Come può un articolo di giornale fare ritornare giovani, andando indietro di oltre quarant'anni!
Correvano gli anni intorno al 1967-1968, e a Brescia in Corso Zanardelli c'era una libreria, "la bancarella del libro". Niente a che fare con le moderne Feltrinelli o Mondadori: lo spazio era quello che era, i libri erano appoggiati su tavoli, come alle feste dell'Unità. C'era una commessa gentilissima e appassionata che segnalava quanto stava uscendo nelle neonate collane economiche degli Oscar Mondadori e Garzanti. Vacanze matte era proprio un libretto Garzanti, di quelli incollati con una gialla colla schifosa che poi si sbriciolava, ero diventato bravissimo a restuararli col vinavil.
"Vacanze matte" è veramente da rileggere!
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Torna il romanzo di Powell che racconta le stravaganti avventure di una famiglia americana
RISCOPRITE “VACANZE MATTE” GRANDE STORIA PER L’ESTATE
Simpson esistevano già, prima che li inventassero. Si chiamavano i Kwimper, ed erano una versione ancora rozza, poco tecnologica e senza una cultura pop radicata fin nelle viscere – casomai soltanto un intuito pop, una specie di istinto. I Kwimper erano dei protosimpson, dei presimpson, degli ursimpson. In pratica, erano l’essenza della negazione del sogno americano. Non la degenerazione, ma proprio la negazione (che è un bel po’ diverso). Nel senso che sembravano, a voler pescare nel luogo comune riferito al nostro contesto, dei meridionali della commedia all’italiana, sempre alla ricerca di assistenzialismo, come se rivolgersi allo Stato potesse risolvere ogni problema, qualsiasi malanno. Come se lo Stato fosse una roba tipo i fiori di Bach.
I Kwimper sono cinque. In realtà sono molti di più, perché vengono dalla contea di Cran-berry, nel New Jersey dove, così sostengono, vivono in pratica solo Kwimper, tanto che si sposano e riproducono tra loro. In realtà sono meno di cinque, quattro per la precisione: perché il quinto membro dell’equipaggio è Holly Jo-
nes, babysitter capitata per caso sia nella contea sia nel mestiere, e gioca con la famiglia così come la famiglia (il padre, il figlio di ventidue anni e i due gemellini) gioca con le opportunità dell’assistenza statale.
Ma la contea e tutti gli altri Kwimper sono lontani. Qui si tratta di una vacanza, anzi teoricamente si sarebbe trattato di un ritorno dalle vacanze. Kwimper padre aveva deciso di prendersi qualche settimana di riposo intanto che rifletteva su una decisione da prendere, e cioè se, scaduta l’indennità di disoccupazione, tornare a lavorare per poi riaverne diritto, oppure passare più semplicemente al sussidio generale. Intanto che ci pensa, sono andati in vacanza: lui, Toby, i gemellini Eddy e Teddy e la babysitter. E al ritorno, da-
vanti a una strada laterale che sembra (chissà perché) una scorciatoia, c’è un cartello che dice: «assolutamente vietato il transito al pubblico »; il vecchio sente di non far parte del pubblico, ma di essere ormai «parte del governo», proprio per il rapporto di collaborazione continuativa che ha stabilito negli anni. Quindi il cartello non può avercela con lui: svolta per quella strada vietata e decide di percorrerla. È una strada deserta e così lunga che devono fermarsi perché finisce la benzina. Si fermano a lato della strada, scendono.
È un posto qualsiasi degli Stati Uniti; soltanto che sarebbe un posto dove non si può stare. È sufficiente: da qui comincia il romanzo della permanenza e della battaglia per il diritto di restare in quel posto – procurandosi cibo e acqua, smontando pezzi dell’auto per varie utilità, piantando tende, organizzando gare di pesca per guadagnare qualche dollaro e sopravvivere ancora un po’ (e in più, varie altre peripezie che non vi tolgo il piacere di scoprire).
Perché finiscono sul bordo di questa strada è del tutto insensato; il motivo per cui ci rimangono, lo è ancora di più. Ma è da questa
insensatezza che nascono i libri comici; e soltanto dall’insensatezza si cominciano a vedere i frutti della negazione del sogno americano. Prima di ogni altro passaggio, c’è una specie di legge di Murphy che introduce a questo mondo: soltanto chi è riuscito a non fare niente di niente della propria vita, può permettersi di passare giorni e settimane in qualsiasi luogo della terra. Basta che ne abbia voglia. O basta – come in questo caso – che non trovi giusto essere cacciato via.
Se andate a fare una ricerca sul web, di appassionati di Vacanze matte ce ne sono tanti; e si lamentano perché non viene ristampato. Eccoli accontentati. Parlano di capolavoro, sono appassionati di Toby, del padre, di Holly. Molti sono i giovani che lo hanno trovato nelle librerie dei genitori, e ne parlano con entusiasmo. In realtà, è un libro leggero, con un fondo anarchico che ne è evidentemente la parte più seducente. Ma il motivo vitale, mi pare di capire, è proprio un istinto comparativo con certe famiglie americane che hanno accolto in pieno tutto il peggio che è stato dato loro, e lo ruminano come coccodrilli sul pelo dell’acqua, ritirandolo fuori impastato di ironia, disincanto e – appunto – ribellione individuale alle imposizioni della vita che ci si aspetterebbe da loro. Così, i Kwimper e la loro guerra da idioti richiamano sia la spensieratezza del romanzo-passatempo, quello che ti allontana i pensieri pressanti; sia una ribellione sedata, tutta contemporanea, rintracciabile quasi sempre nella provincia americana più lontana, lì dove la percezione del mondo globale, comparata alla brevità degli spazi e alla lunghezza infinita del tempo, finisce per stonare, per funzionare molto poco. E allora, questa famiglia un po’ fuori di testa sembra suggerire con incoscienza una soluzione piuttosto antitetica rispetto a Into the Wild, il film di Sean Penn (o il romanzo da cui è tratto, Nelle terre estreme di Jon Krakauer). Una soluzione allegra, un po’ stupida e con il pregio della casualità: non c’è un posto da cercare, non c’è bisogno di un lontano; basta fermarsi sul ciglio della strada e organizzarsi. Da lì, da quello spazio piccolo e qualsiasi, si può provocare un esaurimento nervoso all’intera struttura statale.
Francesco Piccolo, repubblica, 1 luglio 2011