustibile. Già ora la produzione di uranio è insufficiente, perciò il suo prezzo si è moltiplicato per 10 (da 7 a 75 dollari la libbra) dal 2001 al 2007.
6. Altro che "bassi costi": il nucleare è fuori mercato
Le stime Usa per i nuovi impianti danno il nucleare a 6,3 cent/ kWh contro 5,5 del gas e 5,6 del carbone. Per questo negli Usa, nonostante gli enormi incentivi stanziati da Bush (1,8 cent/kWh, oltre il doppio del differenziale di 0,8 cent), nessuno ci investe più dal 1976. L'unico reattore in costruzione in Europa è in Finlandia: l'azienda privata ci sta perchè lo Stato paga (fa pagare ai contribuenti..) smaltimento delle scorie e smantellamento finale della centrale (che costa quasi come la costruzione), e garantisce l'acquisto di tutta l'energia prodotta per 60 anni: un affare senza rischi per il privato! Ma l'entrata in funzione della centrale (ordinata nel 1996) è slittata dal 2009 al 2011: 15 anni. Così il suo costo finale, da 2,5 miliardi di euro è aumentato a 4 miliardi: più di 4 volte di una centrale a metano della stessa potenza (1600 MW). I ritardi nella costruzione sono una costante dell'industria nucleare: negli Usa i costi di 75 reattori, previsti in 45 miliardi di dollari, sono aumentati a 145, tre volte il previsto. In Italia i tempi sarebbero più lunghi e i costi più alti (un km di Tav costa 4 volte che in Francia...): chi paga? L'Enel per le 2 centrali slovacche, spende 2.700 euro/kW, mentre una centrale a gas costa meno di 500 euro/kW. Chi paga?
7. Il nucleare è in crisi: nel mondo solo 9 stati ci investono
L'Austria, col Referendum del 1978, ha deciso di non mettere in funzione la centrale già costruita sul Danubio. L'Italia è uscita dalla follia nucleare col Referendum del 1987. La Germania, nel 2000, ha deciso di non investire più sul nucleare e sostituirlo col risparmio e l'aumento del 2,5% annuo di energie rinnovabili. La Svezia col Referendum del 1980 ha fatto la stessa scelta. La Spagna, con un Referendum nel 1983, ha deciso di uscire dal nucleare e raggiungere l'autonomia energetica entro il 2050, investendo moltissimo nel solare. Negli Usa non si costruiscono più centrali nucleari dal 1976. In Europa nel 1976 c'erano 177 centrali, oggi sono 146, 31 in meno; nei prossimi venti anni un centinaio di esse chiudono;
non saranno sostituite in Belgio, Germania, Olanda, Spagna e Svezia, che hanno deciso di non costruirne più. In Europa non hanno centrali nucleari, oltre all'Italia: Austria, Danimarca, Grecia, Irlanda (il movimento di opposizione ha bloccato il programma nucleare), Norvegia e Polonia, che ha interrotto la costruzione dell'unica centrale. Nel mondo: Australia, Nuova Zelanda, l'America Latina (escluso il Messico e Argentina), l'Africa (escluso Sud Africa) e l'Asia (esclusi Giappone, India, Pakistan, Cina, Iran). Solo 9 stati investono nel nucleare: India, Cina, Russia, Ucraina, Giappone, Iran, Argentina, Romania e Finlandia.
8. Centrali e bombe nucleari sono sorelle gemelle
Le centrali nucleari americane nascono per sfruttare il calore di scarto che si ottiene nel ciclo dell'arricchimento dell'uranio per la produzione delle bombe "sperimentate" in Agosto 1945 (a guerra già vinta!) a Hiroshima e Nagasaki con centinaia di migliaia di civili assassinati. Poi arrivano le centrali sovietiche. Ci sono anche centinaia di reattori militari per le 130.000 bombe atomiche e i sommergibili nucleari. Poi le centrali francesi, per la "Force de frappe", terza potenza nucleare, con esplosioni in nord Africa e Pacifico (le ultime a Mururoa nei 1996). Le stesse industrie (General Electric e Westinghouse) producono sia le centrali che le bombe nucleari: senza gli enormi finanziamenti militari, l'industria nucleare non reggerebbe All'ONU, nel 1980, il presidente Usa Carter afferma: "Qualsiasi ciclo di combustibile nucleare è intrinsecamente proliferante", crea materia prima per bombe atomiche. Così si dividono gli Stati "buoni", che possono avere il nucleare, da quelli "canaglie" (Irak, Iran, Corea del Nord). Chi sono i "buoni"? Lo decidono i buoni stessi (Usa in testa)... Dal 1950 al 90 sono esplose a fini "sperimentali" 2000 bombe nucleari, con enormi dosi di radioattività senza protezione per la popolazione. Oggi gli effetti: negli Usa un'epidemia di malattie da radiazioni: mortalità infantile, cancri, leucemie, autismo, Parkinson, asma, ipotiroidismo in neonati, danni al sistema immunitario. L'esposizione a radiazioni ha causato, tra il 1945 e il 1996 negli Usa, un milione di morti infantili. Fino al 1963 sono state 530 le esplosioni nucleari in atmosfera, molte nel deserto del Nevada. Un esempio degli effetti: delle 220 persone che nel 1954 hanno partecipato alle riprese del film "Il conquistatore" 47 sono morte di cancro e altre 44 ammalate di tumore: totale 91 su 220. Fra i morti, gli attori John Waine e Susan Hayward. Il film fu girato nello Utah. 11 mesi prima, dopo alcune esplosioni atomiche "sperimentali" nel Nevada (a 300 Km di distanza), gli allevatori trovarono molte pecore morte, con ustioni da radiazioni Beta, causate dalle esplosioni. Negli anni 70 e '80, nello Utah c'è stato un numero eccezionalmente alto di cancri e leucemie.
9. Industriali & politici amici temono la democrazia, anche energetica
Il nucleare, come il termoelettrico a carbone, gas e olio combustibile, è centralizzato, controllato dai vertici economici e politici, con enormi investimenti economici e politico-militari. Invece le energie rinnovabili (solare termico e fotovoltaico, mini-idroelettrico ed eolico, biomasse locali) sono controllate da ogni comunità che produce l'energia di cui ha bisogno. Basterebbe coprire di pannelli solari fotovoltaici solo lo 0,4% delle superfici costruite o cementificate in Italia (che sono il 10% del territorio) per soddisfare l'intero fabbisogno nazionale di energia elettrica.
I politici di vecchio stampo (anche se si dicono "federalisti") preferiscono un mondo in cui l'energia (come l'economia e l'informazione) è controllata dal potere centrale.
domenica 5 ottobre 2008
inceneritore di Brescia
da "il giornale di brescia" di domenica 5 ottobre 2008
Termovalorizzatori: i tecnici sostenitori del pro e del contro scendono nell'arena, fronteggiandosi, dati alla mano.
I dubbi e gli interrogativi sollevati da chi è orientato a non accettare senza porsi domande la realizzazione dell'impianto tecnologico sono presto detti: l'inceneritore è davvero conveniente? E se sì, per chi, esattamente, costituisce un'occasione? Esistono valide alternative all'impianti? L'Osservatorio bresciano per la difesa dello Stato di diritto, ha deciso di fornire l'occasione di una risposta a questi interrogativi.
La formula scelta è quella del dibattito e del confronto di tue tesi opposte. Così, martedì 7 ottobre alle 20.30 - nell'Istituto Artigianelli di via Piamarta, 6 - Paolo Degli Espinosa, responsabile del Settore Energia dell'Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, e Federico Valerio, responsabile del Servizio Chimica Ambientale dell'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova, si confronteranno pubblicamente sul tema «Termovalorizzatori o
trattamenti senza incenerimento?». E non per «emettere una sentenza», ma solo per capire. Perché, come recita l'antico principio tramandato da Pericle, «il cittadino che non s'interroga è un cittadino inutile».
Riepilogando: il modello Brescia si basa su una gestione dei rifiuti che prevede un incenerimento su vasta scala - con conseguente produzione di energia e calore - e la raccolta differenziata nei tradizionali cassonetti. Ma la provocazione dell'avvocato Alberto Mangiarini - moderatore dell'incontro di martedì - viene preannunciata: «Può davvero essere un esempio per le altre città o è, in realtà, una grande macchina da soldi?». Per contro: sin da subito, un gruppo di cittadini, insieme ad alcune associazioni, hanno contestato il termovalorizzatore in modo assoluto e categorico. La proposta che avanzano è, al contrario, un modello senza incenerimento, peraltro già adottato in altre città d'Europa.
La raccolta differenziata a domicilio può, a parer loro, rappresentare la giusta soluzione al problema dei rifiuti, specie
se unita ai trattamenti meccanico-biologici a freddo, con risultati, sempre a loro dire, «migliori sotto ogni aspetto».
Un discorso alla pari, quello di martedì prossimo, un dibattito che non vuole favorire l'una o l'altra parte «perchè il cittadino deve essere informato tanto sulle alternative quanto sugli eventuali rischi per la salute che questa scelta potrebbe comportare» specifica Mangiarini. Alcuni interrogativi vengono anticipati. «A Milano, il Silla 2 - che ha la metà della capienza dell'impianto bresciano -sostiene l'avvocato - dispone di nuovi filtri al quarzo. Brescia, no. Come mai in un impianto in cui si brucia il doppio, quando non oltre, dei rifiuti del Silla 2, questa spesa non è stata ritenuta necessaria?».
Una domanda che non intende accrescere i dubbi attorno alla politica energetica bresciana, ma che interpellerà direttamente i due esperti.
«Certo non bisogna scordare - conclude Alberto Mangiarini - che Brescia è stata fortemente condannata perché quest'impianto non ha l'impatto ambientale. In ogni caso questi interrogativi devono trovare una risposta al più presto».
Termovalorizzatori: i tecnici sostenitori del pro e del contro scendono nell'arena, fronteggiandosi, dati alla mano.
I dubbi e gli interrogativi sollevati da chi è orientato a non accettare senza porsi domande la realizzazione dell'impianto tecnologico sono presto detti: l'inceneritore è davvero conveniente? E se sì, per chi, esattamente, costituisce un'occasione? Esistono valide alternative all'impianti? L'Osservatorio bresciano per la difesa dello Stato di diritto, ha deciso di fornire l'occasione di una risposta a questi interrogativi.
La formula scelta è quella del dibattito e del confronto di tue tesi opposte. Così, martedì 7 ottobre alle 20.30 - nell'Istituto Artigianelli di via Piamarta, 6 - Paolo Degli Espinosa, responsabile del Settore Energia dell'Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, e Federico Valerio, responsabile del Servizio Chimica Ambientale dell'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova, si confronteranno pubblicamente sul tema «Termovalorizzatori o
trattamenti senza incenerimento?». E non per «emettere una sentenza», ma solo per capire. Perché, come recita l'antico principio tramandato da Pericle, «il cittadino che non s'interroga è un cittadino inutile».
Riepilogando: il modello Brescia si basa su una gestione dei rifiuti che prevede un incenerimento su vasta scala - con conseguente produzione di energia e calore - e la raccolta differenziata nei tradizionali cassonetti. Ma la provocazione dell'avvocato Alberto Mangiarini - moderatore dell'incontro di martedì - viene preannunciata: «Può davvero essere un esempio per le altre città o è, in realtà, una grande macchina da soldi?». Per contro: sin da subito, un gruppo di cittadini, insieme ad alcune associazioni, hanno contestato il termovalorizzatore in modo assoluto e categorico. La proposta che avanzano è, al contrario, un modello senza incenerimento, peraltro già adottato in altre città d'Europa.
La raccolta differenziata a domicilio può, a parer loro, rappresentare la giusta soluzione al problema dei rifiuti, specie
se unita ai trattamenti meccanico-biologici a freddo, con risultati, sempre a loro dire, «migliori sotto ogni aspetto».
Un discorso alla pari, quello di martedì prossimo, un dibattito che non vuole favorire l'una o l'altra parte «perchè il cittadino deve essere informato tanto sulle alternative quanto sugli eventuali rischi per la salute che questa scelta potrebbe comportare» specifica Mangiarini. Alcuni interrogativi vengono anticipati. «A Milano, il Silla 2 - che ha la metà della capienza dell'impianto bresciano -sostiene l'avvocato - dispone di nuovi filtri al quarzo. Brescia, no. Come mai in un impianto in cui si brucia il doppio, quando non oltre, dei rifiuti del Silla 2, questa spesa non è stata ritenuta necessaria?».
Una domanda che non intende accrescere i dubbi attorno alla politica energetica bresciana, ma che interpellerà direttamente i due esperti.
«Certo non bisogna scordare - conclude Alberto Mangiarini - che Brescia è stata fortemente condannata perché quest'impianto non ha l'impatto ambientale. In ogni caso questi interrogativi devono trovare una risposta al più presto».
Cardinal Martini: con troppi divieti la gente fugge
Con troppi divieti la gente fugge la Chiesa dovrebbe chiedere scusa
Repubblica — 04 ottobre 2008 pagina 12 sezione: CRONACA
MILANO - «Non possiamo lasciare soli i giovani. Hanno diritto a parole chiarificatrici relative ai temi del corpo, del matrimonio e della famiglia. Cerchiamo una via per parlare in modo più accurato del matrimonio, del controllo delle nascite, dell' inseminazione artificiale e della contraccezione».
A 81 anni, il cardinale Carlo Maria Martini, grande biblista, da sempre punto di riferimento di una vasta area non solo del mondo cattolico, può permettersi il lusso di parlare apertamente, anche di argomenti considerati tabù dalle gerarchie ecclesiali. Cosa che fa, con tutta la libertà e la schiettezza di cui è capace, nel libro «Conversazioni notturne a Gerusalemme», che raccoglie i colloqui con un confratello austriaco, il padre gesuita Georg Sporschill.
Il libro, anticipato da Repubblica nel maggio scorso e uscito finora solo in tedesco presso l' editore Herder, nelle prossime settimane sarà pubblicato in italiano da Mondadori. Nella versione tedesca, si legge un lungo capitolo dedicato ai temi affrontati ieri dal Papa. Un capitolo che tratta questioni che fanno discutere il mondo cattolico, come il sesso prematrimoniale, la pillola, i preservativi. E, citando i mea culpa di Giovanni Paolo II sui temi della scienza e dell' ebraismo, si augura un ripensamento, addirittura un' «ammissione di colpa» sugli errori della Chiesa nella materia delicatissima dei rapporti familiari. Un invito in qualche modo a scusarsi per le rigidità, l' incapacità di comprendere i cambiamenti sociali, anche su problemi epocali come l' Aids in Africa e il divieto a usare i preservativi come strumenti di prevenzione. «è segno di grandezza e di coscienza di sé, se qualcuno è capace di ammettere i propri errori e le proprie ristrettezze di vedute», risponde Martini a padre Sporschill che lo sollecita sul tema dell' incomunicabilità fra i giovani e la Chiesa su argomenti così cruciali. L' arcivescovo emerito di Milano, giovedì sera, presentando un libro proprio su Paolo VI al Centro San Fedele, si è dichiarato «nell' ultima o penultima anticamera della morte». Ma nel libro tedesco non si risparmia e affronta con coraggio la questione sessuale. Martini non esita a denunciare i «danni» e gli «sviluppi negativi» dall' Humanae Vitae. «La cosa più triste è che l' enciclica è corresponsabile del fatto che molti non prendono più sul serio la Chiesa come interlocutrice o come maestra - si rammarica - Soprattutto la gioventù nelle nostre nazioni occidentali non pensa ormai affatto di rivolgersi a rappresentanti della Chiesa per questioni che hanno a che fare con la pianificazione familiare o con la sessualità. Molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa si è allontanata dagli uomini».
Il filo rosso del ragionamento del cardinale - malato di Parkinson e rientrato dopo sei anni a Gerusalemme per curarsi nella casa dei gesuiti a Gallarate - è quello dell' attenzione alla realtà mentre si ragiona sul piano dottrinale.
«Nessun vescovo o sacerdote ignora che la prossimità corporea delle persone prima del matrimonio è un dato di fatto - spiega il cardinale - Oggi dobbiamo cambiare il modo di pensare se vogliamo proteggere la famiglia e promuovere la fedeltà coniugale. Con elusioni o divieti non si può guadagnare nulla».
Un modo di ragionare al quale il fine biblista è sempre rimasto fedele. Così, sulle questioni che misurano la distanza della Chiesa dai cambiamenti della società moderna, Carlo Maria Martini chiosa: «Oggi i giovani si pongono la domanda: "Sono capace di prendermi la responsabilità di mettere al mondo un figlio o no?". Su questo riflettono i giovani e ne parlano con persone di fiducia». Da questa considerazione di fatto, nasce un consiglio pratico: «La Chiesa dovrebbe trattare le questioni della famiglia e della sessualità in modo che la responsabilità di coloro che si amano svolga un ruolo portante e decisivo».
Ancora e sempre, l' attenzione ai percorsi della vita umana, senza rinnegare la dottrina. Martini conobbe molto da vicino Paolo VI, autore dell' enciclica «della pillola», come venne poi etichettata. Nelle conversazioni di Gerusalemme, il cardinale descrive la «solitudine» di papa Montini nella stesura di quel testo da cui furono esclusi «i padri conciliari» . Ma oggi, a 40 anni di distanza, dice Martini, è possibile «uno sguardo nuovo. Sono fermamente convinto che la guida della Chiesa possa mostrare una via migliore». - ZITA DAZZI
Repubblica — 04 ottobre 2008 pagina 12 sezione: CRONACA
MILANO - «Non possiamo lasciare soli i giovani. Hanno diritto a parole chiarificatrici relative ai temi del corpo, del matrimonio e della famiglia. Cerchiamo una via per parlare in modo più accurato del matrimonio, del controllo delle nascite, dell' inseminazione artificiale e della contraccezione».
A 81 anni, il cardinale Carlo Maria Martini, grande biblista, da sempre punto di riferimento di una vasta area non solo del mondo cattolico, può permettersi il lusso di parlare apertamente, anche di argomenti considerati tabù dalle gerarchie ecclesiali. Cosa che fa, con tutta la libertà e la schiettezza di cui è capace, nel libro «Conversazioni notturne a Gerusalemme», che raccoglie i colloqui con un confratello austriaco, il padre gesuita Georg Sporschill.
Il libro, anticipato da Repubblica nel maggio scorso e uscito finora solo in tedesco presso l' editore Herder, nelle prossime settimane sarà pubblicato in italiano da Mondadori. Nella versione tedesca, si legge un lungo capitolo dedicato ai temi affrontati ieri dal Papa. Un capitolo che tratta questioni che fanno discutere il mondo cattolico, come il sesso prematrimoniale, la pillola, i preservativi. E, citando i mea culpa di Giovanni Paolo II sui temi della scienza e dell' ebraismo, si augura un ripensamento, addirittura un' «ammissione di colpa» sugli errori della Chiesa nella materia delicatissima dei rapporti familiari. Un invito in qualche modo a scusarsi per le rigidità, l' incapacità di comprendere i cambiamenti sociali, anche su problemi epocali come l' Aids in Africa e il divieto a usare i preservativi come strumenti di prevenzione. «è segno di grandezza e di coscienza di sé, se qualcuno è capace di ammettere i propri errori e le proprie ristrettezze di vedute», risponde Martini a padre Sporschill che lo sollecita sul tema dell' incomunicabilità fra i giovani e la Chiesa su argomenti così cruciali. L' arcivescovo emerito di Milano, giovedì sera, presentando un libro proprio su Paolo VI al Centro San Fedele, si è dichiarato «nell' ultima o penultima anticamera della morte». Ma nel libro tedesco non si risparmia e affronta con coraggio la questione sessuale. Martini non esita a denunciare i «danni» e gli «sviluppi negativi» dall' Humanae Vitae. «La cosa più triste è che l' enciclica è corresponsabile del fatto che molti non prendono più sul serio la Chiesa come interlocutrice o come maestra - si rammarica - Soprattutto la gioventù nelle nostre nazioni occidentali non pensa ormai affatto di rivolgersi a rappresentanti della Chiesa per questioni che hanno a che fare con la pianificazione familiare o con la sessualità. Molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa si è allontanata dagli uomini».
Il filo rosso del ragionamento del cardinale - malato di Parkinson e rientrato dopo sei anni a Gerusalemme per curarsi nella casa dei gesuiti a Gallarate - è quello dell' attenzione alla realtà mentre si ragiona sul piano dottrinale.
«Nessun vescovo o sacerdote ignora che la prossimità corporea delle persone prima del matrimonio è un dato di fatto - spiega il cardinale - Oggi dobbiamo cambiare il modo di pensare se vogliamo proteggere la famiglia e promuovere la fedeltà coniugale. Con elusioni o divieti non si può guadagnare nulla».
Un modo di ragionare al quale il fine biblista è sempre rimasto fedele. Così, sulle questioni che misurano la distanza della Chiesa dai cambiamenti della società moderna, Carlo Maria Martini chiosa: «Oggi i giovani si pongono la domanda: "Sono capace di prendermi la responsabilità di mettere al mondo un figlio o no?". Su questo riflettono i giovani e ne parlano con persone di fiducia». Da questa considerazione di fatto, nasce un consiglio pratico: «La Chiesa dovrebbe trattare le questioni della famiglia e della sessualità in modo che la responsabilità di coloro che si amano svolga un ruolo portante e decisivo».
Ancora e sempre, l' attenzione ai percorsi della vita umana, senza rinnegare la dottrina. Martini conobbe molto da vicino Paolo VI, autore dell' enciclica «della pillola», come venne poi etichettata. Nelle conversazioni di Gerusalemme, il cardinale descrive la «solitudine» di papa Montini nella stesura di quel testo da cui furono esclusi «i padri conciliari» . Ma oggi, a 40 anni di distanza, dice Martini, è possibile «uno sguardo nuovo. Sono fermamente convinto che la guida della Chiesa possa mostrare una via migliore». - ZITA DAZZI
sabato 4 ottobre 2008
caccia
Una proposta del Pdl amplia la stagione venatoria e permette di sparare
anche a specie oggi protette. Il Pd: "Normativa "che rischia di isolare l'Itala nella Ue"
Fucili senza freni, tutela a zero
La caccia ai tempi del centrodestra
Ma in Liguria, il centrosinistra vota una legge con la Lega
di ANTONIO CIANCIULLO
Fucili senza freni, tutela a zero La caccia ai tempi del centrodestra
ROMA - Doppiette senza freni. Si comincerà a sparare ad agosto, quando ancora il periodo della riproduzione non si è concluso, e si finirà a fine febbraio, colpendo i migratori protetti dall'Europa. Nel mirino finiranno peppole, fringuelli, corvi e cormorani, tutte specie tutelate dalla direttiva 409 di Bruxelles. E i cacciatori non saranno più vincolati al territorio di residenza, come è previsto dalla legge attuale per evitare una pressione squilibrata sul territorio e sulla fauna, ma per 15 - 30 giorni all'anno potranno concentrarsi a loro piacimento, magari nella zona di passaggio dei migratori.
E' questo il profilo della nuova legge sulla caccia proposta dal pdl: una controriforma organica che spazza via la legge quadro del 1992 (la 157) che per 16 anni ha garantito la mediazione tra la situazione precedente (una caccia ad alto impatto ambientale) e le richieste di un fronte abolizionista che molti sondaggi danno per maggioritario. Il testo, che nascerà dalla fusione di due disegni di legge convergenti (uno a firma del senatore Domenico Benedetti Valentini, l'altro dei senatori Valerio Carrara, Laura Bianconi e Franco Asciutti) sarà discusso nei prossimi giorni in Parlamento.
"Qualche parlamentare del Pdl pensa evidentemente che per la caccia sia giunto il momento della restaurazione, ma io penso che all'interno del centro destra siano in molti a considerare una sciocchezza la caccia senza regole", commenta Roberto Della Seta, capogruppo del Pd in commissione Ambiente del Senato. "Se questi ddl passassero, l'Italia si ritroverebbe isolata dal contesto normativo europeo e si vanificherebbe il lavoro prezioso di dialogo, confronto, spesso di collaborazione tra mondo venatorio, comunità scientifica, ambientalisti, organizzazioni agricole che ha consentito di sottrarre il tema della caccia a una guerra di religione e di farne un buon esempio di politiche condivise e positive".
Ma le tensioni non riguardano solo il centrodestra. A dimostrare che la spinta alla deregulation sulla caccia non segue i confini degli schieramenti politici, c'è stata la sorpresa Liguria. Dopo la minaccia della Ue di una super multa per l'autorizzazione della caccia ai fringuelli, i consiglieri Pd hanno bissato votando a favore di una norma voluta dalla Lega per ridurre da 10 a 3 gli anni dopo i quali si può sparare nei boschi colpiti dagli incendi.
"Far saltare i paletti che regolano l'attività venatoria e consentono di rispettare le norme europee è una mossa che rischia di produrre danni all'ambiente e ritorcersi contro gli stessi cacciatori", nota il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. "Il numero delle doppiette è in calo costante, mentre cresce il peso delle attività legate a un uso diverso del territorio. Per i cacciatori c'è un solo futuro possibile: stare alle regole europee e diminuire l'impatto ambientale della loro attività".
(Repubblica, 4 ottobre 2008)
nota mia: ma come è possibile che nessuno si accorga che la destra itlaina vuole spingere perchè ci buttino fuori dalla UE, così non ci saranno più regole da rispettare? .....e magari tornare alla lira....????
anche a specie oggi protette. Il Pd: "Normativa "che rischia di isolare l'Itala nella Ue"
Fucili senza freni, tutela a zero
La caccia ai tempi del centrodestra
Ma in Liguria, il centrosinistra vota una legge con la Lega
di ANTONIO CIANCIULLO
Fucili senza freni, tutela a zero La caccia ai tempi del centrodestra
ROMA - Doppiette senza freni. Si comincerà a sparare ad agosto, quando ancora il periodo della riproduzione non si è concluso, e si finirà a fine febbraio, colpendo i migratori protetti dall'Europa. Nel mirino finiranno peppole, fringuelli, corvi e cormorani, tutte specie tutelate dalla direttiva 409 di Bruxelles. E i cacciatori non saranno più vincolati al territorio di residenza, come è previsto dalla legge attuale per evitare una pressione squilibrata sul territorio e sulla fauna, ma per 15 - 30 giorni all'anno potranno concentrarsi a loro piacimento, magari nella zona di passaggio dei migratori.
E' questo il profilo della nuova legge sulla caccia proposta dal pdl: una controriforma organica che spazza via la legge quadro del 1992 (la 157) che per 16 anni ha garantito la mediazione tra la situazione precedente (una caccia ad alto impatto ambientale) e le richieste di un fronte abolizionista che molti sondaggi danno per maggioritario. Il testo, che nascerà dalla fusione di due disegni di legge convergenti (uno a firma del senatore Domenico Benedetti Valentini, l'altro dei senatori Valerio Carrara, Laura Bianconi e Franco Asciutti) sarà discusso nei prossimi giorni in Parlamento.
"Qualche parlamentare del Pdl pensa evidentemente che per la caccia sia giunto il momento della restaurazione, ma io penso che all'interno del centro destra siano in molti a considerare una sciocchezza la caccia senza regole", commenta Roberto Della Seta, capogruppo del Pd in commissione Ambiente del Senato. "Se questi ddl passassero, l'Italia si ritroverebbe isolata dal contesto normativo europeo e si vanificherebbe il lavoro prezioso di dialogo, confronto, spesso di collaborazione tra mondo venatorio, comunità scientifica, ambientalisti, organizzazioni agricole che ha consentito di sottrarre il tema della caccia a una guerra di religione e di farne un buon esempio di politiche condivise e positive".
Ma le tensioni non riguardano solo il centrodestra. A dimostrare che la spinta alla deregulation sulla caccia non segue i confini degli schieramenti politici, c'è stata la sorpresa Liguria. Dopo la minaccia della Ue di una super multa per l'autorizzazione della caccia ai fringuelli, i consiglieri Pd hanno bissato votando a favore di una norma voluta dalla Lega per ridurre da 10 a 3 gli anni dopo i quali si può sparare nei boschi colpiti dagli incendi.
"Far saltare i paletti che regolano l'attività venatoria e consentono di rispettare le norme europee è una mossa che rischia di produrre danni all'ambiente e ritorcersi contro gli stessi cacciatori", nota il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. "Il numero delle doppiette è in calo costante, mentre cresce il peso delle attività legate a un uso diverso del territorio. Per i cacciatori c'è un solo futuro possibile: stare alle regole europee e diminuire l'impatto ambientale della loro attività".
(Repubblica, 4 ottobre 2008)
nota mia: ma come è possibile che nessuno si accorga che la destra itlaina vuole spingere perchè ci buttino fuori dalla UE, così non ci saranno più regole da rispettare? .....e magari tornare alla lira....????
lunedì 29 settembre 2008
Guido Viale - azzerare i rifiuti
Intervista a Guido Viale, di BRUNELLA SCHISA , dal "Venerdi di repubblica" del 16 settembre 2008
L'immondizia a Napoli tornerà, anzi sta già tornando nelle strade, perché non si è fatto niente per ridurre i rifiuti urbani e la Campania continua a produrne settemila tonnellate al giorno. Ma soltanto 18 mila stanno sperimentando la raccolta differenziata. Gli altri non sono stati messi nelle condizioni di farla».
Guido Viale da anni si occupa di ricerche economiche e sociali e ha appena pubblicato "Azzerare i rifiuti", un tema che segue con passione da oltre un decennio. «Per i rifiuti della Campania si aspetta l'apertura dell'inceneritore di Acerra, che sarà il più grande d'Europa, annunciata come imminente da quattro anni. Ma io prevedo che non verrà aperto molto presto e che potrebbe essere chiuso poco dopo. Se ci sono voluti otto anni per realizzarlo non è per le proteste dei cittadini ma per errori di progettazione. Quanto agli altri tre, ci vorranno ancora almeno tre-quattro anni».
E nel frattempo?
«Si continuerà a sversare rifiuti indifferenziati nelle discariche. Berlusconi ne ha annunciate altre undici, ma le discariche sono una soluzione arretrata, anti economica e anti ambientale. L'alternativa vera è rimettere in funzione gli impianti di trattamento meccanico biologico, i cosiddetti cdr, che separano la parte combustibile da quella che non lo è. In Campania ce ne sono sette, ma non hanno mai funzionato bene. Per aumentare le quantità da bruciare, e prendere gli incentivi di Stato, sono stati usati male e stressati: con il risultato che quello che usciva era quasi uguale a quello che entrava. Così si sono accumulate milioni di ecoballe».
Ma quando entrerà in funzione l'inceneritore di Acerra smaltirà duemila tonnellate al giorno...
«Se entrerà in funzione, ci metterà sette-otto anni solo per smaltire i cinque milioni di ecoballe. Ammesso che sia in grado di farlo».
E quelle prodotte ora?
«Dovrebbero essere smaltite negli altri tre inceneritori. Se verranno fatti. Ma nel decreto del Governo non esiste alcuna misura per incentivare la raccolta differenziata. Gli incentivi sono solo per gli inceneritori.
Dal '93 a oggi con questi incentivi sono stati distribuiti circa 40 miliardi di euro. Il più è andato agli impianti di raffinazione del petrolio. Tra i quali hanno un ruoto di spicco quelli dei Moratti».
Quindi per fronteggiare l'emergenza bisogna procedere alla raccolta differenziata.
«Esatto. Secondo la legge i Comuni dovrebbero farla per il 35% dei rifiuti urbani, mentre in realtà è intorno al 24%. Ma ci sono comuni, come quello di Messina, allo zero per cento e altri, come di Treviso, al 65%. Non dipende dalla cultura o dai geni degli abitanti; è solo una questione di buona amministrazione. Anche in Campania, per esempio in provincia di Salerno, ci sono Comuni che fanno oltre il 70 per cento della differenziata».
Lei sostiene che fin quando i cassonetti saranno in strada non si potrà fare.
«Questo è sicuro. La raccolta differenziata va fatta porta a porta, per ogni numero civico, per ogni condominio. Oppure in spazi sorvegliati con chiavi o badge, come si fa in Svizzera. Un luogo protetto dove nessuno può infilare quello che gli pare. D'altronde secondo la direttiva europea dobbiamo arrivare a riciclare almeno il 50 per cento dei rifiuti che produciamo e senza il porta a porta non ci si arriva».
Lei nel suo libro parla della «cultura della sobrietà», ma sembra un'utopia.
«Sul tema rifiuti c'è quasi uno scontro di civiltà. Dobbiamo metterci in testa che tutto quello che compriamo e facciamo entrare in casa prima o poi esce come rifiuto. Il problema è che la durata del bene è sempre più breve. Ma è soprattutto la scelta di quello che si consuma, il modo in cui io si fa, che può ridurne la produzione».
Per esempio?
«Evitare l'usa e getta. Non usare piatti e bicchieri di plastica. Non comprare acqua minerale e mettere un filtro ai rubinetti. Nei primi due anni e mezzo di un bambino si spendono duemila euro di pannolini. Spesa che potrebbe essere ridotta a 150-300 euro senza bisogno di tornare al Napisan e ai ciripà.».
Lei insiste molto anche sulla riduzione dell'uso degli imballaggi.
«Sì. Il 40% dei rifiuti urbani riguarda gli imballaggi. Parlo di peso, perché è ovvio che in volume sono molto di più...»
Bisognerebbe tornare ai vuoti a rendere.
«Se si fa come in Austria, che per una bottiglia di birra ti rendono 30 centesimi... E bisognerebbe comprare alia spina non solo detersivi, ma anche molti prodotti in grani, come riso, caffè e persino pasta e vino. Così avviene in Germania».
Ma azzerare i rifiuti è impossibile.
«In linea di principio si può fare. L'importante è cominciare. Berlino ha già ridotto del 3% la produzione annua, San Francisco ha portato la raccolta differenziata al 60% in poco più di un anno. Anche noi, per legge, dovremo raggiungere il 65% nel 2012. E d'altronde, la notizia che almeno cento milioni di tonnellate di rifiuti di plastica galleggiano nel mezzo dell'Oceano Pacifico, formando una specie di nuovo continente, non me la sono inventata io».
L'immondizia a Napoli tornerà, anzi sta già tornando nelle strade, perché non si è fatto niente per ridurre i rifiuti urbani e la Campania continua a produrne settemila tonnellate al giorno. Ma soltanto 18 mila stanno sperimentando la raccolta differenziata. Gli altri non sono stati messi nelle condizioni di farla».
Guido Viale da anni si occupa di ricerche economiche e sociali e ha appena pubblicato "Azzerare i rifiuti", un tema che segue con passione da oltre un decennio. «Per i rifiuti della Campania si aspetta l'apertura dell'inceneritore di Acerra, che sarà il più grande d'Europa, annunciata come imminente da quattro anni. Ma io prevedo che non verrà aperto molto presto e che potrebbe essere chiuso poco dopo. Se ci sono voluti otto anni per realizzarlo non è per le proteste dei cittadini ma per errori di progettazione. Quanto agli altri tre, ci vorranno ancora almeno tre-quattro anni».
E nel frattempo?
«Si continuerà a sversare rifiuti indifferenziati nelle discariche. Berlusconi ne ha annunciate altre undici, ma le discariche sono una soluzione arretrata, anti economica e anti ambientale. L'alternativa vera è rimettere in funzione gli impianti di trattamento meccanico biologico, i cosiddetti cdr, che separano la parte combustibile da quella che non lo è. In Campania ce ne sono sette, ma non hanno mai funzionato bene. Per aumentare le quantità da bruciare, e prendere gli incentivi di Stato, sono stati usati male e stressati: con il risultato che quello che usciva era quasi uguale a quello che entrava. Così si sono accumulate milioni di ecoballe».
Ma quando entrerà in funzione l'inceneritore di Acerra smaltirà duemila tonnellate al giorno...
«Se entrerà in funzione, ci metterà sette-otto anni solo per smaltire i cinque milioni di ecoballe. Ammesso che sia in grado di farlo».
E quelle prodotte ora?
«Dovrebbero essere smaltite negli altri tre inceneritori. Se verranno fatti. Ma nel decreto del Governo non esiste alcuna misura per incentivare la raccolta differenziata. Gli incentivi sono solo per gli inceneritori.
Dal '93 a oggi con questi incentivi sono stati distribuiti circa 40 miliardi di euro. Il più è andato agli impianti di raffinazione del petrolio. Tra i quali hanno un ruoto di spicco quelli dei Moratti».
Quindi per fronteggiare l'emergenza bisogna procedere alla raccolta differenziata.
«Esatto. Secondo la legge i Comuni dovrebbero farla per il 35% dei rifiuti urbani, mentre in realtà è intorno al 24%. Ma ci sono comuni, come quello di Messina, allo zero per cento e altri, come di Treviso, al 65%. Non dipende dalla cultura o dai geni degli abitanti; è solo una questione di buona amministrazione. Anche in Campania, per esempio in provincia di Salerno, ci sono Comuni che fanno oltre il 70 per cento della differenziata».
Lei sostiene che fin quando i cassonetti saranno in strada non si potrà fare.
«Questo è sicuro. La raccolta differenziata va fatta porta a porta, per ogni numero civico, per ogni condominio. Oppure in spazi sorvegliati con chiavi o badge, come si fa in Svizzera. Un luogo protetto dove nessuno può infilare quello che gli pare. D'altronde secondo la direttiva europea dobbiamo arrivare a riciclare almeno il 50 per cento dei rifiuti che produciamo e senza il porta a porta non ci si arriva».
Lei nel suo libro parla della «cultura della sobrietà», ma sembra un'utopia.
«Sul tema rifiuti c'è quasi uno scontro di civiltà. Dobbiamo metterci in testa che tutto quello che compriamo e facciamo entrare in casa prima o poi esce come rifiuto. Il problema è che la durata del bene è sempre più breve. Ma è soprattutto la scelta di quello che si consuma, il modo in cui io si fa, che può ridurne la produzione».
Per esempio?
«Evitare l'usa e getta. Non usare piatti e bicchieri di plastica. Non comprare acqua minerale e mettere un filtro ai rubinetti. Nei primi due anni e mezzo di un bambino si spendono duemila euro di pannolini. Spesa che potrebbe essere ridotta a 150-300 euro senza bisogno di tornare al Napisan e ai ciripà.».
Lei insiste molto anche sulla riduzione dell'uso degli imballaggi.
«Sì. Il 40% dei rifiuti urbani riguarda gli imballaggi. Parlo di peso, perché è ovvio che in volume sono molto di più...»
Bisognerebbe tornare ai vuoti a rendere.
«Se si fa come in Austria, che per una bottiglia di birra ti rendono 30 centesimi... E bisognerebbe comprare alia spina non solo detersivi, ma anche molti prodotti in grani, come riso, caffè e persino pasta e vino. Così avviene in Germania».
Ma azzerare i rifiuti è impossibile.
«In linea di principio si può fare. L'importante è cominciare. Berlino ha già ridotto del 3% la produzione annua, San Francisco ha portato la raccolta differenziata al 60% in poco più di un anno. Anche noi, per legge, dovremo raggiungere il 65% nel 2012. E d'altronde, la notizia che almeno cento milioni di tonnellate di rifiuti di plastica galleggiano nel mezzo dell'Oceano Pacifico, formando una specie di nuovo continente, non me la sono inventata io».
domenica 28 settembre 2008
L'amore su Islamonline
Sarà in librerìa da giovedì il nuovo libro della scrittrice marocchina Fatema Mernissi, Le 51 parole dell'amore (Giunti, Firenze, pagg. 256, €12,00). Ne anticipiamo un brano.
di Fatema Mernissi
L'amore potrebbe diventare la prossima materia preziosa da esportazione del mondo arabo, ora che gli sceicchi del Golfo consapevoli che le riserve di petrolio si assottigliano, cercano di diversificare le loro economie.
«L'esportazione araba che riscuote più successo non è il fondamentalismo ma il romanticismo», sostiene lo psicologo clinico Frank Tallis, occidentale cosmopolita e lungimirante, che ha insegnato all'Istituto di Psichiatria del King's College di Londra. A suo dire, per quanto Oriente e Occidente siano ugualmente ossessionati dall'amore romantico, il primo sarebbe meglio equipaggiato per soddisfare alla domanda su scala planetaria, proprio perché «gli arabi cadevano preda dell'amore seicento anni prima degli inglesi, che iniziarono a farlo solo quando lo studioso John Palsgrave introdusse l'espressione "to fall in love" nel sedicesimo secolo». E indovinate dove inciamparono, Palsgrave e gli altri studiosi britannici, per scoprire il mistero dell'amore come caduta? Ebbene, che lo crediate o meno, gli occidentali scoprirono il romanticismo leggendo in traduzione i trattati sull'amore scritti da autori arabi andalusi, tra cui Ibn Hazm, nell'undicesimo secolo. Fu questa la fonte di ispirazione per i cantori itineranti francesi del tredicesimo e quattordicesimo secolo, i famosi trovatori, troubadours, «termine verosimilmente derivato dall'arabo tarab, che significa intrattenimento musicale». (...)
Se le forze dell'amore spingono musulmani e musulmane dotati di coraggio a spiccare un salto così pericoloso, gli imam, dal canto loro, hanno il compito di aiutarli "a risalire la china. Nemmeno un intellettuale brillante come Ibn Hazm avrebbe mai potuto immaginare baratro più pericoloso di internet, terreno di sfida di imam moderni come Yusuf al-Qaradawi, star di Al-Jazeera, leader e ispiratore del sito IslamOnline e avveduto quanto basta per capire che il solo modo di salvare i musulmani è puntare sull'amore universale. L'unica salvezza planetaria immaginabile è la trasformazione di internet in una sorta di Arca dell'Amore, e gli arabi hanno tre elementi per guidare la navigazione.
Primo: terrore del consumismo.
Secondo: una vasta e sofisticata letteratura medievale sull'amore che continua a affascinare le giovani generazioni.
Terzo: il petrolio, con lauti proventi da investire nel progetto.
Per avere un'idea del terrore suscitato tra i genitori del mondo arabo dall'onda consumistica che ne lambisce le coste, basta guardare le copertine delle riviste da Baghdad a Casablanca: dal prestigioso periodico egiziano «Rose al-Yusuf», creato nel 1925 dalla femminista Fatema al-Yusuf, al più recente «Teens Today» con sede a Abu Dhabi. Il rischio più terrificante lo corrono le donne più giovani, come ripete costantemente «Teens Today»: «Adolescenti nella trappola di Bluetooth». (...)
Un modo di sviluppare la responsabilità personale è trasformare l'amore consumistico, artificiale ed egocentrico, nell'amore altruistico per cui Ibn Hazm si è battuto secoli fa. Alla luce delle ansie che attraversano il mondo musulmano, si può arrivare a capire perché i trattati sull'amore, come "Il collare della colomba", riscuotano tanto successo in Rete: quando sei spaventato, hai bisogno di qualcuno che ti paventi una soluzione. Ibn Hazm - arabo spagnolo vissuto , in tempi difficili come i nostri, sbattuto in prigione dopò essere stato visir, quando i califfi omayyadi sovrani di Andalusia perdevano potere - giunge alla conclusione che il solo rimedio è l'amore autentico, che ti apre ai rischi dell'incontro con l'altro. La sua conclusione è anche la mia.
Il consumismo disorienta i giovani perché manipola le loro emozioni, inducendoli a confondere l'amore con l'acquisto e lo sfoggio di beni di lusso. Per Ibn Hazm, invece, la tenerezza è una forza cosmica che ti trasforma in una straordinaria fonte di premurosa generosità. (...) In una religione che, a differenza del Cristianesimo, non liquida il sesso come peccato, gli imam hanno sempre avuto il compito di aiutare i credenti a controllare le emozioni: cosa che ha spinto molti di loro, tra cui Ibn Hazm, a scrivere trattati sull'amore. Né è sorprendente che l'imam al-Qaradawi chiami in suo aiuto un esercito di esperti di disci-pline moderne. E non crediate si limiti a psi-canalisti, sociologi e medici maschi: nel suo sito web si affida in larga misura anche alle donne.
I membri dei suoi team, che si occupano di "Problemi dei Giovani e Soluzioni", non esauriscono la loro funzione mettendo in Rete le risposte. Hanno denaro quanto basta (al-Qaradawi vive nel Golfo!) per pubblicare domande e risposte in manuali agili ed economici, come "Internet e l'Amore" o "II Matrimonio e l'Amore", accessibili a genitori e figli.
Non dimentichiamo che, quando diciamo "musulmani", parliamo di milioni di giovani con il solo desiderio di innamorarsi e di sposarsi; cosa che spiega il gran numero di siti concorrenti di IslamOnline. Ciò mi riporta all'altra ragione alla base del terrore musulmano per il consumismo: come scrive lo psicanalista francese Charles Melman, «l'approccio, spesso e volentieri pseudo-commerciale, alle relazioni amorose» impedisce all'individuo di aprirsi all'altro come elemento dì un gruppo, con la consapevolezza che ognuno è parte di un sistema cosmico.
Quando i musulmani leggono il libro di Melman "L'Homme sans gravité. Jouir à tout prix "L'uomo senza gravità: godere a ogni costo)", scoprono che anche gli occidentali sono allarmati dal consumismo, e - questa è la novità! - gli imam sono avveduti quanto basta per rendersi conto che l'era del culturalismo tribale è tramontata: la sola strategia vincente per il futuro è quella che s'inserisce in un orizzonte universale. Grazie a internet, i musulmani scoprono che milioni di occidentali spaventati dal consumismo, che rifiutano perché contrario alla loro etica, condividono il loro stesso desiderio di amore universale, e lo considerano l'unica, urgente soluzione per la sopravvivenza. Non può esserci scontro di civiltà, se l'amore universale diventa l'obiettivo di una globalizzazione etica. Per chiarire questo punto, lasciatemi concludere con un esempio.
Molti occidentali sono d'accordo con i musulmani nel ritenere irrazionale il rigetto della vecchiaia, che spinge molti e potenti manager di multinazionali, che dovrebbero preoccuparsi di problemi seri, a cercare di apparire eternamente giovani tramite costosi trattamenti contro la calvizie. «Dalle stime relative al 1999 emerge che gli uomini hanno speso 900 milioni di dollari in trattamenti medici contro la calvizie», spiega Peter Conrad nel suo allarmante testo "The Medicalization of Society (La medicalizzazione della società)". Stando alle sue fonti, «un trapianto di capelli può costare da duemila fino a più di diecimila dollari, a seconda della quantità di capelli trapiantati». Di fronte a questo consumismo malato, lo scontro di civiltà del signor Huntington scompare, per lasciare il posto a un pianeta unito nel suo rifiuto e nel desiderio di un amore cosmico, altruistico come quello di Ibn Hazm.
di Fatema Mernissi
L'amore potrebbe diventare la prossima materia preziosa da esportazione del mondo arabo, ora che gli sceicchi del Golfo consapevoli che le riserve di petrolio si assottigliano, cercano di diversificare le loro economie.
«L'esportazione araba che riscuote più successo non è il fondamentalismo ma il romanticismo», sostiene lo psicologo clinico Frank Tallis, occidentale cosmopolita e lungimirante, che ha insegnato all'Istituto di Psichiatria del King's College di Londra. A suo dire, per quanto Oriente e Occidente siano ugualmente ossessionati dall'amore romantico, il primo sarebbe meglio equipaggiato per soddisfare alla domanda su scala planetaria, proprio perché «gli arabi cadevano preda dell'amore seicento anni prima degli inglesi, che iniziarono a farlo solo quando lo studioso John Palsgrave introdusse l'espressione "to fall in love" nel sedicesimo secolo». E indovinate dove inciamparono, Palsgrave e gli altri studiosi britannici, per scoprire il mistero dell'amore come caduta? Ebbene, che lo crediate o meno, gli occidentali scoprirono il romanticismo leggendo in traduzione i trattati sull'amore scritti da autori arabi andalusi, tra cui Ibn Hazm, nell'undicesimo secolo. Fu questa la fonte di ispirazione per i cantori itineranti francesi del tredicesimo e quattordicesimo secolo, i famosi trovatori, troubadours, «termine verosimilmente derivato dall'arabo tarab, che significa intrattenimento musicale». (...)
Se le forze dell'amore spingono musulmani e musulmane dotati di coraggio a spiccare un salto così pericoloso, gli imam, dal canto loro, hanno il compito di aiutarli "a risalire la china. Nemmeno un intellettuale brillante come Ibn Hazm avrebbe mai potuto immaginare baratro più pericoloso di internet, terreno di sfida di imam moderni come Yusuf al-Qaradawi, star di Al-Jazeera, leader e ispiratore del sito IslamOnline e avveduto quanto basta per capire che il solo modo di salvare i musulmani è puntare sull'amore universale. L'unica salvezza planetaria immaginabile è la trasformazione di internet in una sorta di Arca dell'Amore, e gli arabi hanno tre elementi per guidare la navigazione.
Primo: terrore del consumismo.
Secondo: una vasta e sofisticata letteratura medievale sull'amore che continua a affascinare le giovani generazioni.
Terzo: il petrolio, con lauti proventi da investire nel progetto.
Per avere un'idea del terrore suscitato tra i genitori del mondo arabo dall'onda consumistica che ne lambisce le coste, basta guardare le copertine delle riviste da Baghdad a Casablanca: dal prestigioso periodico egiziano «Rose al-Yusuf», creato nel 1925 dalla femminista Fatema al-Yusuf, al più recente «Teens Today» con sede a Abu Dhabi. Il rischio più terrificante lo corrono le donne più giovani, come ripete costantemente «Teens Today»: «Adolescenti nella trappola di Bluetooth». (...)
Un modo di sviluppare la responsabilità personale è trasformare l'amore consumistico, artificiale ed egocentrico, nell'amore altruistico per cui Ibn Hazm si è battuto secoli fa. Alla luce delle ansie che attraversano il mondo musulmano, si può arrivare a capire perché i trattati sull'amore, come "Il collare della colomba", riscuotano tanto successo in Rete: quando sei spaventato, hai bisogno di qualcuno che ti paventi una soluzione. Ibn Hazm - arabo spagnolo vissuto , in tempi difficili come i nostri, sbattuto in prigione dopò essere stato visir, quando i califfi omayyadi sovrani di Andalusia perdevano potere - giunge alla conclusione che il solo rimedio è l'amore autentico, che ti apre ai rischi dell'incontro con l'altro. La sua conclusione è anche la mia.
Il consumismo disorienta i giovani perché manipola le loro emozioni, inducendoli a confondere l'amore con l'acquisto e lo sfoggio di beni di lusso. Per Ibn Hazm, invece, la tenerezza è una forza cosmica che ti trasforma in una straordinaria fonte di premurosa generosità. (...) In una religione che, a differenza del Cristianesimo, non liquida il sesso come peccato, gli imam hanno sempre avuto il compito di aiutare i credenti a controllare le emozioni: cosa che ha spinto molti di loro, tra cui Ibn Hazm, a scrivere trattati sull'amore. Né è sorprendente che l'imam al-Qaradawi chiami in suo aiuto un esercito di esperti di disci-pline moderne. E non crediate si limiti a psi-canalisti, sociologi e medici maschi: nel suo sito web si affida in larga misura anche alle donne.
I membri dei suoi team, che si occupano di "Problemi dei Giovani e Soluzioni", non esauriscono la loro funzione mettendo in Rete le risposte. Hanno denaro quanto basta (al-Qaradawi vive nel Golfo!) per pubblicare domande e risposte in manuali agili ed economici, come "Internet e l'Amore" o "II Matrimonio e l'Amore", accessibili a genitori e figli.
Non dimentichiamo che, quando diciamo "musulmani", parliamo di milioni di giovani con il solo desiderio di innamorarsi e di sposarsi; cosa che spiega il gran numero di siti concorrenti di IslamOnline. Ciò mi riporta all'altra ragione alla base del terrore musulmano per il consumismo: come scrive lo psicanalista francese Charles Melman, «l'approccio, spesso e volentieri pseudo-commerciale, alle relazioni amorose» impedisce all'individuo di aprirsi all'altro come elemento dì un gruppo, con la consapevolezza che ognuno è parte di un sistema cosmico.
Quando i musulmani leggono il libro di Melman "L'Homme sans gravité. Jouir à tout prix "L'uomo senza gravità: godere a ogni costo)", scoprono che anche gli occidentali sono allarmati dal consumismo, e - questa è la novità! - gli imam sono avveduti quanto basta per rendersi conto che l'era del culturalismo tribale è tramontata: la sola strategia vincente per il futuro è quella che s'inserisce in un orizzonte universale. Grazie a internet, i musulmani scoprono che milioni di occidentali spaventati dal consumismo, che rifiutano perché contrario alla loro etica, condividono il loro stesso desiderio di amore universale, e lo considerano l'unica, urgente soluzione per la sopravvivenza. Non può esserci scontro di civiltà, se l'amore universale diventa l'obiettivo di una globalizzazione etica. Per chiarire questo punto, lasciatemi concludere con un esempio.
Molti occidentali sono d'accordo con i musulmani nel ritenere irrazionale il rigetto della vecchiaia, che spinge molti e potenti manager di multinazionali, che dovrebbero preoccuparsi di problemi seri, a cercare di apparire eternamente giovani tramite costosi trattamenti contro la calvizie. «Dalle stime relative al 1999 emerge che gli uomini hanno speso 900 milioni di dollari in trattamenti medici contro la calvizie», spiega Peter Conrad nel suo allarmante testo "The Medicalization of Society (La medicalizzazione della società)". Stando alle sue fonti, «un trapianto di capelli può costare da duemila fino a più di diecimila dollari, a seconda della quantità di capelli trapiantati». Di fronte a questo consumismo malato, lo scontro di civiltà del signor Huntington scompare, per lasciare il posto a un pianeta unito nel suo rifiuto e nel desiderio di un amore cosmico, altruistico come quello di Ibn Hazm.
Iscriviti a:
Post (Atom)