domenica 11 ottobre 2009

imparare a insegnare

Per un'educazione emotiva, capace di seguire i percorsi individuali con cui ciascuno studente perviene al sapere, è necessario che una classe sia composta al massimo da quindici studenti, perché con venticinque o trenta alunni in classe è assolutamente impossibile non solo seguire, ma addirittura conoscere i percorsi emotivi, le turbolenze adolescenziali, le fasi di entusiasmo o di sfiducia, il lento scivolare nella demotivazione, fino allo scollamento dell'alunno dalla sua classe e alla fine l'abbandono.

Scrive Nino Giuliani in Fiabesca vita del maestro elementare Angelo Scaraboni (Editrice Versilia Club):
Non uso il pretenzioso 'insegno' perché in verità è molto più calzante il verbo
imparo'. C'è moltissimo da imparare dai nostri scolari"
Anch'io sento, come lei, il bisogno di una valutazione del corpo docente, non sempre all'altezza del proprio compito, a volte sul plano dei contenuti disciplinari, altre volte del metodo, spesso su quello relazionale, imprescindibile per un educatore a contatto quotidiano con adolescenti in formazione. Personalmente trovo che un valido parametro di valutazione della competenza disciplinare del docenti sia dato dall'effettiva preparazione degli alunni, misurata da Indagini garantite scientificamente e calibrate sulla realtà e specificità della scuola italiana. Molto meno facile è controllare l'equilibrio di un professore, la sua personalità, come lei auspica. A chi vogliamo o possiamo affidare, in un Paese come II nostro, questo controllo? A delle commissioni ministeriali? Al Dirigenti Scolastici? Il timore che si trasformi in una pulizia politica mi spaventa ancor più dell'attuale situazione di "deregulation". Vogliamo affidarlo alla "communis opinio" di genitori e famiglie? Oltre al rischio provato di sbagli clamorosi, dettati anche da fenomeni di Isteria collettiva, c'è la banale ma proprio per questo concreta probabilità che si scivoli verso un tacito "voto di scambio": gli insegnanti non saranno troppo rigorosi con gli studenti e questi ultimi non pregiudicheranno la loro carriera. Anche I migliori studenti, ahimè, alla fine cedono, per conformismo o calcolo: massimo risultato (numerico) con minimo sforzo. Per la competenza pedagogica e, come dire, "umana", emotiva, sulla quale spesso lei giustamente insiste, resta fermo il bisogno e l'urgenza di formare I professori anche sotto il profilo psicologico. Perché se è vero che il controllo e la valutazione della personalità di un essere umano è materia delicata, è pur vero che si possono educare emotivamente anche gli educatori. Ma come? Dove? Da chi? Questo è il nodo, caro professore, eminentemente pratico, organizzativo, politico. Monica Zefferl, Empoli monlca.zeffert@allce.lt

Risponde Umberto Galimberti:
Fatta eccezione per la scuola elementare, la preparazione dei nostri studenti è valutata tra le più scadenti in Europa, E più il livello culturale di un Paese degrada, meno prospettive si danno per il futuro di quel Paese. Quindi qualcosa bisogna fare. Da un lato le nostre scuole sono frequentate da ragazzi supergratificati in famiglia, a cui non è stato posto un vero limite ai loro desideri, per la scarsa autorevolezza dei genitori, sempre meno esemplari agli occhi dei loro figli. Dall'altro professori in cattedra che non hanno la più pallida cognizione della psicologia dell'età evolutiva, e che quindi non sanno che in quell'età l'acquisizione del sapere passa per canali prima emotivi che intellettuali. Ma per un'educazione emotiva, capace di seguire i percorsi individuali con cui ciascuno studente perviene al sapere, è necessario che una classe sia composta al massimo da quindici studenti, perché con venticinque o trenta alunni in classe è assolutamente impossibile non solo seguire, ma addirittura conoscere i percorsi emotivi, le turbolenze adolescenziali, le fasi di entusiasmo o di sfiducia, il lento scivolare nella demotivazione, fino allo scollamento dell'alunno dalla sua classe e alla fine l'abbandono. Ne consegue che se non si riduce il numero degli studenti in classe, moltiplicando le classi, occorre dire chiaro e tondo che la nostra scuola può al massimo "istruire", ma è strutturalmente nell'impossibilità-di "educare". E l'evidenza di questo fatto è sotto gli occhi di tutti. La professione di insegnante, infatti, non richiede solo competenze culturali, ma capacità di comunicazione e di fascinazione perché, da Socrate in poi, sappiamo che queste sono le condizioni dell'apprendimento. Infatti la tanto invocata "buona volontà" non esiste al di fuori dell'interesse che l'insegnante sa suscitare, l'interesse non esiste separato da un legame emotivo, il legame emotivo non si costituisce quando il rapporto tra insegnante e studente è un rapporto di reciproca diffidenza, quando non di assoluta incomprensione. E allora, per abilitare all'insegnamento, verifichiamo nei candidati queste capacità, che solo limitatamente si possono apprendere, perché sono di "natura". E come per l'assunzione in ogni professione si fanno dei colloqui, che in realtà sono dei veri e propri test di personalità, perché in una professione come quella dell'insegnante, che più delle altre richiede qualità umane e propensione naturale, queste verifiche non si fanno? I test esistono e sono sufficientemente collaudati. Usiamoli. Non risolveremo tutti i problemi della scuola, ma almeno non la lasceremo degradare oltre i livelli allarmanti a cui ormai siamo giunti.

la repubblica delle donne, 10 OTTOBRE 2009