mercoledì 25 luglio 2012
Un giro degli Usa in bicicletta, per raccogliere messaggi su una vecchia macchina da scrivere
Un giro degli Usa in bicicletta, per raccogliere messaggi su una vecchia macchina da scrivere
di FEDERICO RAMPINI
È fantastico il potere che ha una vecchia macchina da scrivere manuale, offerta sulla pubblica piazza. Come una provocazione, o un'opportunità, a scrivere cose che non scriveresti più con il computer, men che meno su Facebook o Twitter.
Lo sta dimostrando una poetessa-ciclista, che traversa un pezzo d'America e trasporta questo cimelio: una vecchia Remington, più antica perfino della nostra leggendaria Olivetti Lettera 22. Lei si chiama Maya Stein, ha 40 anni, e in occasione del suo compleanno si è regalata questo viaggio d'altri tempi. Il suo itinerario è partito da Amherst, Massachusetts, il 5 maggio.
In bici, con un minirimorchio che trasporta la vecchia Remington, scorte di carta, bobine del nastro d'inchiostro scorrevole. L'accompagna un'amica, Grace Moore, così si sente meno sola la notte quando campeggia nei posti più sperduti. Fa 40 miglia al giorno, poi si ferma nella strada centrale di un villaggio o di una cittadina di provincia.
Lì mette in bella evidenza la Remington, su un cassonetto. A fianco appoggia una lavagna dove scrive col gesso: "Write Yourself Here", letteralmente: scrivete voi stessi qui. La destinazione finale di questo viaggio di Maya Stein, poetessa e ciclista, è la città di Milwaukee dove la premiata ditta Remington fabbricò le prime macchine da scrivere per un pubblico di massa a partire dal 1860.
L'itinerario è un po' casuale. Ha già traversato il Connecticut e lo Stato di New York. In poco tempo
la Stein ha raccolto un'antologia meravigliosa, una sorta di Spoon River moderna, in cui affiorano pezzi di un'America dimenticata. C'è anche il diario dell'anima di un'America modernissima, che però non trova più né il tempo né le parole giuste per dirsi ciò che conta davvero.
Forse ci voleva una Remington, e una ciclista che ha la pazienza di aspettare. Ore e ore, a volte. Ci sono tappe in cui la gente la osserva da lontano, circospetta. La Stein allora deve rompere il ghiaccio, si mette a scrivere lei con la Remington qualche brano del suo diario di viaggio. Gli spettatori aumentano, finché qualcuno sta al gioco e comincia a battere sui tasti.
C'è anche un piacere fisico - dimenticato per generazioni che ebbero a che fare con le macchine manuali; mai conosciuto dai più giovani. "Ora ricordo", le ha detto una donna, "come la usava mia madre, picchiava sui tasti e masticava il chewing-gum facendolo scoppiare, sembrava un'orchestra da sola".
Qualcuno prova imbarazzo di fronte a uno strumento che non prevede i correttori automatici, lascia intatti tutti gli errori. La Stein ha una parola di assistenza per tutti: spiega ai meno esperti che su quei tasti bisogna picchiare duro, mica sfiorarli soltanto come le tastiere digitali di oggi. A volte si ferma davanti a una chiesa, altre volte sul marciapiede davanti al caffè più frequentato sulla piazza centrale.
Ha fatto soste davanti a un vivaio di piante che è sede di un club di giardinaggio. Ha offerto la Remington agli abitanti di "campeggi per caravan", piccole città provvisorie che ospitano i nuovi poveri. Qualcuno ispirato dalla Remington vuole lasciare nero su bianco pensieri profondi, anche un invito a cambiare il nostro modo di comunicare nell'era dell'iPad.
"Vi ricordate", si legge su uno dei fogli, "quando eravamo solo oceani profondi, spostati dal movimento della luna?". Per altri quella vecchia macchina diventa uno strumento di autocoscienza: "Non era colpa mia. Avevo solo sei anni. Non volevo lanciare il bastone il mezzo alla strada. Non vidi arrivare l'auto. Non volevo che morisse. Amavo il mio cane.Ci sono voluti anni per superare quell'incidente".
Mark Etri, 52 anni, ex insegnante e ora pizzaiolo, ha lasciato per pochi minuti il forno della pizzeria dove lavora a Marlboro, nello Stato di New York, e ha scritto: "Non conta come arrivi a destinazione, ma la strada che scegli". È una variante di un'antica saggezza orientale, quella che in un viaggio in Birmania ispirò a Randy Komisar il titolo del suo libro, The Monk and the Riddle (Il monaco e l'enigma).
Nella campagna vicino a Rangoon diede un passaggio in motocicletta a un monaco buddista. Arrivato nel luogo che il religioso gli aveva indicato, quello si fermò solo pochi istanti, poi tornò in sella pronto a tornare al punto di partenza. La verità è che gli piaceva girare in moto. L'enigma del monaco si scioglie così: il viaggio è la mèta, la ricompensa è il tragitto.
Maya Stein l'ha capito e il suo viaggio in bicicletta attraverso gli Usa le sta regalando tanti piaceri e un po' di poesia. Per lei questo conta più di qualsiasi cosa possa esserci "alla fine". L'idea della Remington, spiega, l'ha presa da suo padre.
A casa loro da bambini ce n'era sempre una così, a disposizione di tutti, in un corridoio di passaggio fra le camere da letto, perché la famiglia intera potesse esercitarsi alla creatività. Oggi quell'esercizio è ancora più originale, se una vecchia Remington appare di colpo in mezzo a una cittadina della provincia profonda, come un parallelepido di granito nero lanciato dallo spazio.
Repubblica delle donne, 21 luglio 2012