mercoledì 12 novembre 2008

al gore - la battaglia di barack per salvare l'ambiente

La battaglia di Barack per salvare l´ambiente
Al Gore - La Repubblica 10 novembre 2008


La scelta ispirata e rivoluzionaria del popolo americano di eleggere Obama come nostro presidente costituisce la premessa per un´altra scelta fatidica che egli - e noi con lui - deve effettuare per salvare in extremis la civiltà dall´incombente minaccia della crisi del clima.
L´elettrizzante riscatto della rivoluzionaria dichiarazione americana secondo la quale tutti gli esseri umani sono uguali prepara il terreno a un rinnovo della leadership statunitense in un mondo che necessita disperatamente di proteggere la sua virtù primaria: l´integrità e la vivibilità stessa del pianeta.

La massima autorità al mondo in tema di crisi del clima, l´Intergovernmental Panel on Climate Change, dopo venti anni di studi dettagliati, afferma adesso che le prove sono "inequivocabili". A coloro che sono tuttora tentati di liquidare i sempre più urgenti segnali di allarme lanciati dagli scienziati di tutto il mondo io dico: svegliatevi!
Ecco una buona notizia: le iniziative temerarie e di grossa portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica.

Economisti di tutto lo spettro politico - tra i quali anche Martin Feldstein e Lawrence Summers - concordano sul fatto che ingenti e rapidi investimenti in un´iniziativa volta a migliorare le infrastrutture creando posti di lavoro costituirebbero il modo migliore per rianimare rapidamente e in modo sostenibile la nostra economia. Molti inoltre concordano anche sul fatto che la nostra economia continuerà a peggiorare se continueremo a spendere centinaia di miliardi di dollari per acquistare ogni anno petrolio dall´estero.

Come disse Abraham Lincoln durante le ore più preoccupanti e cupe per l´America, «L´occasione presenta enormi difficoltà e noi dovremo elevarci di conseguenza. Poiché la situazione che ci si presenta è nuova, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo». Nel nostro caso, pensare in modo nuovo impone di liquidare una ormai obsoleta, fallace e fatale definizione del problema che ci sta di fronte.

Trentacinque anni fa, in questa settimana che si è appena conclusa, il presidente Richard Nixon varò il Progetto Indipendenza, che fissava l´obiettivo per tutti gli Stati Uniti di raggiungere entro sette anni "la capacità di far fronte alle nostre esigenze energetiche senza dipendere da fonti energetiche straniere". La sua dichiarazione risuonò a tre settimane di distanza da quando l´embargo del petrolio arabo aveva mandato alle stelle il prezzo del barile e fece inopinatamente comprendere all´America intera i rischi della dipendenza dal petrolio straniero.
All´epoca gli Stati Uniti importavano meno di un terzo del loro petrolio dai Paesi stranieri. Eppure, ancor oggi, dopo che sei presidenti che hanno occupato la poltrona di Nixon hanno ripetuto la loro versione di questo medesimo obiettivo, la nostra dipendenza è raddoppiata.

Alcuni tuttora lo considerano un problema di produzione interna. Se noi riuscissimo - così sostengono - ad aumentare la produzione interna di petrolio e carbone, allora non dovremmo più dipendere dalle importazioni dal Medio Oriente. In ogni caso, tuttavia, le risorse in questione sono di gran lunga troppo onerose, troppo inquinanti oppure troppo fantasiose. In realtà, coloro che spendono centinaia di milioni di dollari per promuovere la tecnologia del "carbone pulito" omettono costantemente di citare il fatto che ci sono pochissimi investimenti in questo senso.

Ma ecco che cosa possiamo fare di concreto adesso: possiamo effettuare un investimento strategico consistente e immediato per sostituire le tecnologie energetiche.
Ecco in cinque punti il piano che potrebbe dare nuova energia all´America.
Punto primo: il nuovo presidente e il nuovo Congresso dovrebbero offrire investimenti su larga scala in incentivi per costruire impianti termali solari concentrati nei deserti del sud-ovest, centrali eoliche nel corridoio dal Texas al Dakota e impianti geotermici.

Punto secondo: dovremmo iniziare a progettare e costruire una rete unica nazionale intelligente per veicolare l´elettricità rinnovabile dalle località rurali alle città. Il costo di una simile griglia moderna - 400 miliardi di dollari in dieci anni - è nulla al confronto dell´annuale perdita per le imprese americane che si aggira sui 120 miliardi di dollari.

Punto terzo: dovremmo aiutare l´industria automobilistica americana per convertire rapidamente i loro prodotti in ibridi che possano funzionare anche con ricarica elettrica. Pensateci: con una griglia di questo tipo, le nostre automobili potrebbero ricaricarsi durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai minimi e durante le ore nelle quali l´uso di energia è ai massimi.

Punto quarto: dovremmo lanciare e impegnarci in uno sforzo a livello nazionale per migliorare gli edifici con isolanti migliori, finestre efficienti dal punto di vista energetico e della luce.
Punto quinto: gli Stati Uniti dovrebbero mettersi al comando di questa iniziativa, stabilendo un prezzo per l´inquinamento da biossido di carbonio qui in patria, e guidare la comunità internazionale negli sforzi di sostituire il trattato di Kyoto l´anno prossimo a Copenhagen con un trattato ancora migliore, che fissi una soglia globale alle emissioni di biossido di carbonio e incoraggi le singole nazioni a investire tutte insieme in modi efficienti per ridurre rapidamente l´inquinamento che provoca il riscaldamento globale, ivi compresa una drastica riduzione del processo di deforestazione in atto.

Naturalmente, il modo migliore - anzi l´unico - di garantire un accordo globale sarebbe quello di proteggere il nostro futuro facendo sì che gli Stati Uniti tornino ad essere un Paese con un´autorità morale e politica tale da guidare la comunità internazionale verso la soluzione di questi problemi.

In una precedente epoca di grandi trasformazioni nella Storia americana, il presidente John F. Kennedy sfidò la nazione intera a portare un uomo sulla Luna nel giro di dieci anni. Otto anni e due mesi dopo Neil Armstrong mise piede sulla superficie lunare.
Quest´anno, nello stesso modo, abbiamo assistito all´ascesa di tanti giovani americani, il cui entusiasmo ha elettrizzato la campagna di Barack Obama. Indubbiamente questo stesso gruppo di giovani entusiasti rivestirà un ruolo cruciale in questo progetto per garantire un futuro alla nostra nazione, e per trasformare quelli che sembrano obiettivi assolutamente impossibili in successi ispirati.


c. 2008 The New York Times
Traduzione di Anna Bissanti

sabato 1 novembre 2008

belle mostre a roma

Segnalo che al Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale a Roma, ci sono due mostre molto belle, fino al 6 gennaio 2009 (lunedi chiuso!) :
"Etruschi. le antiche metropoli del Lazio", tra le altre cose da ammirare il vaso con Achille che gioca a dadi, fantastico!
e
"Visioni Interiori" di Bill Viola, videoarte di altissimo livello.
Compresa nel biglietto una mostra "Chromosomes" di fotogrammi tratti dai film di Cronenberg, e nel bookshop una grande esposizione di fotografie sull'Australia.

Il biglietto di 12,50 euro comprende tutte queste mostre, apertura ore 10.00 e per una visita soddisfacente calcolare due ore per gli etruschi, una per Viola almeno.
Per un break, il ristorante interno è caro, meglio il bar/bookshop dove la pastasciutta o la zuppa sono decenti e ci sono molti giornali a disposizione.
Nel bookshop ci sono molti libri della taschen a prezzo conveniente!

lunedì 6 ottobre 2008

Una finestra cattura energia così cambia il fotovoltaico

Basta un gel spalmato sul vetro per trasformarlo in un pannello fotovoltalico

(la Repubblica, martedì, 23 settembre 2008)

La nuova tecnologia costa meno della metà di quella tradizionale

LELLO PARISE

POTENZA - Un gel, come quelli adoperati per ravvivare i capelli, ma capace di catturare i raggi del sole e di trasformarli in elettricità. Basterà spalmarlo tra i doppi vetri di una qualsiasi finestra perché la finestra stessa, senza che nessuno se ne accorga giacché il miscuglio è trasparente, assuma le sembianze di un pannello fotovoltaico. Ogni metro quadrato di superficie dovrebbe consentire di generare 100 watt all´ora. Se tutto funzionerà così come assicura l´Archimede Pitagorico lucano che a Potenza estrae dal cilindro il «brevetto mondiale», sarà la bolletta ad andare a farsi benedire o, almeno, a non essere salata come quelle pagate di questi tempi.



Giuseppe Vetere, 48 anni, presidente di Esco energy, srl con un fatturato di 4 milioni che «entro il 2009 diventerà una spa», veste i panni dell´inventore di questa crema magica la cui formula rimane segretissima come quella della Coca Cola. L´imprenditore meridionale dopo avere fatto carriera nel gruppo Eni (Italgas) decide di mollare gli ormeggi e di mettersi in proprio. E´ il 2004 quando nasce Esco: un centinaio di dipendenti, stabilimenti in Calabria e Basilicata. Ingaggia una squadra di venti giovanissimi ricercatori, soprattutto ingegneri nonché chimici, ed investe qualcosa come «10 milioni, ma neppure un centesimo di contributi pubblici, questo deve essere chiaro, io rischio il mio denaro», per materializzare il gel dei miracoli.

Prova e riprova, dopo quattro anni vince la scommessa e riesce a tagliare il traguardo. «Tecnologia del futuro? Semmai è il presente» va per le spicce il patron della società, che «dal 2 ottobre» comincerà a produrre il gel, pronto ad invadere il mercato «dal mese di giugno del 2009» qualora le sperimentazioni tra Puglia, Basilicata e Campania non si rivelino un buco nell´acqua e non mandino il sogno in corto circuito. «Siamo molto ottimisti. Questa è una soluzione che rivoluzionerà il modo di concepire l´energia sostenibile, da consumare facilmente nella vita quotidiana».



Quest´industriale testardo quanto pignolo che «non lavoro solo per vendere», ma ha «la fissazione di diffondere la cultura del risparmio energetico e della tutela ambientale», tira le somme: «Installare un impianto fotovoltaico sul tetto di casa propria, costa circa 16mila euro, ancorché lo Stato riconosce al cittadino per un periodo di vent´anni una tariffa incentivante sulla base dei kilowatt confezionati. Chi sceglie di usare il gel dovrebbe scucire tra i 5mila e i 6mila euro, non di più. Gli infissi riveduti e corretti sarebbero a quel punto, garantiti per vent´anni». Vetere è un fiume in piena: alla fine di settembre, a Milano, presenterà l´intruglio incantato ai principali guru delle fonti rinnovabili. Per metà orgoglioso e per metà determinato, avverte: «E non intendiamo fermarci qui».

NUCLEARE Un costosissimo vicolo cieco

di Michele Boato (da "Terra e Aqua", settembre 2008)

Chiunque riproponga il nucleare finge di ignorare che:
1. Il nucleare non è sicuro, è a rischio di incidenti catastrofici
Nel 1979 ad Harrisburg (Usa) si è sfiorata la "fusione del nocciolo", che c'è stata a Cernobyl (Ucraina) il 26 aprile 1986, con decine di migliaia di tumori e leucemie nei 20 anni successivi e più di 1000 morti per tumore tra i soldati intervenuti; ha contaminato l'acqua di 30 milioni di ucraini; irradiato 9 milioni di persone. Oggi, nelle regioni confinanti, 2/3 degli adulti e metà dei bambini sono malati alla tiroide, col raddoppio di malformazioni. Nel 2002 nell'Ohio (Usa) si è sfiorato io stesso disastro; nel 2004 a Sellafield (GB) c'è stata una fuga 160 kg di velenosissimo plutonio rivelata solo dopo 8 mesi. Dal 1995 al 2005 c'è stata una serie di incidenti gravi (con 7 morti e centinaia di contaminati gravi) nelle centrali del Giappone: tra cui uno gravissimo a Tokai Mura nel 1999 (2 lavoratori morti, 3 gravemente contaminati e 119 esposti a forti dosi di radiazioni) e il più grande impianto nucleare al mondo chiuso il 16.7.2007 per i danni da terremoto. Avere il nucleare vicino casa non è assolutamente la stesso che a centinaia di km.
2. Dopo 50 anni, non si sa ancora dove mettere le scorie radioattive
Ci sono milioni di tonnellate di scorie (di cui ben 250mila altamente radioattive) senza smaltimento definitivo. Gli Usa hanno speso 8 miliardi di dollari in 20 anni senza trovare una soluzione. In Italia il governo ha dato 674 milioni di euro alla Sogin che, dopo il ridicolo tentativo di Scanzano J. (sismico, come gran parte d'Italia), non sa dove mettere le "ecoballe" radioattive: il plutonio resta altamente radioattivo per 200mila anni! L'uranio238 per milioni di anni..
3. Non esiste il nucleare "sicuro e pulito" di Quarta generazione
Le centrali di "terza generazione", che Berlusconi vuole costruire, dovrebbero durare più di quelle in funzione (II generazione), senza aver risolto il problema delle scorie né della "sicurezza intrinseca" (spegnimento automatico se c'è un incidente grave). Le chiama "ponte" verso una "quarta generazione" che promette sarà "assolutamente sicura, non proliferante, con poche scorie e meno pericolose", ecc. Ma i reattori di IV generazione NON esistono! Sono previsti "dopo il 2030", come se fosse domani; e quanto "dopo"?. Intanto il governo propone un colossale rilancio del nucleare, con reattori che, almeno fino al 2040, aggraverebbero tutti i problemi creati dal nucleare! Infatti l'Enel ha investito quasi 2 miliardi di euro per completare, in Slovacchia, due reattori di vecchia tecnologia sovietica, addirittura privi di involucro esterno, giustificandosi: "la probabilità di un impatto aereo è trascurabile". In che mani siamo!...
4. È una favola "solo col nucleare si può fermare il riscaldamento globale"
Per avere una riduzione di gas serra bisognerebbe costruì- re una centrale nucleare ogni 10 giorni (35 all'anno) per i prossimi 60 anni. Così, con 2.000 nuove centrali nucleari, si fornirebbe il 20% dell'energia totale. C'è qualcuno, sano di mente, che pensa si potrebbe procedere a questo ritmo?
Nessuno dei top manager dell'energia crede che le centrali esaurite nei prossimi anni saranno rimpiazzate per più della metà: il trend mondiale del nucleare è verso il basso: solo per mantenere il numero e la potenza delle 435 centrali attuali (ne sono già state chiuse 117) ce ne vorrebbero 70 di nuove entro il 2015 (una ogni mese e mezzo!) e altre 192 entro il 2025: una ogni 18 giorni! Tutto per continuare a produrre non il 20%, ma solo il 6,5% dell'energia totale... 2.000 scienziati dell'IPCC (ONU) lo hanno certificato nel 2007:"II nucleare non potrà fermare la febbre del pianeta". Inoltre il ciclo completo (estrazione ed "arricchimento" dell'uranio, smaltimento scorie, costruzione e smantellamento centrale) emette gas serra quanto il ciclo a combustibile fossile.
5. L'uranio, come il petrolio, scarseggia e dobbiamo importarlo
L'Italia non ha uranio, dovrebbe importarlo da Russia, Niger, Namibia, Kazakistan, Australia, Canada.
Secondo l'Agenzia per l'energia Atomica, l'uranio dovrebbe scarseggiare dal 2030, invece già dal 1991 ha raggiunto il "pic-co"(se ne consuma più di quanto se ne estrae): sono le scorte militari che forniscono metà del combustibile. Già ora la produzione di uranio è insufficiente, perciò il suo prezzo si è moltiplicato per 10 (da 7 a 75 dollari la libbra) dal 2001 al 2007.
6. Altro che "bassi costi": il nucleare è fuori mercato
Le stime Usa per i nuovi impianti danno il nucleare a 6,3 cent/ kWh contro 5,5 del gas e 5,6 del carbone. Per questo negli Usa, nonostante gli enormi incentivi stanziati da Bush (1,8 cent/kWh, oltre il doppio del differenziale di 0,8 cent), nessuno ci investe più dal 1976. L'unico reattore in costruzione in Europa è in Finlandia: l'azienda privata ci sta perchè lo Stato paga (fa pagare ai contribuenti..) smaltimento delle scorie e smantellamento finale della centrale (che costa quasi come la costruzione), e garantisce l'acquisto di tutta l'energia prodotta per 60 anni: un affare senza rischi per il privato! Ma l'entrata in funzione della centrale (ordinata nel 1996) è slittata dal 2009 al 2011: 15 anni. Così il suo costo finale, da 2,5 miliardi di euro è aumentato a 4 miliardi: più di 4 volte di una centrale a metano della stessa potenza (1600 MW). I ritardi nella costruzione sono una costante dell'industria nucleare: negli Usa i costi di 75 reattori, previsti in 45 miliardi di dollari, sono aumentati a 145, tre volte il previsto. In Italia i tempi sarebbero più lunghi e i costi più alti (un km di Tav costa 4 volte che in Francia...): chi paga? L'Enel per le 2 centrali slovacche, spende 2.700 euro/kW, mentre una centrale a gas costa meno di 500 euro/kW. Chi paga?
7. Il nucleare è in crisi: nel mondo solo 9 stati ci investono
L'Austria, col Referendum del 1978, ha deciso di non mettere in funzione la centrale già costruita sul Danubio. L'Italia è uscita dalla follia nucleare col Referendum del 1987. La Germania, nel 2000, ha deciso di non investire più sul nucleare e sostituirlo col risparmio e l'aumento del 2,5% annuo di energie rinnovabili. La Svezia col Referendum del 1980 ha fatto la stessa scelta. La Spagna, con un Referendum nel 1983, ha deciso di uscire dal nucleare e raggiungere l'autonomia energetica entro il 2050, investendo moltissimo nel solare. Negli Usa non si costruiscono più centrali nucleari dal 1976. In Europa nel 1976 c'erano 177 centrali, oggi sono 146, 31 in meno; nei prossimi venti anni un centinaio di esse chiudono;
non saranno sostituite in Belgio, Germania, Olanda, Spagna e Svezia, che hanno deciso di non costruirne più. In Europa non hanno centrali nucleari, oltre all'Italia: Austria, Danimarca, Grecia, Irlanda (il movimento di opposizione ha bloccato il programma nucleare), Norvegia e Polonia, che ha interrotto la costruzione dell'unica centrale. Nel mondo: Australia, Nuova Zelanda, l'America Latina (escluso il Messico e Argentina), l'Africa (escluso Sud Africa) e l'Asia (esclusi Giappone, India, Pakistan, Cina, Iran). Solo 9 stati investono nel nucleare: India, Cina, Russia, Ucraina, Giappone, Iran, Argentina, Romania e Finlandia.
8. Centrali e bombe nucleari sono sorelle gemelle
Le centrali nucleari americane nascono per sfruttare il calore di scarto che si ottiene nel ciclo dell'arricchimento dell'uranio per la produzione delle bombe "sperimentate" in Agosto 1945 (a guerra già vinta!) a Hiroshima e Nagasaki con centinaia di migliaia di civili assassinati. Poi arrivano le centrali sovietiche. Ci sono anche centinaia di reattori militari per le 130.000 bombe atomiche e i sommergibili nucleari. Poi le centrali francesi, per la "Force de frappe", terza potenza nucleare, con esplosioni in nord Africa e Pacifico (le ultime a Mururoa nei 1996). Le stesse industrie (General Electric e Westinghouse) producono sia le centrali che le bombe nucleari: senza gli enormi finanziamenti militari, l'industria nucleare non reggerebbe All'ONU, nel 1980, il presidente Usa Carter afferma: "Qualsiasi ciclo di combustibile nucleare è intrinsecamente proliferante", crea materia prima per bombe atomiche. Così si dividono gli Stati "buoni", che possono avere il nucleare, da quelli "canaglie" (Irak, Iran, Corea del Nord). Chi sono i "buoni"? Lo decidono i buoni stessi (Usa in testa)... Dal 1950 al 90 sono esplose a fini "sperimentali" 2000 bombe nucleari, con enormi dosi di radioattività senza protezione per la popolazione. Oggi gli effetti: negli Usa un'epidemia di malattie da radiazioni: mortalità infantile, cancri, leucemie, autismo, Parkinson, asma, ipotiroidismo in neonati, danni al sistema immunitario. L'esposizione a radiazioni ha causato, tra il 1945 e il 1996 negli Usa, un milione di morti infantili. Fino al 1963 sono state 530 le esplosioni nucleari in atmosfera, molte nel deserto del Nevada. Un esempio degli effetti: delle 220 persone che nel 1954 hanno partecipato alle riprese del film "Il conquistatore" 47 sono morte di cancro e altre 44 ammalate di tumore: totale 91 su 220. Fra i morti, gli attori John Waine e Susan Hayward. Il film fu girato nello Utah. 11 mesi prima, dopo alcune esplosioni atomiche "sperimentali" nel Nevada (a 300 Km di distanza), gli allevatori trovarono molte pecore morte, con ustioni da radiazioni Beta, causate dalle esplosioni. Negli anni 70 e '80, nello Utah c'è stato un numero eccezionalmente alto di cancri e leucemie.
9. Industriali & politici amici temono la democrazia, anche energetica
Il nucleare, come il termoelettrico a carbone, gas e olio combustibile, è centralizzato, controllato dai vertici economici e politici, con enormi investimenti economici e politico-militari. Invece le energie rinnovabili (solare termico e fotovoltaico, mini-idroelettrico ed eolico, biomasse locali) sono controllate da ogni comunità che produce l'energia di cui ha bisogno. Basterebbe coprire di pannelli solari fotovoltaici solo lo 0,4% delle superfici costruite o cementificate in Italia (che sono il 10% del territorio) per soddisfare l'intero fabbisogno nazionale di energia elettrica.
I politici di vecchio stampo (anche se si dicono "federalisti") preferiscono un mondo in cui l'energia (come l'economia e l'informazione) è controllata dal potere centrale.

domenica 5 ottobre 2008

inceneritore di Brescia

da "il giornale di brescia" di domenica 5 ottobre 2008

Termovalorizzatori: i tecnici sostenitori del pro e del contro scendono nell'arena, fronteggiandosi, dati alla mano.
I dubbi e gli interrogativi sollevati da chi è orientato a non accettare senza porsi domande la realizzazione dell'impianto tecnologico sono presto detti: l'inceneritore è davvero conveniente? E se sì, per chi, esattamente, costituisce un'occasione? Esistono valide alternative all'impianti? L'Osservatorio bresciano per la difesa dello Stato di diritto, ha deciso di fornire l'occasione di una risposta a questi interrogativi.
La formula scelta è quella del dibattito e del confronto di tue tesi opposte. Così, martedì 7 ottobre alle 20.30 - nell'Istituto Artigianelli di via Piamarta, 6 - Paolo Degli Espinosa, responsabile del Settore Energia dell'Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, e Federico Valerio, responsabile del Servizio Chimica Ambientale dell'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova, si confronteranno pubblicamente sul tema «Termovalorizzatori o
trattamenti senza incenerimento?». E non per «emettere una sentenza», ma solo per capire. Perché, come recita l'antico principio tramandato da Pericle, «il cittadino che non s'interroga è un cittadino inutile».
Riepilogando: il modello Brescia si basa su una gestione dei rifiuti che prevede un incenerimento su vasta scala - con conseguente produzione di energia e calore - e la raccolta differenziata nei tradizionali cassonetti. Ma la provocazione dell'avvocato Alberto Mangiarini - moderatore dell'incontro di martedì - viene preannunciata: «Può davvero essere un esempio per le altre città o è, in realtà, una grande macchina da soldi?». Per contro: sin da subito, un gruppo di cittadini, insieme ad alcune associazioni, hanno contestato il termovalorizzatore in modo assoluto e categorico. La proposta che avanzano è, al contrario, un modello senza incenerimento, peraltro già adottato in altre città d'Europa.
La raccolta differenziata a domicilio può, a parer loro, rappresentare la giusta soluzione al problema dei rifiuti, specie
se unita ai trattamenti meccanico-biologici a freddo, con risultati, sempre a loro dire, «migliori sotto ogni aspetto».
Un discorso alla pari, quello di martedì prossimo, un dibattito che non vuole favorire l'una o l'altra parte «perchè il cittadino deve essere informato tanto sulle alternative quanto sugli eventuali rischi per la salute che questa scelta potrebbe comportare» specifica Mangiarini. Alcuni interrogativi vengono anticipati. «A Milano, il Silla 2 - che ha la metà della capienza dell'impianto bresciano -sostiene l'avvocato - dispone di nuovi filtri al quarzo. Brescia, no. Come mai in un impianto in cui si brucia il doppio, quando non oltre, dei rifiuti del Silla 2, questa spesa non è stata ritenuta necessaria?».
Una domanda che non intende accrescere i dubbi attorno alla politica energetica bresciana, ma che interpellerà direttamente i due esperti.
«Certo non bisogna scordare - conclude Alberto Mangiarini - che Brescia è stata fortemente condannata perché quest'impianto non ha l'impatto ambientale. In ogni caso questi interrogativi devono trovare una risposta al più presto».

Cardinal Martini: con troppi divieti la gente fugge

Con troppi divieti la gente fugge la Chiesa dovrebbe chiedere scusa

Repubblica — 04 ottobre 2008 pagina 12 sezione: CRONACA

MILANO - «Non possiamo lasciare soli i giovani. Hanno diritto a parole chiarificatrici relative ai temi del corpo, del matrimonio e della famiglia. Cerchiamo una via per parlare in modo più accurato del matrimonio, del controllo delle nascite, dell' inseminazione artificiale e della contraccezione».
A 81 anni, il cardinale Carlo Maria Martini, grande biblista, da sempre punto di riferimento di una vasta area non solo del mondo cattolico, può permettersi il lusso di parlare apertamente, anche di argomenti considerati tabù dalle gerarchie ecclesiali. Cosa che fa, con tutta la libertà e la schiettezza di cui è capace, nel libro «Conversazioni notturne a Gerusalemme», che raccoglie i colloqui con un confratello austriaco, il padre gesuita Georg Sporschill.
Il libro, anticipato da Repubblica nel maggio scorso e uscito finora solo in tedesco presso l' editore Herder, nelle prossime settimane sarà pubblicato in italiano da Mondadori. Nella versione tedesca, si legge un lungo capitolo dedicato ai temi affrontati ieri dal Papa. Un capitolo che tratta questioni che fanno discutere il mondo cattolico, come il sesso prematrimoniale, la pillola, i preservativi. E, citando i mea culpa di Giovanni Paolo II sui temi della scienza e dell' ebraismo, si augura un ripensamento, addirittura un' «ammissione di colpa» sugli errori della Chiesa nella materia delicatissima dei rapporti familiari. Un invito in qualche modo a scusarsi per le rigidità, l' incapacità di comprendere i cambiamenti sociali, anche su problemi epocali come l' Aids in Africa e il divieto a usare i preservativi come strumenti di prevenzione. «è segno di grandezza e di coscienza di sé, se qualcuno è capace di ammettere i propri errori e le proprie ristrettezze di vedute», risponde Martini a padre Sporschill che lo sollecita sul tema dell' incomunicabilità fra i giovani e la Chiesa su argomenti così cruciali. L' arcivescovo emerito di Milano, giovedì sera, presentando un libro proprio su Paolo VI al Centro San Fedele, si è dichiarato «nell' ultima o penultima anticamera della morte». Ma nel libro tedesco non si risparmia e affronta con coraggio la questione sessuale. Martini non esita a denunciare i «danni» e gli «sviluppi negativi» dall' Humanae Vitae. «La cosa più triste è che l' enciclica è corresponsabile del fatto che molti non prendono più sul serio la Chiesa come interlocutrice o come maestra - si rammarica - Soprattutto la gioventù nelle nostre nazioni occidentali non pensa ormai affatto di rivolgersi a rappresentanti della Chiesa per questioni che hanno a che fare con la pianificazione familiare o con la sessualità. Molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa si è allontanata dagli uomini».
Il filo rosso del ragionamento del cardinale - malato di Parkinson e rientrato dopo sei anni a Gerusalemme per curarsi nella casa dei gesuiti a Gallarate - è quello dell' attenzione alla realtà mentre si ragiona sul piano dottrinale.
«Nessun vescovo o sacerdote ignora che la prossimità corporea delle persone prima del matrimonio è un dato di fatto - spiega il cardinale - Oggi dobbiamo cambiare il modo di pensare se vogliamo proteggere la famiglia e promuovere la fedeltà coniugale. Con elusioni o divieti non si può guadagnare nulla».
Un modo di ragionare al quale il fine biblista è sempre rimasto fedele. Così, sulle questioni che misurano la distanza della Chiesa dai cambiamenti della società moderna, Carlo Maria Martini chiosa: «Oggi i giovani si pongono la domanda: "Sono capace di prendermi la responsabilità di mettere al mondo un figlio o no?". Su questo riflettono i giovani e ne parlano con persone di fiducia». Da questa considerazione di fatto, nasce un consiglio pratico: «La Chiesa dovrebbe trattare le questioni della famiglia e della sessualità in modo che la responsabilità di coloro che si amano svolga un ruolo portante e decisivo».
Ancora e sempre, l' attenzione ai percorsi della vita umana, senza rinnegare la dottrina. Martini conobbe molto da vicino Paolo VI, autore dell' enciclica «della pillola», come venne poi etichettata. Nelle conversazioni di Gerusalemme, il cardinale descrive la «solitudine» di papa Montini nella stesura di quel testo da cui furono esclusi «i padri conciliari» . Ma oggi, a 40 anni di distanza, dice Martini, è possibile «uno sguardo nuovo. Sono fermamente convinto che la guida della Chiesa possa mostrare una via migliore». - ZITA DAZZI

sabato 4 ottobre 2008

caccia

Una proposta del Pdl amplia la stagione venatoria e permette di sparare
anche a specie oggi protette. Il Pd: "Normativa "che rischia di isolare l'Itala nella Ue"
Fucili senza freni, tutela a zero
La caccia ai tempi del centrodestra
Ma in Liguria, il centrosinistra vota una legge con la Lega
di ANTONIO CIANCIULLO

Fucili senza freni, tutela a zero La caccia ai tempi del centrodestra

ROMA - Doppiette senza freni. Si comincerà a sparare ad agosto, quando ancora il periodo della riproduzione non si è concluso, e si finirà a fine febbraio, colpendo i migratori protetti dall'Europa. Nel mirino finiranno peppole, fringuelli, corvi e cormorani, tutte specie tutelate dalla direttiva 409 di Bruxelles. E i cacciatori non saranno più vincolati al territorio di residenza, come è previsto dalla legge attuale per evitare una pressione squilibrata sul territorio e sulla fauna, ma per 15 - 30 giorni all'anno potranno concentrarsi a loro piacimento, magari nella zona di passaggio dei migratori.

E' questo il profilo della nuova legge sulla caccia proposta dal pdl: una controriforma organica che spazza via la legge quadro del 1992 (la 157) che per 16 anni ha garantito la mediazione tra la situazione precedente (una caccia ad alto impatto ambientale) e le richieste di un fronte abolizionista che molti sondaggi danno per maggioritario. Il testo, che nascerà dalla fusione di due disegni di legge convergenti (uno a firma del senatore Domenico Benedetti Valentini, l'altro dei senatori Valerio Carrara, Laura Bianconi e Franco Asciutti) sarà discusso nei prossimi giorni in Parlamento.

"Qualche parlamentare del Pdl pensa evidentemente che per la caccia sia giunto il momento della restaurazione, ma io penso che all'interno del centro destra siano in molti a considerare una sciocchezza la caccia senza regole", commenta Roberto Della Seta, capogruppo del Pd in commissione Ambiente del Senato. "Se questi ddl passassero, l'Italia si ritroverebbe isolata dal contesto normativo europeo e si vanificherebbe il lavoro prezioso di dialogo, confronto, spesso di collaborazione tra mondo venatorio, comunità scientifica, ambientalisti, organizzazioni agricole che ha consentito di sottrarre il tema della caccia a una guerra di religione e di farne un buon esempio di politiche condivise e positive".

Ma le tensioni non riguardano solo il centrodestra. A dimostrare che la spinta alla deregulation sulla caccia non segue i confini degli schieramenti politici, c'è stata la sorpresa Liguria. Dopo la minaccia della Ue di una super multa per l'autorizzazione della caccia ai fringuelli, i consiglieri Pd hanno bissato votando a favore di una norma voluta dalla Lega per ridurre da 10 a 3 gli anni dopo i quali si può sparare nei boschi colpiti dagli incendi.

"Far saltare i paletti che regolano l'attività venatoria e consentono di rispettare le norme europee è una mossa che rischia di produrre danni all'ambiente e ritorcersi contro gli stessi cacciatori", nota il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. "Il numero delle doppiette è in calo costante, mentre cresce il peso delle attività legate a un uso diverso del territorio. Per i cacciatori c'è un solo futuro possibile: stare alle regole europee e diminuire l'impatto ambientale della loro attività".

(Repubblica, 4 ottobre 2008)

nota mia: ma come è possibile che nessuno si accorga che la destra itlaina vuole spingere perchè ci buttino fuori dalla UE, così non ci saranno più regole da rispettare? .....e magari tornare alla lira....????

lunedì 29 settembre 2008

Guido Viale - azzerare i rifiuti

Intervista a Guido Viale, di BRUNELLA SCHISA , dal "Venerdi di repubblica" del 16 settembre 2008

L'immondizia a Napoli tornerà, anzi sta già tornando nelle strade, perché non si è fatto niente per ridurre i rifiuti urbani e la Campania continua a produrne settemila tonnellate al giorno. Ma soltanto 18 mila stanno sperimentando la raccolta differenziata. Gli altri non sono stati messi nelle condizioni di farla».
Guido Viale da anni si occupa di ricerche economiche e sociali e ha appena pubblicato "Azzerare i rifiuti", un tema che segue con passione da oltre un decennio. «Per i rifiuti della Campania si aspetta l'apertura dell'inceneritore di Acerra, che sarà il più grande d'Europa, annunciata come imminente da quattro anni. Ma io prevedo che non verrà aperto molto presto e che potrebbe essere chiuso poco dopo. Se ci sono voluti otto anni per realizzarlo non è per le proteste dei cittadini ma per errori di progettazione. Quanto agli altri tre, ci vorranno ancora almeno tre-quattro anni».

E nel frattempo?
«Si continuerà a sversare rifiuti indifferenziati nelle discariche. Berlusconi ne ha annunciate altre undici, ma le discariche sono una soluzione arretrata, anti economica e anti ambientale. L'alternativa vera è rimettere in funzione gli impianti di trattamento meccanico biologico, i cosiddetti cdr, che separano la parte combustibile da quella che non lo è. In Campania ce ne sono sette, ma non hanno mai funzionato bene. Per aumentare le quantità da bruciare, e prendere gli incentivi di Stato, sono stati usati male e stressati: con il risultato che quello che usciva era quasi uguale a quello che entrava. Così si sono accumulate milioni di ecoballe».

Ma quando entrerà in funzione l'inceneritore di Acerra smaltirà duemila tonnellate al giorno...
«Se entrerà in funzione, ci metterà sette-otto anni solo per smaltire i cinque milioni di ecoballe. Ammesso che sia in grado di farlo».

E quelle prodotte ora?
«Dovrebbero essere smaltite negli altri tre inceneritori. Se verranno fatti. Ma nel decreto del Governo non esiste alcuna misura per incentivare la raccolta differenziata. Gli incentivi sono solo per gli inceneritori.
Dal '93 a oggi con questi incentivi sono stati distribuiti circa 40 miliardi di euro. Il più è andato agli impianti di raffinazione del petrolio. Tra i quali hanno un ruoto di spicco quelli dei Moratti».

Quindi per fronteggiare l'emergenza bisogna procedere alla raccolta differenziata.
«Esatto. Secondo la legge i Comuni dovrebbero farla per il 35% dei rifiuti urbani, mentre in realtà è intorno al 24%. Ma ci sono comuni, come quello di Messina, allo zero per cento e altri, come di Treviso, al 65%. Non dipende dalla cultura o dai geni degli abitanti; è solo una questione di buona amministrazione. Anche in Campania, per esempio in provincia di Salerno, ci sono Comuni che fanno oltre il 70 per cento della differenziata».

Lei sostiene che fin quando i cassonetti saranno in strada non si potrà fare.
«Questo è sicuro. La raccolta differenziata va fatta porta a porta, per ogni numero civico, per ogni condominio. Oppure in spazi sorvegliati con chiavi o badge, come si fa in Svizzera. Un luogo protetto dove nessuno può infilare quello che gli pare. D'altronde secondo la direttiva europea dobbiamo arrivare a riciclare almeno il 50 per cento dei rifiuti che produciamo e senza il porta a porta non ci si arriva».

Lei nel suo libro parla della «cultura della sobrietà», ma sembra un'utopia.
«Sul tema rifiuti c'è quasi uno scontro di civiltà. Dobbiamo metterci in testa che tutto quello che compriamo e facciamo entrare in casa prima o poi esce come rifiuto. Il problema è che la durata del bene è sempre più breve. Ma è soprattutto la scelta di quello che si consuma, il modo in cui io si fa, che può ridurne la produzione».

Per esempio?
«Evitare l'usa e getta. Non usare piatti e bicchieri di plastica. Non comprare acqua minerale e mettere un filtro ai rubinetti. Nei primi due anni e mezzo di un bambino si spendono duemila euro di pannolini. Spesa che potrebbe essere ridotta a 150-300 euro senza bisogno di tornare al Napisan e ai ciripà.».

Lei insiste molto anche sulla riduzione dell'uso degli imballaggi.
«Sì. Il 40% dei rifiuti urbani riguarda gli imballaggi. Parlo di peso, perché è ovvio che in volume sono molto di più...»

Bisognerebbe tornare ai vuoti a rendere.
«Se si fa come in Austria, che per una bottiglia di birra ti rendono 30 centesimi... E bisognerebbe comprare alia spina non solo detersivi, ma anche molti prodotti in grani, come riso, caffè e persino pasta e vino. Così avviene in Germania».

Ma azzerare i rifiuti è impossibile.
«In linea di principio si può fare. L'importante è cominciare. Berlino ha già ridotto del 3% la produzione annua, San Francisco ha portato la raccolta differenziata al 60% in poco più di un anno. Anche noi, per legge, dovremo raggiungere il 65% nel 2012. E d'altronde, la notizia che almeno cento milioni di tonnellate di rifiuti di plastica galleggiano nel mezzo dell'Oceano Pacifico, formando una specie di nuovo continente, non me la sono inventata io».

domenica 28 settembre 2008

L'amore su Islamonline

Sarà in librerìa da giovedì il nuovo libro della scrittrice marocchina Fatema Mernissi, Le 51 parole dell'amore (Giunti, Firenze, pagg. 256, €12,00). Ne anticipiamo un brano.

di Fatema Mernissi
L'amore potrebbe diventare la prossima materia preziosa da esportazione del mondo arabo, ora che gli sceicchi del Golfo consapevoli che le riserve di petrolio si assottigliano, cercano di diversificare le loro economie.
«L'esportazione araba che riscuote più successo non è il fondamentalismo ma il romanticismo», sostiene lo psicologo clinico Frank Tallis, occidentale cosmopolita e lungimirante, che ha insegnato all'Istituto di Psichiatria del King's College di Londra. A suo dire, per quanto Oriente e Occidente siano ugualmente ossessionati dall'amore romantico, il primo sarebbe meglio equipaggiato per soddisfare alla domanda su scala planetaria, proprio perché «gli arabi cadevano preda dell'amore seicento anni prima degli inglesi, che iniziarono a farlo solo quando lo studioso John Palsgrave introdusse l'espressione "to fall in love" nel sedicesimo secolo». E indovinate dove inciamparono, Palsgrave e gli altri studiosi britannici, per scoprire il mistero dell'amore come caduta? Ebbene, che lo crediate o meno, gli occidentali scoprirono il romanticismo leggendo in traduzione i trattati sull'amore scritti da autori arabi andalusi, tra cui Ibn Hazm, nell'undicesimo secolo. Fu questa la fonte di ispirazione per i cantori itineranti francesi del tredicesimo e quattordicesimo secolo, i famosi trovatori, troubadours, «termine verosimilmente derivato dall'arabo tarab, che significa intrattenimento musicale». (...)
Se le forze dell'amore spingono musulmani e musulmane dotati di coraggio a spiccare un salto così pericoloso, gli imam, dal canto loro, hanno il compito di aiutarli "a risalire la china. Nemmeno un intellettuale brillante come Ibn Hazm avrebbe mai potuto immaginare baratro più pericoloso di internet, terreno di sfida di imam moderni come Yusuf al-Qaradawi, star di Al-Jazeera, leader e ispiratore del sito IslamOnline e avveduto quanto basta per capire che il solo modo di salvare i musulmani è puntare sull'amore universale. L'unica salvezza planetaria immaginabile è la trasformazione di internet in una sorta di Arca dell'Amore, e gli arabi hanno tre elementi per guidare la navigazione.
Primo: terrore del consumismo.
Secondo: una vasta e sofisticata letteratura medievale sull'amore che continua a affascinare le giovani generazioni.
Terzo: il petrolio, con lauti proventi da investire nel progetto.

Per avere un'idea del terrore suscitato tra i genitori del mondo arabo dall'onda consumistica che ne lambisce le coste, basta guardare le copertine delle riviste da Baghdad a Casablanca: dal prestigioso periodico egiziano «Rose al-Yusuf», creato nel 1925 dalla femminista Fatema al-Yusuf, al più recente «Teens Today» con sede a Abu Dhabi. Il rischio più terrificante lo corrono le donne più giovani, come ripete costantemente «Teens Today»: «Adolescenti nella trappola di Bluetooth». (...)
Un modo di sviluppare la responsabilità personale è trasformare l'amore consumistico, artificiale ed egocentrico, nell'amore altruistico per cui Ibn Hazm si è battuto secoli fa. Alla luce delle ansie che attraversano il mondo musulmano, si può arrivare a capire perché i trattati sull'amore, come "Il collare della colomba", riscuotano tanto successo in Rete: quando sei spaventato, hai bisogno di qualcuno che ti paventi una soluzione. Ibn Hazm - arabo spagnolo vissuto , in tempi difficili come i nostri, sbattuto in prigione dopò essere stato visir, quando i califfi omayyadi sovrani di Andalusia perdevano potere - giunge alla conclusione che il solo rimedio è l'amore autentico, che ti apre ai rischi dell'incontro con l'altro. La sua conclusione è anche la mia.

Il consumismo disorienta i giovani perché manipola le loro emozioni, inducendoli a confondere l'amore con l'acquisto e lo sfoggio di beni di lusso. Per Ibn Hazm, invece, la tenerezza è una forza cosmica che ti trasforma in una straordinaria fonte di premurosa generosità. (...) In una religione che, a differenza del Cristianesimo, non liquida il sesso come peccato, gli imam hanno sempre avuto il compito di aiutare i credenti a controllare le emozioni: cosa che ha spinto molti di loro, tra cui Ibn Hazm, a scrivere trattati sull'amore. Né è sorprendente che l'imam al-Qaradawi chiami in suo aiuto un esercito di esperti di disci-pline moderne. E non crediate si limiti a psi-canalisti, sociologi e medici maschi: nel suo sito web si affida in larga misura anche alle donne.
I membri dei suoi team, che si occupano di "Problemi dei Giovani e Soluzioni", non esauriscono la loro funzione mettendo in Rete le risposte. Hanno denaro quanto basta (al-Qaradawi vive nel Golfo!) per pubblicare domande e risposte in manuali agili ed economici, come "Internet e l'Amore" o "II Matrimonio e l'Amore", accessibili a genitori e figli.
Non dimentichiamo che, quando diciamo "musulmani", parliamo di milioni di giovani con il solo desiderio di innamorarsi e di sposarsi; cosa che spiega il gran numero di siti concorrenti di IslamOnline. Ciò mi riporta all'altra ragione alla base del terrore musulmano per il consumismo: come scrive lo psicanalista francese Charles Melman, «l'approccio, spesso e volentieri pseudo-commerciale, alle relazioni amorose» impedisce all'individuo di aprirsi all'altro come elemento dì un gruppo, con la consapevolezza che ognuno è parte di un sistema cosmico.
Quando i musulmani leggono il libro di Melman "L'Homme sans gravité. Jouir à tout prix "L'uomo senza gravità: godere a ogni costo)", scoprono che anche gli occidentali sono allarmati dal consumismo, e - questa è la novità! - gli imam sono avveduti quanto basta per rendersi conto che l'era del culturalismo tribale è tramontata: la sola strategia vincente per il futuro è quella che s'inserisce in un orizzonte universale. Grazie a internet, i musulmani scoprono che milioni di occidentali spaventati dal consumismo, che rifiutano perché contrario alla loro etica, condividono il loro stesso desiderio di amore universale, e lo considerano l'unica, urgente soluzione per la sopravvivenza. Non può esserci scontro di civiltà, se l'amore universale diventa l'obiettivo di una globalizzazione etica. Per chiarire questo punto, lasciatemi concludere con un esempio.
Molti occidentali sono d'accordo con i musulmani nel ritenere irrazionale il rigetto della vecchiaia, che spinge molti e potenti manager di multinazionali, che dovrebbero preoccuparsi di problemi seri, a cercare di apparire eternamente giovani tramite costosi trattamenti contro la calvizie. «Dalle stime relative al 1999 emerge che gli uomini hanno speso 900 milioni di dollari in trattamenti medici contro la calvizie», spiega Peter Conrad nel suo allarmante testo "The Medicalization of Society (La medicalizzazione della società)". Stando alle sue fonti, «un trapianto di capelli può costare da duemila fino a più di diecimila dollari, a seconda della quantità di capelli trapiantati». Di fronte a questo consumismo malato, lo scontro di civiltà del signor Huntington scompare, per lasciare il posto a un pianeta unito nel suo rifiuto e nel desiderio di un amore cosmico, altruistico come quello di Ibn Hazm.

venerdì 26 settembre 2008

rock veli e inviti alla tolleranza

Rock, veli e inviti alla tolleranza
II libro di Sumaya Abdel Qader, milanese di origini palestinesi ci introduce al mondo degli immigrati di seconda generazione
di Paolo Branca
Ci ostiniamo a chiamarli «immigrati diseconda ge-nerazione», ma immigrati non sono affatto poiché nati qui, o arrivati in Italia a soli pochi mesi di vita. Se il colore della pelle o un determinato abbigliamento ce li fanno percepire come stranieri, conoscendoli più da vicino potremmo restare sbalorditi: qualcuno ha assunto persino in-
flessioni dialettali tipiche della zona in cui vive. La cittadinanza, tuttavia, per la gran parte di loro resta un miraggio. La patria a cui appartengono, e che rimpiangono con nostalgia durante le vacanze passate nei paesi d'origine, si rivela spesso una madre distratta e pasticciona, com'è del resto anche verso tanti suoi figli doc. Poco importa che abbiano ormai quasi 30 anni, si siano già sposati e abbiano dei figli, che magari fre-
quentano la scuola delle suore.
Molti di loro, musulmani, non , hanno neppur chiesto l'esonero ] dall'ora di religione e hanno frequentato gli oratori, per fare i compiti o giocare a pallone. Hanno compagni e amici di tutte le fedi, anche laici, persino gay...
Rompono il digiuno di Ramadan con la pizza e si siedono al tavolo della trattoria per la "cena di classe" senza badare che vi sia una bottiglia di birra o che l'amica del cuore porti la minigonna, il piercing all'ombelico o sia tatuata come un galeotto.
Osservare precetti e usanze della religione d'origine comporta per loro un continuo esame d'ammissione, devono dare spiegazioni, darsi il coraggio e la pazienza per rispondere sempre alle stesse domande, farsene una ragione. Un percorso di continue mediazioni e negoziazioni, sia coi genitori sia con tutti gli altri, che li fa maturare anzitempo. Hanno le carte in regola per dare a questo Paese, che è il loro, uno straordinario contributo, anzitutto svecchiando e dinamizzando le leadership inadeguate che controllano le comunità a cui appartengono da prima che loro nascessero, ghettizzate o almeno vittimiste, poco inclini a un'integrazione che vedono ancora con sospetto, mentre per molti giovani è già un fatto compiuto. A loro i media riservano assai poca attenzione, attardandosi spesso su vecchi tromboni che ripetono sempre le stesse note.
L'autrice di queste pagine appartiene a un centro islamico milanese che ha, rispetto ad altri, una composizione e una direzione molto più variegata, che non ha caso ha visto anche formarsi nel tempo un gruppo giovanile promiscuo vivace e dinamico, che collabora con la parrocchia e le istituzioni del quartiere. Ha partecipato personalmente (lei, di origine palestinese) lo scorso anno alla cerimonia che, in stazione Centrale, commemora la partenza dei treni per Auschwitz portando la sua solidarietà alla comunità ebraica milanese (l'anno precedente era stato suo marito, di origini siriane). Probabilmente non sarà questa comunità ad avere la precedenza nell'ottenere uh luogo di culto riconosciuto. Un Paese nel quale troppo spesso finiscono per avere maggior visibilità, e gli immeritati vantaggi che ne conseguono, i più furbi o comunque non certo i migliori ha ben poco da sperare nel proprio futuro. Eppure, da queste pagine emerge un affetto sincero, messo a dura prova ma indomabile, per qualcosa a cui appartieni comunque, come la famiglia che ti ha cresciuto, dove non mancheranno di sicuro parenti anche antipatici, ma che è quella che ti è toccata in sorte e a cui sei indissolubilmente legato.
O Sumaya Abdel Qader, «Porto il velo, adoro i Queen. Nuove italiane crescono», Sonzogno, Milano, pagg. 180, € 14,00.

lunedì 22 settembre 2008

una grande discarica salva i mercati

Una grande discarica salva i mercati
Di Borsaprof
da: http://it.biz.yahoo.com/22092008/92/grande-discarica-salva-i-mercati.html
del 22 settembre 2008

Non ricordo di aver mai vissuto una successione di giornate borsistiche come quelle finali della scorsa settimana. Nemmeno negli anni 2000-2003, quelli del grande crollo dei mercati si era vista una simile esplosione di volatilità. Fino alle 21 di giovedì le borse mondiali erano sull'orlo del baratro, con perdite settimanali che andavano dall'8% per chi stava meglio (l'indice tedesco e quello americano SP500), al 15-18% per i principali paesi emergenti (Cina e Brasile). La Russia aveva addirittura dovuto chiudere la Borsa per eccesso di ribasso.
Tutto questo il giorno prima delle scadenze tecniche di venerdì, giornata dedicata alla liquidazione dei contratti su futures ed opzioni e di chiusura delle posizioni. I mercati sarebbero potuti crollare con un tonfo da libri di storia. Le cinque banche d'affari americane, le “big five”, a giudicare dai prezzi che il mercato stava esprimendo, non esistevano più. Due erano scomparse perché acquisite da altre banche (Bear Stearns (NYSE: BSC - notizie) e Merrill Lynch (NYSE: MER - notizie) ), una (Lehman Brothers (NYSE: LEH - notizie) ) era fallita, trascinando nel vortice delle perdite tutti coloro che erano esposti con strumenti finanziari da essa creati. Le due restanti (Morgan Stanley (NYSE: MS - notizie) e Goldman Sachs (NYSE: GS - notizie) ) cercavano disperatamente un compratore perché erano agli sgoccioli di liquidità ed il fallimento sarebbe probabilmente arrivato in questo week-end. Sui giornali la crisi di Borsa era trattata con grande evidenza, come nel '29. Non si leggeva un solo commento possibilista sul futuro dei mercati. Tutti gli esperti temevano il “melt-down” dei mercati, la fusione nucleare del sistema finanziario americano e, grazie alla globalizzazione, del resto del mondo. Intanto si rincorrevano notizie paradossali, tipiche delle giornate di panico assoluto, come quella che un grande fondo monetario di Putnam (ripeto, monetario, cioè la categoria di fondi in assoluto più tranquilla, che investe in attività a brevissimo termine) è stato travolto da 40 miliardi di dollari di richieste di riscatto perché si era diffusa la voce che possedeva obbligazioni a breve termine emesse da Lehman.

IL MIRACOLO
Intorno alle 21 di giovedì però è successo il miracolo. Un rumor, diffuso ad arte da CNBC, parlava di un enorme piano straordinario messo a punto dal duo Bernanke-Paulson per salvare questa volta in modo risolutivo la finanza USA.
Musica per le orecchie di Wall Street, che in pochi minuti è schizzata su del 4% ed ha chiuso in gloria una giornata al cardiopalma. Il giorno dopo, ecco l'annuncio ufficiale, con una scarica di provvedimenti annunciati con faccia lugubre dal duo Bernanke-Paulson a cui per l'occasione si è aggiunto Bush, in formato 11 settembre (mancavano solo le lacrime), a dare un tocco kitch all'evento. Tanto per cominciare divieto di vendite allo scoperto, cioè di prendere posizioni speculative contro le banche per almeno 10 giorni: la classica rottura del termometro che segnala la febbre. Inoltre: Fondo di garanzia da 50 miliardi e finanziamenti fino a 230 miliardi per salvare i fondi monetari dalla bufera. Infine, la madre di tutti salvataggi: verrà nei prossimi giorni creata una “Bad Bank” che comprerà tutti i crediti spazzatura del sistema e li terrà il tempo necessario per “riciclarli”, consentendo alle banche di ripulirsi immediatamente i bilanci e scaricare i crediti tossici.
E' stata l'apoteosi delle borse asiatiche ed europee, che avevano chiuso la giornata di giovedì prima del miracolo USA ed avevano registrato l'ennesimo calo più o meno pesante. Venerdì è stata per molti di loro la giornata più rialzista della loro storia. Si sono visti rialzi intorno al 10%, addirittura superiori in qualche paese emergente. Il nostro indice S&PMIB (Milano: notizie) è salito dell'8,6%, il massimo rialzo della sua storia. Wall Street ha chiuso la settimana con un ulteriore recupero di oltre il 4% per il suo indice principale SP500.
I giornali cancellano tutte le previsioni di sventura e parlano di ritorno della fiducia e di risurrezione dei mercati. Punto e a capo. Scampato pericolo. Finalmente sono arrivati “i nostri”. Ricominciamo a comprare a piene mani.
Si è però già materializzato anche il rovescio della medaglia, con pesantissime vendite di titoli di stato USA e gli investitori in fuga dai titoli emessi da questo debitore che sarà costretto ad emettere tonnellate di T-Bond per finanziare l'operazione.
Chiunque abbia un po' di buon senso è rimasto disorientato di fronte a questo quadro, che ho descritto sommariamente ma credo fedelmente. Chi non batte ciglio è fuori di testa o è un giocatore d'azzardo. Oppure ritiene che i mercati siano manovrati a piacimento da qualche “Grande Fratello” e che le autorità monetarie facciano parte della banda (debbo ammettere che a volte io stesso faccio veramente fatica a trattenermi dal pensarlo).
Credo sia allora necessario tentare di capire che cosa sta succedendo e dove ci può portare la concatenazione di eventi delle ultime ore.

PIAZZA PULITA
Gli eventi di questi mesi e l'accelerazione delle ultime due settimane hanno dimostrato chiaramente alcune evidenze.
1) Il sistema finanziario americano, fondato sulle banche commerciali che prestano denaro al sistema economico e cedono il rischio alle banche d'affari che lo distribuiscono sui mercati attraverso strumenti obbligazionari o derivati costruiti appositamente è clamorosamente fallito.
Il modello ODT (Originate to Distribute), presentato negli scorsi anni come la trovata per ridurre il rischio complessivo di sistema, il pozzo di San Patrizio da cui tutti potevano attingere ricchezza e, non dimentichiamolo, magnificato pubblicamente da Greenspan che lo ha incoraggiato e sostenuto con tassi al lumicino per molti anni, si è rivelato per quello che realmente è: la distribuzione del rischio ad altri, cioè il passaggio della patata bollente dalle mani di chi la cuoce a quelle di un'infinità di ignari risparmiatori, che pagano laute commissioni e comprano strumenti ritenuti sicuri, mentre invece non lo sono.
Con la conseguenza che chi genera il rischio non se ne preoccupa perché tanto lo cede ad altri. Le banche d'affari lo distribuiscono ed incassano laute provvigioni che ingrassano gli stipendi dei broker. Il risparmiatore si ritrova in mano la bomba e ci dorme tranquillamente sopra credendo che sia un cuscino.
Il gioco funziona fin che le insolvenze sui prestiti originari sono scarse. Ma quando troppi debitori smettono di pagare salta tutto. Gli strumenti finanziari collaterali non valgono più nulla e chi se li ritrova in portafoglio (banche d'affari, fondi pensione, fondi comuni, singoli risparmiatori che siano) scopre di possedere carta straccia.
A chiunque dotato di informazioni e di buon senso avrebbe dovuto essere evidente che si tratta di un gioco di scaricabarile. Ora, i risparmiatori non avevano assolutamente informazione consapevole di quel che si stava costruendo alle loro spalle. Molti poi, annebbiati dagli istinti speculativi, non hanno nemmeno il senso del limite e cercano addirittura il rischio.
2) Le autorità di controllo, che non potevano non sapere ciò che stava succedendo e dovevano impedirlo o almeno controllarne gli effetti devastanti, hanno clamorosamente fallito.
La gestione stessa di questa crisi è stata effettuata in modo dilettantistico. Perché Bear Stearns, Fannie-Freddie ed Aig sono stati salvati, Lehman è stata lasciata fallire e solo una settimana dopo si è concessa la salvezza per tutti? Bisognava punire Lehman e farla pagare per tutti? Oppure semplicemente si pensava che, salvando AIG, si sarebbe risolto il problema, per cui la fiducia sarebbe tornata da sola? Tutto ciò dimostra che in realtà le autorità di controllo non controllano assolutamente nulla. Non sanno, anzi non vogliono sapere nemmeno le dimensioni del rischio a cui il sistema è sottoposto.
Non posso credere che la Federal Reserve e il Ministero del Tesoro USA non avessero la possibilità di monitorare la gravità della situazione. Ne eravamo a conoscenza io ed i miei lettori da oltre un anno, benché le mie fonti di informazione siano soltanto quelle a disposizione di tutti: giornali ed internet. Da dove arriva Paulson? Prima di essere Ministro del Tesoro (NYSE: TSO - notizie) era Direttore Operativo di Goldman Sachs, dove ha lavorato per 22 anni nella stanza dei bottoni. Non sapeva come funzionava l'ambiente? O magari ne ha coperto le magnane finché ha potuto?
Come è possibile che Bernanke abbia potuto dichiarare a luglio 2007 che la crisi sarebbe costata complessivamente 100 miliardi e che il sistema l'avrebbe tranquillamente sopportata ed a luglio di quest'anno dichiarare di aver sottostimato l'entità del buco subprime, ma di ritenere che ormai il più fosse emerso e si vedeva la luce in fondo al tunnel?
Come è possibile che le cifre del disastro delle banche d'affari siano state tenute nascoste per oltre un anno e siano uscite col contagocce ad ogni trimestrale, fino ad agosto?
Come è possibile che il sistema americano preveda controlli quasi inesistenti sul comportamento delle banche d'affari, in nome del “liberismo” e della “deregulation”, quando il loro comportamento può condizionare il futuro economico dell'intero pianeta?
Come è possibile che le agenzie ufficiali che attribuiscono il rating alle emissioni obbligazionarie continuassero a valutare le emissioni di Lehman con il rating A+ (che significa “qualità creditizia medio-alta con probabilità di default a 15 anni di circa il 3%”) fino al giorno del fallimento, per declassarle soltanto il giorno dopo, a buoi abbondantemente scappati?
Quando la negligenza è troppa diventa dolo. I poveri risparmiatori e futuri elettori USA non se lo dovranno dimenticare.
3) Il capitalismo è finito. Gli USA, pur continuando a dare lezioni di liberismo al resto del mondo ed a praticare il culto del mercato, sono diventati il più grande paese in regime di socialismo reale.
La gigantesca opera di nazionalizzazione messa in atto per salvare il salvabile ha profondamente snaturato l'essenza stessa del capitalismo, che da ora in avanti non potrà più essere quello che noi conosciamo. Dopo il fuoco del '29, dalle ceneri del capitalismo selvaggio nacque il welfare state e l'economia mista. Dall'insostenibilità inflazionistica dell'economia del benessere rinacque il capitalismo “muscolare” reaganiano, con i suoi miti (“privatizzazione” e “deregolamentazione”) e la convinzione che il “Dio” mercato è perfettamente in grado di auto-regolarsi.
Ciò che è successo ha rivelato la vera natura predatoria di questo capitalismo. La privatizzazione riguarda soltanto i profitti, mentre le perdite sono “socializzate”, restando a carico della collettività.
La deregolamentazione è diventata licenza di uccidere, cioè di disseminare il mondo di cartaccia spacciata per ricchezza, lucrando milioni di dollari su ciascuna operazione.
Con quest'ultimo sperpero, l'era Bush, oltre alle guerre in corso ed al ritorno alla guerra fredda con la Russia, lascerà al suo successore un debito pubblico senza precedenti, una credibilità finanziaria ridotta in modo sensibile, una recessione che a questo punto è inevitabile e chissà quanto durerà, una notevole spinta inflazionistica che potrà essere attenuata soltanto da formidabili inasprimenti fiscali. Infine un sistema finanziario interamente da riscrivere, nei fondamenti e nelle regole.
Il capitalismo, se sopravvivrà, non potrà più essere come prima. Non posso credere che gli americani, dopo le legnate che riceveranno grazie agli effetti di questo crollo, accetteranno di ricominciare il gioco di prima come se niente fosse, cambiando soltanto i giocatori e non le regole.
4) La globalizzazione ha di fatto ridotto il mondo al traino delle sciocchezze americane.
Tutto il mondo ha vissuto l'agonia delle big five sulla propria pelle, perché i germi tossici creati dalle banche d'affari USA si sono sparsi negli anni in tutto il mondo. E' difficile trovare in giro per il mondo qualche istituzionale, qualche banca di provincia, qualche fondo comune che non abbia in portafoglio strumenti finanziari di queste banche d'affari. Il “contagio” è veramente capillare e si diffonde in pochi minuti. Il credit crunch, lo strozzamento del credito per mancanza di fiducia nella controparte, che è nato dopo lo scoppio del problema subprime, non si è limitato alla sola America, ma ha varcato immediatamente gli oceani, innalzando i tassi e penalizzando anche i sottoscrittori di mutui normali e dotati di abbondanti garanzie in paesi assai distanti dagli USA.
Ha senso che la povera famiglia di Busca (Cn) si ritrovi con la rata del mutuo che lievita ogni mese per colpa dei derivati creati da Lehman a 30.000 km. di distanza?
E' la globalizzazione, bellezza.

PAGHERA' L'ECONOMIA REALE
L'intervento del Governo americano ha realizzato sul mercato finanziario globalizzato la stessa cosa che fa fatto, in piccolo, Berlusconi a Napoli. Con un intervento a carico dell'intera collettività ha tolto i rifiuti dalle strade, aprendo discariche già chiuse ed individuandone altre senza andare troppo per il sottile sugli effetti ambientali.
E' un intervento di emergenza che andava fatto, ma che non ha risolto il problema della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti. Ha semplicemente ripulito le strade ed evitato che in estate scoppiasse qualche epidemia sanitaria.
Lo stesso capiterà con la creazione della Bad Bank. L'ente sarà sotto il totale controllo del Segretario del Tesoro USA, che avrà poteri quasi illimitati e dovrà comprare i debiti tossici da chi riterrà opportuno. Li terrà per un paio d'anni e fino a quando il ritorno della fiducia consentirà di rifilarli nuovamente al mercato a prezzi migliori rispetto al 15-20% del valore nominale che il mercato sarebbe disposto ad offrire oggi. L'intervento sarà fino ad un massimo di 700 miliardi di $, che si aggiungono agli stanziamenti già precedentemente fatti per un aggravio complessivo sul debito pubblico americano di circa 1.600 miliardi di $. Un aumento secco di quasi il 17%
Si darà ossigeno ai bilanci bancari, evitando il fallimento a catena di banche commerciali, assicurazioni e fondi pensione, tutti contagiati dal virus ABS. La magia della creazione dell'immensa discarica di titoli tossici ha messo una pezza sulla falla che stava affondando l'intera finanza mondiale. Ma non è per nulla un intervento indolore, poiché avrà conseguenze pesantissime per l'economia reale, e le vedremo nei prossimi mesi.
Intendiamoci bene. Al punto di sfacelo a cui il si era giunti non si poteva continuare con la politica del tappabuchi quotidiano che Bernanke e Paulson hanno adottato per mesi. Questo provvedimento andava preso. Anzi, ritengo che andassero presi assai prima provvedimenti più seri.
Ma ora non possiamo pensare che, perdonati i delinquenti e saldato il conto stampando moneta tutto possa ricominciare come prima, come purtroppo la reazione stasiata delle borse sembra far pensare. Dobbiamo chiederci che impatto avrà la gigantesca socializzazione di perdite sull'economia USA.
L'effetto immediato è il drammatico decollo del debito pubblico Federale. Secondo le stime dello stesso Governo federale, per effetto di tutti i vari salvataggi esso dovrebbe passare da 9.700 miliardi a 11.315 miliardi di $. Un aumento secco di quasi il 17%. Il Tesoro sarà costretto ad emettere l'equivalente di Titoli di Stato, mettendo a dura prova la capacità debitoria degli USA. Qualcuno comincia addirittura a mettere in dubbio il rating AAA (Xetra: 722800 - notizie) che le agenzie assegnano al debito sovrano USA. Sul mercato fin da venerdì si è cominciato a prezzare la minore affidabilità del debito sovrano USA rispetto a quello tedesco, con un significativo spread a favore dei tedeschi.
Di conseguenza è prevedibile un deciso rialzo dei tassi e pressioni inflazionistiche.
Pagherà quindi l'economia reale. Anche perché non possiamo pensare che il debito venga semplicemente lasciato lì senza cercare di ridurlo con aumenti delle tasse, che avranno un effetto recessivo sull'economia.
Quel burlone di Bush è riuscito a fare un divertente scherzetto di fine mandato ai contribuenti americani ed al suo successore. Solo tre mesi fa ha regalato sgravi fiscali per 160 miliardi. Ora in un solo colpo carica sul groppone del contribuente dieci volte tanto in termini di tasse future da pagare.
E' presumibile che la recessione, sempre evitata dalle statistiche ufficiali, ora si manifesti in modo virulento, perché gli effetti del piano toglieranno altro reddito disponibile ai consumatori, già alle corde per colpa dell'inflazione e del crollo dei valori delle case, che sta continuando a ritmo sempre più incisivo.
Siccome sarebbe una beffa se il salvataggio permettesse di ricominciare daccapo il perverso gioco dell'Originate to Distribute, dobbiamo pensare che chi paga vorrà regolare un po' meglio l'attività delle banche ed inasprire i controlli, proseguendo nell'opera di riduzione della leva che tanti danni ha fatto.
Quindi dobbiamo aspettarci future restrizioni ai finanziamenti allegri e probabilmente avremo anche qualche ulteriore stop alle carte di credito revolving, aumentando così le difficoltà per il consumatore americano.
Una gigantesca crisi dei consumi e, per questa via, dell'economia reale, è un evento nell'ordine delle cose.
Non voglio fare il gufo, ma se tra qualche mese scopriremo che risolvere la crisi finanziaria avrà portato una lunga stagflazione, capiremo che neanche in USA, dove sempre tutto sembra possibile, è così facile fare i soldi con le forbici.
Intanto prepariamoci ad un significativo bear market rally invernale. Credo che avremo rialzi significativi ed esultanza da parte dei mercati, che fingeranno per qualche mese di aver risolto tutti i problemi.
Riguardo alla questione morale sollevata da tutto questo macello, non preoccupiamoci. I mezzi di informazione ne stanno dibattendo. Anche il quotidiano La Stampa, da par suo, ha voluto dare un contributo decisivo al dibattito intervistando a tutta pagina l'esperta Barbara Berlusconi, entrata a 24 anni nel CdA di Fininvest, ma soprattutto figlia del più furbo degli italiani.

domenica 21 settembre 2008

lehman brothers e patti chiari..

Dal Blog di Beppe Grillo www.beppegrillo.it:

"Ciao Beppe,
alle volte la realtà supera la fantasia del più creativo dei comici. Ho ricevuto oggi una e-mail da alcuni amici che lavorano nel settore bancario con i link che ti indico di seguito e ci tenevo a segnalarti questa cosa.Non so quanti l'hanno notato ma sul sito www.pattichiari.it, nello specifico a questa pagina si trovano alcune obbligazioni cosiddette "a basso rischio", quelle di Lehman Brothers!
Non volevo crederci, me lo sono dovuto rileggere quattro o cinque volte, soprattutto il trafiletto che copio ed incollo:
"PattiChiari propone un elenco consultabile di obbligazioni a basso rischio e di conseguenza a basso rendimento, costantemente aggiornato, per orientare chi è privo di esperienza finanziaria e intende investire in titoli particolarmente semplici da valutare."
Cioè una persona priva di esperienza finanziaria che ha ascoltato i consigli di loro, grandi esperti, si è appena trovato in mano un pugno di carta straccia come nel caso Argentina e Parmalat.
I "Grandi Esperti" oggi hanno pubblicato una nota a questa pagina in cui dicono "In data odierna tutti i titoli Lehman Brothers sono usciti dall'Elenco Pattichiari "Obbligazioni Basso Rischio Basso Rendimento" a seguito della comunicazione della stessa società di voler depositare la dichiarazione di fallimento (Chapter 11 of the U.S. Bankruptcy Code)."

Il mondo salvato dai bambini

Una pubblicazione distribuita alle famiglie inglesi scritta dai figli
"Fai come me": gesti minimi per cambiare la vita del pianeta
Il mondo salvato dai bambini
A scuola il libro con i loro consigli
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

Il mondo salvato dai bambini A scuola il libro con i loro consigli
LONDRA - Come migliorare il mondo con i piccoli gesti. È questa l'idea lanciata da un'organizzazione ambientalista britannica, che si è rivolta a un gruppo di esperti particolari per tradurla in pratica: i bambini. Il movimento ecologista "We are what we do" (Siamo quello che facciamo), già noto per avere lanciato la campagna per l'eliminazione delle sporte di plastica nel Regno Unito, ha raccolto per un anno i consigli di migliaia di scolaretti su modi pratici per cambiare le cose sul nostro pianeta.
Piccoli gesti, apparentemente senza importanza, che però sommati tutti insieme potrebbero modificare radicalmente il nostro stile di vita. Ora quei suggerimenti sono stati raccolti in un libro, "Teach your granny to text & other ways to change the world" (Insegna alla nonna a scrivere i messaggini, e altri modi per cambiare il mondo), che verrà inviato gratuitamente a tutte le scuole della Gran Bretagna, affinché sia discusso in classe e, magari, anche dai bambini con i genitori quando tornano a casa.
I consigli sono estremamente semplici: fare sorridere qualcuno; chiedere al papà di fare una passeggiata insieme; imparare il linguaggio dei segni; far crescere in giardino qualcosa che poi si mangerà; non cantare sotto la doccia (per risparmiare tempo e acqua: la doccia media dura sette minuti per 35 litri d'acqua, mentre basterebbero due minuti per lavarsi - se tutti i bambini di una sola classe facessero così, in un anno risparmierebbero abbastanza acqua da riempire una piscina olimpionica). E ancora, fare un sacco di complimenti a tutti; non ricaricare il telefonino tutta la notte; leggere un libro insieme a un amico; guardare più attentamente ciò che ci circonda; e, come dice il titolo, insegnare alla nonna a scrivere messaggini sul cellulare.

Nell'introduzione al libro, gli attivisti di "We are what we do" affermano: "Il nostro obiettivo è unire la gente e dimostrare come, facendo ricorso a semplici azioni nella vita di tutti i giorni, possiamo creare un'atmosfera globale migliore. Basta fare qualcosa, anche una piccola, tutti insieme, per poter ottenere grandi cambiamenti". Il libro si rivolge poi ai bambini, dicendo loro: "Voi avete dei super poteri. Non sono eccitanti come la visione a raggi X o la capacità di volare o qualche altra incredibile magia dei supereroi del cinema. In effetti sono superpoteri piuttosto normali, ordinari, quelli di cui voi disponete. Ma potete usarli per cambiare le cose sulla terra. Come il surriscaldamento climatico, il bullismo, i diritti degli animali, e il perché non si vede più nessuno che sorride".

L'idea di raccogliere i consigli dei bambini è nata un anno fa, quando l'organizzazione ecologista inviò alle scuole del regno un modulo da far compilare agli alunni in risposta alla domanda "che cosa chiederesti di fare a un milione di persone per cambiare il mondo?" e fu ben presto invasa di risposte. Tra cui quella di una bambina di dieci anni di nome Erica che suggeriva di insegnare ai nonni a messaggiare: il consiglio che ha dato origine al titolo.
(www.repubblica.it 21 settembre 2008)

venerdì 19 settembre 2008

rimedio anti raffreddore

MEDICINA/LO STUDIO DI UN RICERCATORE IRANIANO
Fare sesso? Rimedio anti-raffreddore
Una ricerca propone l'eiaculazione contro la congestione nasale. «Meglio dei farmaci»



MILANO - Addio spray nasali, infusi decongestionanti, aerosol e medicinali da banco. Per curare il raffreddore è sufficiente avere un rapporto sessuale e in mancanza di un'occasione propizia si può ricorrere alla masturbazione. Il rimedio è stato proposto da Sina Zarrintan, un ricercatore del Dipartimento di neurochirurgia dell'Università di medicina di Tabriz, in Iran e pubblicato sull'ultimo numero di Medical Hypotheses col titolo «Ejaculation as a potential treatment of nasal congestion in mature man» («L'eiaculazione come potenziale rimedio della congestione nasale nel maschio adulto»). Sono quindi esclusi dallo studio i giovani – anche se non ne viene spiegato il motivo – e ovviamente le donne.

COME FUNZIONA - Ironie a parte, l'effetto anti-raffreddore dell'eiaculazione è dovuto all'attività del sistema nervoso simpatico che viene messa in moto dall'eccitazione sessuale che decongestiona i vasi sanguinei, compresi quelli che irrorano le narici e che causano il "naso chiuso". A differenza dei farmaci decongestionanti, il vantaggio di questo trattamento consiste nella mancanza di effetti collaterali: è ripetibile e riporta lo stato di benessere tramite una stimolazione interna al sistema nervoso simpatico. Meno effetti collaterali, quindi. E secondo Zarrintan se si pianifica adeguatamente una terapia a lungo termine è possibile vaccinarsi contro le congestioni nasali. Come si legge dall'abstract: «Il metodo può essere effettuato volta per volta in base al bisogno e va regolato in base alla severità dei sintomi». L'autunno è alle porte, il maltempo e i malanni stagionali anche.

Gabriele De Palma
19 settembre 2008

www.corriere.it

mercoledì 17 settembre 2008

la crisi vista due anni fa

Due anni fa "Il giornale" pubblicò questo articolo.

http://www.macrolibrarsi.org/ebooks/giornale_19_03_2006.pdf

Ora la crisi economica è evidente, ma se succedesse quello che c'era scritto...forse un po' apocalittico, però.....

Greg

ecoguida di greenpeace

IX ECO-GUIDA DI GREENPEACE: NOKIA AL PRIMO POSTO.

Roma, 16 settembre 2008. Nella IX versione dell’Eco-guida di Greenpeace
ai prodotti elettronici cinque aziende leader del settore – Nokia,
Samsung, Fujitsu Siemens Computers, Sony Ericsson, Sony - hanno fatto
progressi significativi nel rendere piu’ verdi i loro prodotti. Nokia,
dopo un anno, ritorna in testa alla classifica con un punteggio pari a 7
su 10, grazie al miglioramento delle pratiche di ritiro degli articoli a
fine vita in India. In fondo alla classifica si trovano Sharp con 3,1,
Microsoft con 2,2 punti e Nintendo che si conferma all’ultimo posto con
soli 0,8 punti.

“La maggior parte delle aziende stanno rispondendo bene sia al
rafforzamento dei criteri sui rifiuti elettronici e sulla chimica che
alla recente introduzione di quelli relativi all’energia. I punteggi
piu’ alti sull’efficienza energetica vanno a singoli prodotti di Apple,
Nokia, Sony Ericsson e Samsung. Toshiba fa da esempio per aver
migliorato la sua politica sull’impatto climatico,” dichiara Vittoria
Polidori responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace.

Fujitsu Siemens Computers salta dalla quindicesima posizione, che
ricopriva a giugno, alla terza per aver individuato il 2010 come
scadenza entro cui eliminare la plastica in PVC e tutti i ritardanti di
fiamma a base di bromo dai suoi prodotti. In quarta posizione si trovano
Sony Ericsson e Sony, con un punteggio pari a 5,3.

I nuovi articoli messi di recente in commercio da molte aziende sono
meno tossici, ma finora nessuna ha mai prodotto un computer
completamente privo di ritardanti di fiamma a base di bromo e di PVC. La
scorsa settimana Steve Jobs, il numero uno della Apple, ha annunciato
una nuova linea di iPod davvero priva di queste sostanze, incluso il
mercurio, seguendo l’esempio di altre compagnie leader come Nokiae Sony
Ericsson.

“Greenpeace ha accolto con piacere questo passo avanti della Apple,
perfettamente in linea con l’impegno assunto da Jobs di eliminarequesti
elementi tossici dai suoi prodotti entro il 2008. Non siamo pero’
favorevoli alla modalita’ di progettazione di questa linea che, avendo
un elevato costo di sostituzione della batteria, incoraggia il
consumatore a compare un nuovo prodotto” sottolinea Polidori.

Philips si distingue per essere la compagnia con la peggiore posizione
in materia di gestione e riciclo dei propri rifiuti elettronici. Si
trova in 12esima posizione, con un punteggio pari a 4,3, anche perche’
continua a ostacolare qualsiasi approccio a favore del principio di
responsabilita’ individuale del produttore nell’Ue.

L’Eco-guida ai prodotti elettronici verdi continua a influenzare
l’industria hi-tech verso produzioni piu’ sostenibili, come dimostra il
recente lancio del nuovo processore Xeon 5400 ad uso dei transistor,
prodotto da Hafnium senza alcun ritardante di fiamma, compresi quelli a
base di bromo.

La classifica della IX Eco-guida di Greenpeace:
http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/file/ecoguida-9-dettaglio


Per informazioni e interviste:
Ufficio stampa Greenpeace, 0668136061 int. 203
Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento, 3483988919
Maria Carla Giugliano, addetta stampa, 3483988615

venerdì 12 settembre 2008

Alitalia: la saga della compagnia

dal www.corriere.it del 12 settembre 2008

Voli&SPRECHI: Il volo Roma-Albenga e i soggiorni degli equipaggi al Lido di Venezia
Trucchi e segreti della casta volante
Politici, manager, calciatori. La saga della compagnia. Anche una commissione a 8 per scegliere i nomi degli aerei

ROMA — C'era una volta una compagnia aerea che perdeva 25 mila euro l'anno per ognuno dei suoi dipendenti. Che aveva 5 (cinque) aerei cargo sui quali si alternavano 135 (centotrentacinque) piloti. Che arrivò ad avere un consiglio di amministrazione composto di 17 poltrone: tre per i sindacalisti e una assegnata, chissà perché, al Provveditore generale dello Stato, l'uomo incaricato di comprare le matite, le lampadine e le sedie dei ministeri.

Che istituì perfino una commissione di otto persone per decidere i nomi da dare agli aeroplani: e si possono immaginare i dibattiti fra i sostenitori di Caravaggio e quelli di Agnolo Bronzino. Che in vent'anni cambiò dieci capi azienda, nessuno uscito di scena alla scadenza naturale del suo mandato. E che negli ultimi dieci anni ha scavato una voragine di tre miliardi chiudendo un solo bilancio in utile, ma unicamente grazie a una gigantesca penale che i preveggenti olandesi della Klm preferirono pagare pur di liberarsi dal suo abbraccio mortale.

C'era una volta, appunto. Perché una cosa sola, mentre scade l'ultimatum di Augusto Fantozzi, è certa: quella Alitalia lì non c'è più. La corsa disperata di cui parlò Tommaso Padoa-Schioppa quando ancora confidava di poter passare la patata bollente ad Air France, dicendo di sentirsi come «il guidatore di un'ambulanza che sta correndo per portare il malato nell'unica clinica che si è dichiarata diposta ad accettarlo», è comunque finita. E con quell'ultimo viaggio, fallito in modo drammatico, si è chiusa un'epoca. Con un solo rammarico: che la parola fine doveva essere scritta molti anni prima. Se soltanto i politici l'avessero voluto.

Già, i politici. Ricordate Giuseppe Bonomi? Politico forse sui generis, leghista e oggi presidente della Sea, ora ha chiesto all'Alitalia 1,2 miliardi di euro di danni perché la compagnia ha deciso di lasciare l'aeroporto di Malpensa. Anche lui è stato presidente dell'Alitalia: durante la sua presidenza la compagnia prossima ad essere «tecnicamente in bancarotta», per usare le parole del capo della Emirates, Ahmed bin Saeed Al-Maktoum, sponsorizzò generosamente i concorsi ippici di Assago e piazza di Siena. Alle quali Bonomi, provetto cavallerizzo, partecipò come concorrente. Ma senza portare a casa una medaglia. Ritorno d'immagine? Boh.

E ricordate Luigi Martini? Ex calciatore della Lazio, protagonista dello storico scudetto del 1974, chiusa la carriera sportiva diventò pilota dell'Alitalia. Poi parlamentare e responsabile trasporti di Alleanza nazionale: ma senza smettere mai di volare. Per conservare il brevetto gli fu concesso di mantenere anche grado e stipendio. Faceva tre decolli e tre atterraggi ogni 90 giorni, quando gli impegni politici lo consentivano, pilotando aerei di linea con 160 passeggeri a bordo. Inconsapevoli, probabilmente, che alla cloche c'era nientemeno che un parlamentare in carica. Questa sì che era degna di chiamarsi italianità. In quale altro Paese sarebbe stato possibile?

Domanda legittima anche a proposito di quello che accadde nel 2002, quando con la benedizione di Claudio Scajola venne istituita una linea quotidiana Alitalia fra Fiumicino e Villanova D'Albenga, collegio elettorale dell'allora ministro dell'Interno. Numero massimo di passeggeri, denunciò il rifondarolo Luigi Malabarba, diciotto. Dimesso il ministro, fu dimessa anche la linea. Ripristinato il ministro, come responsabile dell'Attuazione del programma, fu ripristinato pure il volo: in quel caso da Air One, con contributi pubblici. Volo successivamente abolito dopo la fine del precedente governo Berlusconi e quindi ora, si legge sui giornali, riesumato per la terza volta.

Ma politici e flap in Italia hanno sempre rappresentato un connubio spettacolare. Lo sapevano bene i 9 sindacati dell'Alitalia, che non a caso nei momenti critici, ha raccontato al Corriere Luigi Angeletti, regolarmente pretendevano di avere al tavolo il governo, delegittimando la controparte naturale, cioè l'amministratore delegato. E i ministri regolarmente si calavano le braghe. Forse questo spiega perché mentre tutte le compagnie straniere, alle prese con le crisi, tagliavano il personale e riducevano i costi, all'Alitalia accadeva il contrario.

Nel 1991, dopo la guerra del Golfo, si decisero 2.600 prepensionamenti. Poi arrivò Roberto Schisano, che diede un'altra strizzatina, e i dipendenti scesero nel 1995 a 19.366. Armato di buone intenzioni, Domenico Cempella nel 1996 li portò a 18.850. Nel 1998 però erano già risaliti a 19.683. L'anno dopo a 20.770. E nel 2001, l'anno dell'attentato alle Torri gemelle di New York, si arrivò a 23.478. Poi ci si stupì che per 14 anni, fino al 1999, fosse stato tenuto in vita a Città del Messico, come denunciò l'Espresso, un ufficio dell'Alitalia con 15 dipendenti, nonostante gli aerei avessero smesso di atterrare lì nel lontano 1985. Come ci si stupì che gli equipaggi in transito a Venezia venissero fatti alloggiare nel lussuoso Hotel Des Bains del Lido, con trasferimento in motoscafo. O che per un intero anno (il 2005) la compagnia avesse preso in affitto 600 stanze d'albergo, quasi sempre vuote, nei dintorni dell'aeroporto, per gli equipaggi composti da dipendenti con residenza a Roma ma luogo di lavoro a Malpensa. Per non parlare della guerra sui lettini per il riposo del personale di bordo montati sui Jumbo, al termine della quale 350 piloti portarono a casa una indennità di 1.800 euro al mese anche se il lettino loro ce l'avevano. O dell'incredibile numero di dipendenti all'ufficio paghe del personale navigante, che aveva raggiunto 89 unità. Incredibile soltanto per chi non sa che gli stipendi arrivavano a contare 505 voci diverse.

Tutto questo ora appartiene al passato. Prossimo o remoto, comunque al passato. Della futura Alitalia, per ora, si conosce soltanto il promotore: Compagnia aerea italiana, Cai, stesso acronimo di un'altra Cai, la Compagnia aeronautica italiana, la società che gestisce la flotta dei servizi segreti. E le cui azioni, per una curiosa e assolutamente casuale coincidenza, sono custodite nella SanPaolo fiduciaria, del gruppo bancario Intesa SanPaolo, lo stesso che supporta la cordata italiana per l'Alitalia.

Sergio Rizzo
12 settembre 2008

lunedì 8 settembre 2008

Mangiare meno carne per salvare l'ambiente

L'appello di Pachauri, presidente dell'Ipcc, premio Nobel per la pace 2007 con Gore
"Rinunciare alla fettina almeno una volta alla settimana avrebbe un impatto notevole"
Onu: "Mangiare meno carne
per salvare l'ambiente"


Rajendra Pachauri
LONDRA - Rinunciare a fettina o bistecca una volta alla settimana per salvare l'ambiente. Perché facendo sparire da tavola la carne almeno un giorno ogni sette si combatte il surriscaldamento globale. L'appello è rilanciato dall'Onu per bocca di Rajendra Pachauri, economista indiano, vegetariano, e una delle voci più autorevoli in materia di clima: presidente dell'Ipcc, il panel intergovernativo sui mutamenti climati delle Nazioni Unite, lo scorso anno ha ricevuto insieme ad Al Gore il premio Nobel per la pace.

L'impatto di quella che appare come una modesta rinuncia sarebbe notevole, più di quello che i non addetti ai lavori possono pensare: l'allevamento di bestiame, infatti, è responsabile del 18% delle emissioni complessive di gas serra, molto più del settore trasporti cui è attribuito il 13%. E, se per molte persone rinunciare all'auto può diventare molto problematico, scegliere insalata, frutta e verdura almeno una volta ogni sette giorni è decisamente più fattibile.

E anche più conveniente per l'ambiente. I numeri parlano chiaro: la produzione di un chilogrammo di carne causa emissioni equivalenti a 36,4 kg di anidride carbonica. L'allevamento e il trasporto di animali inoltre richiede, per ogni chilo di carne, la stessa energia necessaria per mantenere accesa una lampadina da 100 watt per quasi tre settimane. E il bestiame è una fonte diretta di metano, 23 volte piu dannoso dell'anidride carbonica, prodotto naturalmente dai processi digestivi degli animali da allevamento.

Pachauri, che aveva già lanciato l'allarme all'inizio dell'anno a Parigi, ne parlerà domani a Londra nel corsodella annual lecture della 'Compassion in World Farming', un'associazione animalista britannica che ha chiesto al governo di impegnarsi per ridurre il consumo di carne del 60 per cento entro il 2020. Se l'industria della carne denuncia di essere ingiustamente nel mirino, la causa promossa dall'Onu ha già testimonial famosi, come sir Paul McCartney e il Italia l'ex ministro della Sanità Umberto Veronesi. E acquista una urgenza particolare, alla luce delle stime della Fao: secondo l'agenzia Onu per il cibo e l'agricoltura, il consumo di carne è destinato a raddoppiare nel 2050.

(7 settembre 2008) www.corriere.it

che bello, mi sono perso...

Che bello, mi sono perso
Di Remo Bodei - sole 24 ore domenica 3 agosto 2008
Ci piace tanto viaggiare ma finiamo per seguire sempre i soliti percorsi.
Torniamo a praticare l’antica arte dello spaesamento: ecco le istruzioni per vedere il mondo come fosse la prima volta. E ritrovare se stessi.


Esiste un'arte del perdersi in qualche luogo per meglio conoscere un mondo che l'abitudine ha reso opaco e indifferente? E, parafrasando il Vangelo, questo perdersi implica, per sovrappiù, un ritrovare se stessi?
Siamo talmente abituati a percorsi standard che non facciamo più caso a quel che ci circonda e ci muoviamo nello spazio come automi miopi. E, se dobbiamo recarci in posti sconosciuti, ci affidiamo volentieri agli stereotipi di dépliant e guide, seguiamo i tragitti più scorrevoli e, viaggiando in automobile, ci consegniamo ai navigatori satellitari, che indicano la direzione attraverso piantine topografiche e petulanti messaggi vocali. Per risparmiare tempo o per radicata inclinazione alla fretta scegliamo quindi le autostrade o le vie di grande comunicazione, che rendono più rapidi i viaggi, ma ci tagliano fuori da città, paesi, monumenti, campagne, boschi. Preferiamo così l'Autostrada del Sole alla Via Emilia, i tracciati omogenei che convogliano processioni di macchine ai paesaggi segnati dalle millenarie stratificazioni del lavoro umano e del vissuto di generazioni.
Per perdersi non è necessario sfidare le zone desertiche, le foreste o gli oceani. Anche nello spazio abitabile, razionalizzato e orientato secondo determinati criteri culturali, basta abbandonare i percorsi consueti o guardare a essi con rinnovata cura, per scorgervi l'instancabile mano della storia: ad esempio, la divisione dei campi coltivati, che conserva in Italia le tracce della centuriazione romana, il variare della vegetazione non spontanea per effetto dell'introduzione dell'eucaliptus nell'Ottocento o della soia nei recenti decenni, la tortuosità del reticolo viario delle città medioevali rispetto alla pianta ortogonale di quelle romane o il pullulare di chiese e abbazie lungo le antiche vie di passaggio dei pellegrini.
Molti hanno perciò cominciato a gustare il piacere di ripercorrere - a tappe lente e con deviazioni nei dintorni - la Via Francigena o il Cammino di Santiago. Anche qui il tragitto è prefissato dalla tradizione, ma andando a piedi o in bicicletta, si ha modo divedere in maniera focalizzata ciò che s'incontra, di fermarsi ò di esplorare alcune zone secondo l'ispirazione del momento. Si è allora in grado - secondo l'espressione di Franco La Cecla - di «fare mente locale», di ricollocarsi nel tempo e nello spazio, di riformulare se stessi in sintonia con i nuovi contesti. Perché questo accada, bisogna però essere disposti al cambiamento fino ad accettare con riconoscenza possibili spostamenti del proprio baricentro intellettuale e affettivo. Vale altrimenti quello che osservava Socrate a proposito di qualcuno che non si era trasformato viaggiando: «Lo credo, si è portato dietro se stesso» (ha voluto conservare la sua inscalfibile identità precedente).
Il tempo è ormai una risorsa scarsa per quasi tutti. Solo pochi sono capaci, grazie a un'assidua pratica, di diventare dei virtuosi nell'arte dellospaesamento.È perciò difficile –e al limite stravagante - imitare Georges Perec nel progetto di riscoprire Parigi percorrendo, in ordine alfabetico, tutte le strade il cui nome ] inizia con la stessa lettera e di osservare «ciò che generalmente non si nota, non viene ricordato, ciò che non ha importanza: quello che accade quando non accade niente, se non il passare del tempo, delle persone, delle macchine e delle nuvole». Virtuoso di quest'arte è lo scrittore americano di origine Sioux William Least Heat-Moon, che, cambiando di colpo la sua vita, si mette con un camioncino a girare per le «strade blu», le vie secondarie indicate con quel colore nelle vecchie cartine stradali d'America. In alcune ore, esse «hanno un fascino intenso, e sono aperte, invitanti, enigmatiche: uno spazio dove l'uomo può perdersi», ma anche stabilire appaganti, seppur fugaci, rapporti con le persone in cui s'imbatte.
Per quanti hanno a disposizione solo il tempo delle vacanze, vi sono due modi di perdersi: quello irritante di quando, disorientati e stanchi, non rinvengono il posto che cercavano e quello programmato come viaggio di scoperta in cui si spostano in una località guidati dal magnetismo inconscio di segnali che di volta in volta incuriosiscono. Questo è il metodo suggerito da Walter Benjamin: «Non sapersi orientare in una città non vuol dir molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare». Non si tratta però tanto dell'atteggiamento delflàneur ottocentesco, che si aggira ozioso tra la folla dei boulevards parigini, ma della tecnica della «deriva», teorizzata da Guy Debordi «Andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta». Privandoci della familiarità con ciò che ci circonda, sforzandoci di dimenticare quanto sappiamo (compito solo in piccola parte eseguibile), inglobando quote di estraneità, prendiamo meglio le misure di noi stessi.
Secondo Georg Simmel, il perdersi volontario costituisce la metafora che caratterizza la condizione dell'uomo moderno, il quale «ama le vie senza le mete e le mete senza le vie». Ormai nessuno, infatti, sembra contentarsi facilmente di quello che è e della routine di cui si sente prigioniero: aspira a dare un senso più pieno alla propria vita inserendola in un altrove indeterminato e arricchendola con l'esperienza dell'ignoto, perseguito secondo itinerari da inventare. Desidera l'avventura (l'andare verso le cose future, ad ventura), la docile resa all'imprevisto, sperando così di propiziare il suo rinnovamento. Il viaggiatore (o colui che lascia vagare in luoghi già conosciuti la sua attenzione "fluttuante") è allora talmente stupito da quel che trova da chiedersi se è veramente lui a vivere quei momenti e essere entrato in una dimensione spaziale e temporale che lo risarcisce della vuota successione di attimi spenti e di posti senza sorprese. Si chiede Baudelaire: dove anela l'anima moderna, questo «tre alberi in cerca della sua Icaria»? Verso un esilio dal noto, verso una fuoriuscita dal mondo. E non importa dove, risponde in inglese: Anywhere out ofthe worId! Ma la modernità è davvero espressa dalla voluttà del perdersi? O questo è solo uno dei suoi aspetti, visto che noi procediamo di norma secondo il metodo prescritto da Cartesio, di non indugiare ad aggirarci nella foresta, ma di camminare sempre e risolutamente nella stessa direzione, perché alla fine ci troveremo in qualche luogo dove probabilmente staremo «meglio che nel fitto della boscaglia»?

giovedì 4 settembre 2008

Così la Gelmini diventò avvocato

Mi ricordo che quando avevo 12-13 anni (e quindi nel 1965 circa) la sorella - non molto vispa - di un mio compagno di classe da Brescia andò a fare gli esami di maestra d'asilo dalle parti di potenza o reggio calabria, perchè là erano di manica larga, e fu ovviamente promossa.
Interessante sapere che questo tipo di turismo è ancora in vigore, tanto che ne ha usufruito, a quanto sembra, anche il ministro dell'istruzione....

greg

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Nella città calabrese l'anno precedente il record di ammessi con il 93 per cento
Da Brescia a Reggio Calabria
Così la Gelmini diventò avvocato
L'esame di abilitazione all'albo nel 2001.
Il ministro dell'Istruzione: «Dovevo lavorare subito»

Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001 scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio Calabria si infilò anche Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche che, nelle vesti di ministro, avrebbe sollevato con i (giusti) sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la denuncia delle condizioni in cui versano le scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche «scientifiche» internazionali a dispetto della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti promossi.

La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla preparazione, la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto battagliare, sull'uno o sull'altro fronte, gran parte delle intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it da Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l'hanno intercettata è facile da immaginare. Una per tutti, quella di Peppino Calabrese: «Un po' di dignità ministro: si dimetta!!» Direte: possibile che sia tutto vero? La risposta è nello stesso blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E spiega le sue ragioni.

Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza Italia, presidente del consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come assessore al Territorio della provincia di Brescia, consigliere regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la Lombardia, è una giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare uno dei passaggi più delicati: l'esame di Stato.

Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea. Occorre iscriversi all'albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello studio di un avvocato, «battere» i tribunali per accumulare esperienza, raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che accertino l'effettiva frequenza alle udienze e infine superare appunto l'esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle corti d'Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale. Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente, della metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale. Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi settentrionali, con picchi del 94% di respinti, l'esame è infatti facile o addirittura facilissimo in alcune sedi meridionali.

Un esempio? Catanzaro. Dove negli anni Novanta l'«esamificio» diventa via via una industria. I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con mesi d'anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a volte propongono un pacchetto «all-included»: camera, colazione, cena e minibus andata ritorno per la sede dell'esame.
Ma proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo dell'esame taroccato nella sede d'Appello catanzarese. Inchiesta della magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi casi, con lo stesso errore («recisamente» al posto di «precisamente», con la «p» iniziale cancellata) come se si fosse corretto al volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari in trincea: «I candidati — giura il presidente della «corte» forense Francesco Granata — avevano perso qualsiasi autocontrollo, erano come impazziti». «Come vuole che sia andata? — spiega anonimamente una dei concorrenti imbroglioni —. Entra un commissario e fa: "Scrivete". E comincia a dettare il tema. Bello e fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo».

Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo Berlusconi non vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le sessioni successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati estraendo a sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via. Riforma sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni consolidate: gli aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari d'esame napoletani, vedranno la loro quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%.
Per contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi precedenti.

In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere, spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio Calabria».
I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c'era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme.

Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell'Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l'esame? Com'è stato l'esame? «Assolutamente regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta, Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano l'esame facile, le sarà però un po' più difficile invocare il ripristino del merito, della severità, dell'importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare. Tutte battaglie giuste. Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul sette in condotta, sull'imposizione dell'educazione civica e perfino sulla necessità di mettere mano con coraggio alla scuola a partire da quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non avesse cercato la scorciatoia facile?
Gian Antonio Stella
Corriere della sera, 4 settembre 2008