Federico Rampini
IL POTERE DEI POVERI: UN ESERCITO STERMINATO CHE COMINCIA AD AVERE LA POSSIBILITÀ DI SPENDERE PER BENI DI PRIMA NECESSITA'
Nella recessione globale l'India scopre di avere una risorsa insospettabile: i suoi poveri. Non quella fascia dì miseria estrema dove ancora soffrono 200 milioni di persone, ma quel mezzo miliardo di indiani che sta subito sopra, cioè l'immenso popolo delle campagne che negli ultimi anni ha avuto accesso a un modestissimo benessere.
È quel mercato vasto e frugale che finora ha salvato l'India, isolandola dai contraccolpi più brutali della crisi internazionale. La loro domanda di consumi, i più semplici ed elementari, sta trainando la seconda nazione più popolosa del mondo verso una crescita economica tutt'altro che disprezzabile per questo "orribile" 2009.
Tutte le grandi aziende presenti sul mercato indiano lo confermano. Dalla Coca-Cola alla società telefonica Reliance, le vendite sono brillanti proprio nelle regioni rurali. La Lg Electronics ha una gamma speciale di elettrodomestici a basso consumo di corrente, "mirata" sulle famìglie più modeste. Per questa scelta lungimirante la Lg ha avuto un boom di affari grazie alle casalinghe dei villaggi, e il 45% del suo fatturato indiano ormai lo realizza nelle regioni agricole.
Mahindra, grosso produttore locale di automobili e macchine agricole, non riesce a star dietro agli ordinativi per il suo furgoncino Xylo: va a ruba tra le famiglie contadine. Secondo Anand Mahindra, presidente del gruppo, «se c'è una parte dell'economia che è riuscita a rimanere immune dalla crisi globale, è l'India rurale». Cade cosi un luogo comune che era molto diffuso fino all'anno scorso: l'idea che l'India era penalizzata dalla sua insufficiente capacità di invadere i mercati stranieri con le esportazioni. A parte rare eccezioni come il software, l'assistenza informatica e i call center, il resto del "made in India" non è stato protagonista di avanzate spettacolari: nulla di paragonabile alla penetrazione mondiale dei prodotti cinesi. Ma quella che sembrava una debolezza fino a ieri, oggi diventa un elemento di stabilità. La caduta del commercio globale, che penalizza la Cina e tutte le economie emergenti, ha un impatto limitato sull'India. Che invece scopre il vantaggio di avere una sterminata riserva di bisogni interni da soddisfare. Non che la crisi sia invisibile. Ma colpisce soprattutto i privilegiati. Dalla seconda metà del 2008 i settori che hanno sofferto di più sono il mercato immobiliare, i viaggi aerei, ì ristoranti, e le vendite di auto di media cilindrata: cioè i consumi tipici del ceto urbano medio-alto. L'industria che licenzia è quella dell'informatica, nelle varie Silicon Valley di Bangalore e Hyderabad. Per quanto strategicamente importante, questo settore avanzato occupa a stento 11% della forza lavoro indiana.
Alla base della piramide sociale, invece, c'è uno sterminato esercito di ex poveri che cominciano ad avere un potere d'acquisto spendibile per beni di primissima necessità: sapone, medicine, vestiti, scarpe, qualche elettrodomestico, il primo telefono, lo scooter. Nel corso degli ultimi cinque anni l'India agricola ha superato l'India urbana per il numero di famiglie al di sopra di 2.000 dollari di reddito annuo: è la soglia oltre la quale in questo Paese si diventa "consumatori di qualcosa", con un minimo potere d'acquisto oltre la pura sopravvivenza.
«Questa parte della società - spiega l'economista Saumitra Chaudhuri - è quasi immune dagli choc della crisi internazionale». Non hanno risparmi investiti né alla Borsa di Mumbai né nella bolla immobiliare; e il loro reddito dipende raramente dalle spoliazioni. «Una popolazione così vasta che parte da un livello così modesto - dice l'economista Subir Gokarn - è una locomotiva di crescita formidabile, se appena riesce ad aumentare di poco i suoi consumi». Anche la democrazia indiana si sta rivelando meno difettosa di quel che si credeva. Negli ultimi vent'annì è stata spesso paragonata al decisionismo autoritario cinese, e quest'ultimo sembrava vincente almeno nel campo economico. La modernizzazione delle infrastrutture cinesi è stata fantastica. Ma piano piano anche l'India fa dei progressi. Nonostante la corruzione, l'inefficienza burocratica, e tutti i rallentamenti dovuti alla conflittualità tipica di una democrazia, l'India sta costruendo in media 100 chilometri al giorno fra nuove superstrade e autostrade. Tanti villaggi che un tempo erano isolati dal mondo, ora entrano in comunicazione fra loro, migliorando le opportunità economiche degli abitanti. Il numero di abbonati al telefono ha raggiunto 350 milioni, e il mercato delle telecom cresce più velocemente di quello cinese. L'elefante indiano era stato a lungo criticato perché non correva abbastanza. In questa crisi sta sfoderando un tratto tipico dei pachidermi: la solidità.
Federico Rampini - laa repubblica delle donne 9 maggio 2009