giovedì 3 gennaio 2013

Gamal Al Ghitani La politica ai tempi del narghilè

Da quando sono entrato a fare parte del popolo degli esodati, finalmente riesco ad iniziare le mie giornate senza l'assillo del dover lasciare le cose a metà per andare in ufficio. Mi piace alzarmi  prestissimo (dalle 5.00 alle 6.00) e dopo aver preparato mezzo litro di tè verde, faccio almeno una mezz'ora di cyclette, a velocità moderata, leggendomi i giornali e le riviste che si sono accumulate sulla mia scrivania. Ho acquistato un bel leggio da musica, che inserisco  nel manubri della cyclette, così lo sforzo fisico è minimo. E' l'occasione per scoprire fascinosi articoli come quelle che segue, tratto da quel meraviglioso inserto che è "La domenica del sole 24ore". Altro bell'inserto è "la lettura" del Corriere della Sera. 
La lettura termina alle 7.00, con l'apparizione di Corradino Mineo su rainews e la sua bella rassegna stampa nazionale ed internazionale. Escano dal frigo yoghurt e marmellate!
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Gamal Al Ghitani La politica ai tempi del narghilè

Lo scrittore egiziano racconta come il rito del fumo nei caffè sia un collante per le idee e la democrazia . “ma il ritrovo dei blogger rivoluzionari è infestato dai servizi segreti”

Come Fidel Castro con i sigari Cohiba, «dopo quarant'anni di amore fedele» anche Gamal al Ghitani non fuma più la sua shisa. «Dal 1996, due operazioni a cuore aperto», spiega. «Sono passato alle sigarette».
Ma non è peggio? «Non lo so, ma dovevo continuare ad andare al caffè».

Senza conoscere il Cairo non si comprende la conseguenza logica della spiegazione di Ghitani: non esiste caffè senza tabacco, più precisamente caffè senza shisha. Non è pensabile scendere al locale sotto casa, a quello del partito o del sindacato, della consorteria professionale o della curva della squadra di calcio; sedersi all'interno o al l'aperto a seconda delle stagioni: ma il più delle volte fuori, sul marciapiede dissestato e nonostante lo smog, data la mitezza del clima cairota. Non si può stare da soli a pensare, leggere, scrivere o solo guardare il mondo che transita sulla strada; oppure in compagnia a discutere di politica con un occhio alla partita trasmessa dalla televisione incardinata nel muro, sopra l'angolo pieno di fuliggine nel quale "lo specialista" pulisce i narghile e prepara le miscele. Non è pensabile organizzare un matrimonio o una rivoluzione attorno a un tavolino, concludere un accordo commerciale, dirimere una lite o giocare a backgammon senza guardarsi in faccia, assorti sulle pedine.
Insomma: è inammissibile fare tutto questo al Cairo, sorseggiando un caffè turco senza avere accanto un narghile che ribolle. O non avere sul palato il sapore di caffè, aspirando il tabacco dal lungo tubo addobbato come la sella di un cammello, che parte dalla bolla di vetro e finisce nel bocchino. È così dal XVI secolo, quando i sufi del Cairo incominciarono a importare chicchi di caffè yemenita per prolungare il loro stato di veglia. «Shisha e il suo luogo deputato non possono stare separati, è ovvio – spiega al Ghitani –. Fumarla altrove o a casa come fanno i sauditi, non è mai la stessa shisha». E c'è un'altra legge al Cairo: in un vero caffè/fumeria non si mangia, «perché mangiare disturba il ragionamento».
Narghile è il nome di origine persiana, al Cairo si usa più comunemente il termine shisa. Ma Gamal al Ghitani li usa entrambi, come sinonimi. «Quando fumavo mi piaceva stare delle ore ad aspirarlo da solo: il narghile è un amico silenzioso». È fra le volute di fumo, tabacco persiano secco e purissimo, che sono nati i suoi libri. Anche Zayni Barakat, l'ascesa e la caduta di un funzionario ambizioso alla fine del sultanato mamelucco del XVI secolo: il primo romanzo arabo ad essere tradotto e pubblicato da Penguin, nel 1990. Giunti lo ha fatto solo nel 2006: Zayni Barakat. I misteri del Cairo.
Quasi tutti i romanzi storici e contemporanei di Ghitani sono ambientati al Cairo. «Ovvio», spiega, ancora una volta stupito di dover spiegare. «Il caffè è l'essenza della vita urbana, non è una tradizione agricola. La prima affermazione di cittadinanza del fellah emigrato dalla campagna in cerca di lavoro, è la scelta di un caffè. Dire "il mio caffè" o "vediamoci al nostro caffè" è una rivendicazione identitaria. Hai un caffè dove ti riconoscono come cliente abituale, dunque sei qualcuno.
Il momento decisivo, la svolta, è quando il cameriere ti fa sedere allo stesso tavolo della visita precedente, ti serve lo stesso caffè zuccherato o no, lo stesso aroma di tabacco che avevi bevuto e fumato l'ultima volta. Quando fumavo e andavo al caffè anche quattro volte al giorno perché era lì che ricevevo la gente, il cameriere non mi chiedeva mai di pagare il conto ogni volta. E se alla fine della giornata mi dimenticavo del tutto di pagare, non c'era problema. Avrei pagato un altro giorno. Quasi non era necessario avere una casa».
Per Gamal al Ghitani «quando fumavo» è così pieno di ricordi e di promesse non del tutto mantenute, di un epoca della giovinezza e della maturità più produttiva, che sembra il titolo di un suo romanzo. Ora Gamal ha 68 anni, ha sempre il suo ufficio all'ultimo piano della redazione di al Akhbar al Yom del quale è stato direttore e poi ideatore dell'inserto letterario. Ora è il presidente della Grande Libreria del Cairo.
«Quando fumavo, c'era solo tabacco iraniano; a volte indiano, più morbido. Oggi sono solo due i caffè che continuano a servirlo: Babel Luk e Ahmed Said. Tutti gli altri servono mahassel, melassa. Solo il 10% è tabacco».
Ghitani definisce il narghile «amico silenzioso». Ma è anche uno strumento collettivo e politico: esiste un'etica pubblica della shisha. «Fumarla è un mezzo per cementare le amicizie di una vita: attorno alla shisha gravita un intero sistema sociale. Non capirai mai il popolo egiziano senza conoscere il mondo dei caffè del Cairo». Gamal ne ha contati duemila in qualche modo meritevoli di una visita e in gran parte bettole oscure all'occhio dell'occidentale. Ma neanche lui sa quanti esattamente siano nella gigantesca estensione metropolitana della città.
Gamal al Ghitani è stato comunista. La sua fede ha incominciato a vacillare dopo il primo viaggio a Mosca, scoprendo che lo stalinismo aveva fatto chiudere i caffè. Come la gran parte dei cairoti impegnati in politica per un ideale e non per lavoro, nel 1967 Nasser lo mise in galera. Di tutto questo lungo percorso è rimasta un'incrollabile laicità: «Non mi fido dei Fratelli musulmani: sono un partito religioso, non nazionale. Vogliono l'Egitto per sempre».
Anche qui il narghile c'entra. Per l'Islam è haram, proibito.
Essendo così popolare, col tempo le autorità religiose hanno concesso molti compromessi e alcune contaminazioni: a Riad, in Arabia Saudita, ci sono i negozi con i narghile più belli del Medio Oriente, ma si può fumare solo a casa. «Al Cairo nella prima metà del XIX secolo Mohamed Alì Pasha incominciò a permettere che nei caffè si servisse anche shisha ed è da allora che in Egitto esiste lo scontro fra due visioni di Stato: quello moderno e civile, e quello fondamentalista islamico. Per questo il caffè è sempre stato anche un simbolo politico: lì potevi parlare di tutto quello che era vietato dire altrove e scrivere sui giornali. Ora lo è ancora di più».
Uno dei primi atti pubblici dei giovani bloggers dopo essere scesi in piazza Tahrir e aver iniziato la rivoluzione, è stato scegliere il loro caffè, Nadua Sakafija, "Simposio culturale". Ma da tempo la gran parte della clientela è fatta di agenti del Mukhabarat, le spie del governo quale esso sia, dai tempi di Zayni Barakat. Una presenza tradizionale al Cairo, quanto la shisha e il caffè turco.

Ugo Tramballi Sole 24 ore 14 ottobre 2012

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