mercoledì 12 novembre 2008

al gore - la battaglia di barack per salvare l'ambiente

La battaglia di Barack per salvare l´ambiente
Al Gore - La Repubblica 10 novembre 2008


La scelta ispirata e rivoluzionaria del popolo americano di eleggere Obama come nostro presidente costituisce la premessa per un´altra scelta fatidica che egli - e noi con lui - deve effettuare per salvare in extremis la civiltà dall´incombente minaccia della crisi del clima.
L´elettrizzante riscatto della rivoluzionaria dichiarazione americana secondo la quale tutti gli esseri umani sono uguali prepara il terreno a un rinnovo della leadership statunitense in un mondo che necessita disperatamente di proteggere la sua virtù primaria: l´integrità e la vivibilità stessa del pianeta.

La massima autorità al mondo in tema di crisi del clima, l´Intergovernmental Panel on Climate Change, dopo venti anni di studi dettagliati, afferma adesso che le prove sono "inequivocabili". A coloro che sono tuttora tentati di liquidare i sempre più urgenti segnali di allarme lanciati dagli scienziati di tutto il mondo io dico: svegliatevi!
Ecco una buona notizia: le iniziative temerarie e di grossa portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica.

Economisti di tutto lo spettro politico - tra i quali anche Martin Feldstein e Lawrence Summers - concordano sul fatto che ingenti e rapidi investimenti in un´iniziativa volta a migliorare le infrastrutture creando posti di lavoro costituirebbero il modo migliore per rianimare rapidamente e in modo sostenibile la nostra economia. Molti inoltre concordano anche sul fatto che la nostra economia continuerà a peggiorare se continueremo a spendere centinaia di miliardi di dollari per acquistare ogni anno petrolio dall´estero.

Come disse Abraham Lincoln durante le ore più preoccupanti e cupe per l´America, «L´occasione presenta enormi difficoltà e noi dovremo elevarci di conseguenza. Poiché la situazione che ci si presenta è nuova, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo». Nel nostro caso, pensare in modo nuovo impone di liquidare una ormai obsoleta, fallace e fatale definizione del problema che ci sta di fronte.

Trentacinque anni fa, in questa settimana che si è appena conclusa, il presidente Richard Nixon varò il Progetto Indipendenza, che fissava l´obiettivo per tutti gli Stati Uniti di raggiungere entro sette anni "la capacità di far fronte alle nostre esigenze energetiche senza dipendere da fonti energetiche straniere". La sua dichiarazione risuonò a tre settimane di distanza da quando l´embargo del petrolio arabo aveva mandato alle stelle il prezzo del barile e fece inopinatamente comprendere all´America intera i rischi della dipendenza dal petrolio straniero.
All´epoca gli Stati Uniti importavano meno di un terzo del loro petrolio dai Paesi stranieri. Eppure, ancor oggi, dopo che sei presidenti che hanno occupato la poltrona di Nixon hanno ripetuto la loro versione di questo medesimo obiettivo, la nostra dipendenza è raddoppiata.

Alcuni tuttora lo considerano un problema di produzione interna. Se noi riuscissimo - così sostengono - ad aumentare la produzione interna di petrolio e carbone, allora non dovremmo più dipendere dalle importazioni dal Medio Oriente. In ogni caso, tuttavia, le risorse in questione sono di gran lunga troppo onerose, troppo inquinanti oppure troppo fantasiose. In realtà, coloro che spendono centinaia di milioni di dollari per promuovere la tecnologia del "carbone pulito" omettono costantemente di citare il fatto che ci sono pochissimi investimenti in questo senso.

Ma ecco che cosa possiamo fare di concreto adesso: possiamo effettuare un investimento strategico consistente e immediato per sostituire le tecnologie energetiche.
Ecco in cinque punti il piano che potrebbe dare nuova energia all´America.
Punto primo: il nuovo presidente e il nuovo Congresso dovrebbero offrire investimenti su larga scala in incentivi per costruire impianti termali solari concentrati nei deserti del sud-ovest, centrali eoliche nel corridoio dal Texas al Dakota e impianti geotermici.

Punto secondo: dovremmo iniziare a progettare e costruire una rete unica nazionale intelligente per veicolare l´elettricità rinnovabile dalle località rurali alle città. Il costo di una simile griglia moderna - 400 miliardi di dollari in dieci anni - è nulla al confronto dell´annuale perdita per le imprese americane che si aggira sui 120 miliardi di dollari.

Punto terzo: dovremmo aiutare l´industria automobilistica americana per convertire rapidamente i loro prodotti in ibridi che possano funzionare anche con ricarica elettrica. Pensateci: con una griglia di questo tipo, le nostre automobili potrebbero ricaricarsi durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai minimi e durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai massimi.

Punto quarto: dovremmo lanciare e impegnarci in uno sforzo a livello nazionale per migliorare gli edifici con isolanti migliori, finestre efficienti dal punto di vista energetico e della luce.
Punto quinto: gli Stati Uniti dovrebbero mettersi al comando di questa iniziativa, stabilendo un prezzo per l´inquinamento da biossido di carbonio qui in patria, e guidare la comunità internazionale negli sforzi di sostituire il trattato di Kyoto l´anno prossimo a Copenhagen con un trattato ancora migliore, che fissi una soglia globale alle emissioni di biossido di carbonio e incoraggi le singole nazioni a investire tutte insieme in modi efficienti per ridurre rapidamente l´inquinamento che provoca il riscaldamento globale, ivi compresa una drastica riduzione del processo di deforestazione in atto.

Naturalmente, il modo migliore - anzi l´unico - di garantire un accordo globale sarebbe quello di proteggere il nostro futuro facendo sì che gli Stati Uniti tornino ad essere un Paese con un´autorità morale e politica tale da guidare la comunità internazionale verso la soluzione di questi problemi.

In una precedente epoca di grandi trasformazioni nella Storia americana, il presidente John F. Kennedy sfidò la nazione intera a portare un uomo sulla Luna nel giro di dieci anni. Otto anni e due mesi dopo Neil Armstrong mise piede sulla superficie lunare.
Quest´anno, nello stesso modo, abbiamo assistito all´ascesa di tanti giovani americani, il cui entusiasmo ha elettrizzato la campagna di Barack Obama. Indubbiamente questo stesso gruppo di giovani entusiasti rivestirà un ruolo cruciale in questo progetto per garantire un futuro alla nostra nazione, e per trasformare quelli che sembrano obiettivi assolutamente impossibili in successi ispirati.


c. 2008 The New York Times
Traduzione di Anna Bissanti