mercoledì 13 luglio 2011

I ladri della Patria - di Marco Travaglio

Marco Travaglio sintetizza benissimo la situazione...

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In questi giorni di angoscia per i bollettini di
guerra di Piazza Affari, non c’è nulla di meglio,
per tirarsi un po’ su di morale, che la lettura dei
giornali. I bollettini di Mediaset, Il Giornale e
L i b e ro , hanno le idee chiare sul vero motivo delle
turbolenze di Borsa: non la crescita zero del Paese e
la credibilità zero del governo, ma la sentenza
Mondadori e, dietro, la solita terribile sinistra che
riesce addirittura a pilotare “gli speculatori per
mandare a casa il premier”. Le vecchie volpi rosse
hanno colpito ancora: una ne fanno e cento ne
pensano. Non per nulla, grazie a loro, ci siamo
ciucciati 50 anni di Democrazia cristiana e 17 di
Berlusconi. Il meglio, però, sono le soluzioni
miracolose che dovrebbero prodigiosamente
salvarci dal default (ma la maggioranza non era
“solida e coesa”? ma i conti pubblici non erano “in
o rd i n e ”? ma la manovra non era “severa ma equa”?):
l’immancabile “d i a l o go ” tra governo e opposizione
auspicato dall’ermo Colle e lubrificato dal solito
Letta. Il quale – scrive il sempre urticante Verderami
sul Corr iere – “rientra in gioco” come “ufficiale di
collegamento per Palazzo Chigi nelle relazioni con il
Colle e con le forze di opposizione”, insomma “si
riappropria della cabina di regia politica di Palazzo
Chig i”, mentre Tremonti è out per le “vicende
giudiziar ie”. Invece, com’è noto, Letta con le
vicende giudiziarie non c’entra: i fondi neri Iri li
incassava Pulcinella, le tangenti Fininvest ai politici le
portava la cicogna, Bertolaso e la cricca riferivano
alla befana, Bisignani sussurrava all’orecchio di mia
zia. L’idea che nelle alte sfere si conti di scongiurare
la tempesta finanziaria aumentando le dosi di saliva e
vaselina di Letta-Letta, la dice lunga su come siamo
ridotti. Lo sanno anche i bambini che il crollo dei
titoli di Stato, anche se frutto di diaboliche manovre
speculative, non dipende tanto dai fatti e da numeri,
quanto da fattori psicologici come l’affidabilità e la
reputazione di chi dovrebbe risanare i conti. Un
Paese derubato per 70 miliardi l’anno dalla
corruzione, per 130 dall’evasione e per 150 dalle
mafie, ma governato da un imputato per evasione e
per corruzione per giunta amico di noti mafiosi. Il
problema dunque non è l’opposizione, che fra l’a l t ro
non è mai esistita. È il governo. Il premier è il politico
più sputtanato dell’universo, detto anche
“utilizzatore finale” di prostitute (Ghedini), “culo
f laccido” (Minetti), “malato” (Veronica e Briatore”),
“corruttore attivo” (sentenza Mondadori). Letta è
Letta. Tremonti aveva affidato tutte le chiavi – delle
nomine, delle Ferrari e dell’appartamento – a tal
Milanese, ora a un passo dalla galera. Alla Giustizia
c’è un fumetto di nome Alfano, che in tre anni non
ha combinato una beneamata mazza, lasciando alla
deriva tribunali, procure e carceri e ora si crede il
segretario del Pdl. A proposito di giustizia, alcuni
ministri sono inseguiti dalla gendarmeria: Fitto,
imputato per associazione a delinquere, corruzione
e altre cosette; Matteoli, imputato impunito per
favoreggiamento; Romano, primo caso di ministro
imputato per mafia; Maroni, ministro dell’Inter no,
che prima mena i poliziotti poi li manda a menare i
manifestanti; Bossi, quello delle Riforme,
pregiudicato per mazzette e istigazione a delinquere,
che ormai parla solo col dito medio (il famoso
digitale terrestre); e alcuni “ex ” da tempo
irreperibili, come Brancher, Scajola, Bertolaso,
Cosentino. Poi c’è l’angolo del cabaret: il ministro
Frattini Dry, noto come “il fattorino” nei cablo
dell’ambasciata Usa; il mini-stro Brunetta,
apostrofato “c re t i n o ” dal collega Tremonti mentre il
collega Sacconi assicura “io manco lo sto a sentire”;
la Prestigiacomo – “la matta”, per il collega Romani –
che come la Carfagna e la Gelmini era in perenne
pellegrinaggio al santuario di San Bisi; e la Brambilla,
simpaticamente considerata “la più mignotta di
tutte” dal buongustaio piduista. Più che un governo,
una comunità di recupero. E il problema sarebbe la mancanza di “dialogo ”? Ma andè a ciapà i ratt.


Il fatto, 13 luglio 2011