giovedì 26 dicembre 2013

Gianfranco Ravasi: se dovessi tenere un sermone laico a Natale



Se dovessi tenere un sermone laico...
Comincerei così: diceva uno scrittore che per ritrovare il significato del Natale bisognerebbe liberarlo delle incrostazioni consumistiche e festaiole. Parole sante in bocca a un non credente. Al quale mi associo volentieri

Tempo fa una lettrice de l’Espresso  di Guastalla mi ha avanzato una proposta: «Ogni tanto Lei appare come firma su questo settimanale laico : perché non prova una volta a proporre anche a noi per usare un titolo di Luigi Einaudi una predica laica ?». Devo subito correggere la mia lettrice: in realtà Einaudi raccolse alcuni suoi interventi sotto il titolo "Prediche inutili"  e non vorrei correre il suo stesso rischio... Tuttavia raccolgo la sfida, anche perché questo numero del settimanale apparirà proprio alle soglie di una festa che, pur in epoca detta post-cristiana , continua a stare ben inchiodata nel tessuto sociale contemporaneo apparentemente secolarizzato.

Comincerei il mio sermone così: «Il Natale odierno mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine, che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose». Questo incipit può sembrare troppo moralistico? Allora confesserò che non sono né parole mie né quelle di un predicatore. Era nientemeno che Alberto Moravia a iniziare così anni fa un suo articolo natalizio per un quotidiano!

Certo, il rituale laico di questa festa cristiana è spesso analogo ai cine-panettoni e ha come emblema luci al neon e vetrine colme. Tuttavia non si può ignorare che ora molta gente fatica persino ad allestire un pranzo natalizio degno di questo titolo. E allora l’omelia potrebbe continuare lasciando la parola a un vero predicatore, papa Francesco, con l’incisività delle sue parabole  sulla povertà. È lui, infatti, più di tanti politici, a far risuonare il ruggito della fame  del mondo, a scrivere nel suo ultimo testo Evangelii gaudium  pagine roventi sulla necessità dell’inclusione sociale dei poveri  e sulla pace e il dialogo sociale , a scendere fino a Lampedusa per incontrare le nuove famiglie di Betlemme profughe come quella del neonato Gesù e a invitare tutti noi a trasferirci dai centro-città festosamente illuminati alle squallide periferie .

A proposito di periferie, continuerei allora la mia predica più o meno laica  con una testimonianza personale. Quand’ero giovane prete, studente a Roma, mi recavo a visitare gli infermi di una parrocchia di Torpignattara. C’era un anziano che mi accoglieva sempre con gioia, mi preparava il caffè, mi tratteneva il più possibile. Quando dovetti salutarlo per l’ultima volta perché rientravo a Milano, mi disse sconsolato: «Lei non sa cosa vuol dire non attendere più nessuno». Quante persone nel giorno di Natale sono come lui, sole, dimenticate, davanti a un telefono che non squilla perché non c’è più nessuno che si ricorda di loro e al massimo possono parlare solo coi loro cari morti.

Voltaire diceva  che le prediche sono come la spada di Carlo Magno, lunghe e piatte, perché i predicatori quello che non sanno darti in profondità ti danno in lunghezza. Lo spazio di questa pagina è finito. Concluderò, allora, con una provocazione. Anche quest’anno il Natale ha nel mondo la solita presenza di Erodi e di innocenti sgozzati. Lascerò ai lettori di riflettere su un aneddoto che mi ha raccontato l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede e che può essere sia una rappresentazione della storia umana sia un amaro esame di coscienza collettivo. Anni fa, in visita allo zoo biblico di Gerusalemme fu condotto Henry Kissinger, Segretario di Stato di Nixon. Egli rimase stupefatto di fronte a un leone accovacciato davanti a un agnello che brucava pacificamente. Si era forse avverata la profezia messianica di Isaia secondo la quale il leone si sdraierà accanto all’agnello in perfetta armonia? «No replicò il direttore dello zoo in verità noi sostituiamo ogni giorno un nuovo agnello...!».

da "L'espresso", 21 dicembre 2013