Decrescita, non medioevo
Non vuol dire ritorno al carro e alla candela, né ripudio per la tecnologia. Vuole dire rallentare questa corsa impazzita
di Maurizio Pallante
Il periodo che stiamo vivendo è caratterizzato da diverse forme di crisi: economica, ambientale, sociale, finanziaria, spirituale.
I rimedi che si propongono sono però sempre gli stessi, a partire da un improbabile rilancio dei consumi. Oggi tutti parlano di crisi, ma nessuno si prende la responsabilità di affermare che, ormai, l’unica via per uscirne è modificare l’approccio che noi tutti stiamo avendo non solo con l’economia, ma anche con la realtà.
Nessuno si prende la briga di dimostrare che la soluzione sta nel cambiare l’uso che si fa della tecnologia, il tipo di partecipazione politica e i propri stili di vita. Il termine “decresci ta ” nasce in ambito economico, come ferma contestazione al concetto di crescita economica illimitata (impossibile in un ambiente limitato) ed al Pil come metro di misura del benessere (il Prodotto interno lordo, infatti, cresce anche quando si comprano armi o psicofarmaci, o semplicemente quando si resta imbottigliati per ore nel traffico a respirare gas di scarico), per poi passare in ambito filosofico, come proposta di un nuovo paradigma culturale che ci liberi dalla schiavitù del produttivismo forsennato che ci ha attanagliati in particolare negli ultimi decenni. E che ci ha portato all’attuale situazione di “crisi” (economica, occupazionale, ambientale, sociale, climatica) causata dal mito della crescita economica e dell’aumento del Pil.
Il Movimento per la Decrescita Felice si pone quindi lo scopo di introdurre nel dibattito politico il tema, appunto, della decrescita economica.
Attenzione: decrescita non vuol dire ritorno al carro e alla candela, né tanto meno ripudio per la tecnologia. Vuole semplicemente dire rallentare questa corsa impazzita che ci sta portando (se non lo ha già fatto) al punto di non ritorno.
Vuole tornare a parlare di qualità, piuttosto che di quantità, a dare valore a cose che ne hanno perso troppo negli ultimi tempi, a partire dall’ambiente fino ad arrivare alle relazioni umane.
Felice perché unire l’attuale livello culturale a certi usi imprudentemente abbandonati ci potrebbe portare a migliorare notevolmente la qualità della nostra vita. Addirittura diminuendo la quantità di denaro necessaria a farlo.
Decrescita non è sinonimo di recessione, ma una presa di coscienza e, conseguentemente, una scelta di vita. È un ritorno alla semplicità, da non confondere appunto con il dramma di chi, all’improvviso e senza nessun mezzo per farvi fronte, si trova disoccupato a causa della famigerata crisi occupazionale dovuta alla succitata recessione.
La decrescita è come mettersi a dieta per motivi di salute, la recessione è morire di fame perché non si dispone più di cibo.
La felicità dovrebbe essere intrinseca al discorso della decrescita, perché da sempre le cose più semplici e più genuine sono quelle che danno più gioia. Anche a coloro i quali si sono ormai convinti che non sia così.
Il Movimento per la Decrescita Felice, per quanto riguarda la tecnologia si fa promotore di ogni tipo di soluzione che porti a un risparmio di energia, a un ridotto uso di risorse, a un allungamento della vita utile di ogni tipo di oggetto e, ovviamente, a una riduzione della produzione di rifiuti.
A livello politico collabora con enti locali e liste civiche in tutto il paese, fornendo “linee guida” che possano aiutare ad orientarsi meglio tutti coloro che hanno a cuore la gestione del proprio territorio, ma che vogliono fare politica al di fuori delle istituzioni esistenti.
Riguardo agli stili di vita, invece, la migliore risposta alla crisi arriva dalla nascita, sempre al suo interno, dell’Università del Saper Fare, primo grande collettore italiano di conoscenza e scambio per l’autoproduzione.
È chiaro che ci sono beni che non si possono né autoprodurre né scambiare (occhiali, computer, visite mediche specialistiche etc, da procurarsi sottoforma di merci), ma appunto capiamo che la sfera mercantile è sì necessaria, ma non “necessariamente” invasiva e totalizzante come la nostra società, che si basa sul mito della crescita, ci ha praticamente costretto a credere.
Ciò può essere un rimedio all’attuale crisi economica, sociale e ambientale, perché risparmiare energia e risorse, o smettere di acquistare merci (spesso dalla dubbia utilità) che finiscono in tempi sempre più brevi nella spazzatura, vuole dire risparmiare denaro. Aumentare la nostra capacità di badare a noi stessi, sia attraverso l’autoproduzione della maggior quantità possibile di beni, sia grazie alla riscoperta del dono e della reciprocità (e quindi della convivialità), può non solo emanciparci dall’economia di mercato evitandoci di dover lavorare sempre di più per guadagnare sempre di più per consumare sempre di più, ma può anche portarci ad avere di meglio con molto meno.
La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione.
La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio. Perché tutto è possibile: una nuova economia, un nuovo approccio con la realtà, un rinnovamento delle classi dirigenti. L’unica cosa che non è possibile continuare a fare, per quanto a molti possa dispiacere, è crescere all’infinito, o anche solo pensare di poterlo fare.
www.decrescitafelice.it
Da: il fatto , 15 novembre 2009