domenica 1 febbraio 2009

storia sociale dei gatti

Che crudeltà, mondo gatto!
Da creature demoniache nel Medioevo fino al riscatto nell'età vittoriana, gli animali domestici sono stati spesso vittime di soprusi. La studiosa Katharine Rogers cerca le tracce delle loro zampe nelle vicende dell'umanità.

di Elisabetta Rasy

Nel 1965 Varlam Salamov scrisse alla vedova di Osip Man-delstam, Nadezda, una lettera che cominciava così: «Hanno ammazzato il mio gatto Mucha. Con un colpo in testa. Nelle giungle moscovite, apertamente». Salamov aveva riacquistato la libertà nel 1951, dopo i quindici anni passati nel "crematorio bianco" della Kolima, nel nord-est siberiano, condannato all'arcipelago Gulag «per attività controrivoluzionaria trockista». Non ne aveva ricavato durezza d'animo, ma un'accresciuta pietà per le creature viventi. «Gli animali» scriveva ancora nella lettera «fanno indiscutibilmente parte del mondo degli uomini». Poi passava a raccontare all'amica altri particolari sulla perdita di Mucha: che tutta la città era tappezzata di cartelli con un appello del governatore a sterminare i gatti («anche il mio familiare gatto Mucha è diventato per me ragione di lotta contro il potere»), che gli avevano spiegato che i gatti venivano catturati e uccisi nei camion, ma che lui, sperando che il suo gatto fosse al deposito dei randagi, aveva insistito per andarlo a cercare. Dice poi che sarebbe stato meglio non andare in «quella camera a gas moscovita»: «L'inferno degli animali, è la paura». Cani e gatti vi erano rinchiusi in gabbie strettissime: Mucha non c'era, i gatti però erano tutti uguali, assenti. «Più terrificante di tutto: pensavo, costeggiando il corridoio, che urli, gridi, gemiti e guaiti avrebbero accolto la mia entrata nella stanza, per esprimere un'ultima speranza, l'attesa di un miracolo, che tutta l'energia vitale di questi cani e di questi gatti sarebbe stata tesa verso quest'ultimo istante di speranza... Le bestie mi accolsero in un silenzio di morte. Non un pianto, non un latrato, non un miagolio».
Poco più di un anno dopo, però, comincia a muovere le sue zampone vendicatrici un altro gatto russo, Behemot o in altre nostre versioni Ippopotamo, il
gatto del diavolo Woland venuto a comporre la vicenda dolorosa e amorosa del Maestro e Margherita, il romanzo di Bulgakov uscito, dopo un quarto di secolo di clandestinità, mutilo e censurato tra il 1966 e il 1967.
Di tutti - e sono tanti - i gatti della letteratura, Ippopotamo è il mio preferito: «Grosso come un maiale, nero come il carbone o come un corvo, con tremendi baffi da cavalleggero». Ippopotamo è un gatto che sa rispondere al fuoco e non si fa tirare tanto facilmente un colpo in testa. Il gattone della demoniaca corte dei miracoli di Woland è bugiardo, ingordo, sleale, vanitoso, ma sa come usare le sue risorse feline. Sale sul tram con la stessa agilità con cui taglia le teste dei funzionari meschini vili e delatori, è abile nei giochi di prestigio e autorevolmente insolente con le autorità di cui, rovesciandole, mima le sopraffazioni. Porta insomma gli emblemi di una estrema, felice, scatenata e persino paradossale libertà che, non solo negli orrendi anni staliniani,-culla e accarezza la fantasia degli uomini. É prima di uscire di scena ha il grande merito di dare alle fiamme la sede della associazione della Letteratura di Massa, dove di censura in censura gli scrittori non allineati vengono ridotti come i gatti prigionieri di cui
parla Salamov nella sua lettera.
Ora i gatti hanno una loro Storia sociale: l'ha scritta l'americana Katharine M. Rogers, cercando tracce delle loro zampe nelle vicende dell'umanità. La studiosa individua alcuni popoli amanti dei felini domestici, gli arabi, i giapponesi e soprattutto gli egiziani che avevano una divinità gatta, Bastet, mite e feroce nella sua gattesca femminilità. Per quanto riguarda l'Occidente, cioè l'Europa con l'appendice americana, Rogers cerca invece di mettere ordine nella materia felina attraverso alcune schematiche periodizzazioni ed evidenziando alcuni temi simbolici: dal Medioevo superstizioso e feroce dei gatti bruciati come le streghe al Settecento del riscatto fino alle sdolcinatezze dell'età vittoriana, dall'assimilazione al demonio e alla lascivia femminile all'esaltazione delle virtù domestiche, passando per le fiabe e per l'ispirazione accordata a una nutrita schiera di scrittori.
Per quanto dettagliato e interessante, però, il libro della studiosa è pieno di contraddizioni per la semplice ragione che i gatti sono imprevedibili e suscitano sentimenti imprevedibili e singolari. Così, tra l'orrore di gattesche decapitazioni, impiccagioni e squartamenti, spiccano figure d'amore fuori dal tempo e dai costumi, come quella di un monaco irlandese del IX secolo che dedicò al suo gatto Pangur Ban poemi d'ammirazione e d'amicizia, o quella dello scriba egiziano Nebamun che, in una pittura tombale del 1300 circa avanti Cristo, viene raffigurato in una scena di caccia agli uccelli in compagnia della moglie, della figlioletta e del suo gat-tone rosso dalla lunga, sinuosa e svolazzante coda. Per non parlare delle tante Annunciazioni rinascimentali, dove il gatto di casa assiste all'arrivo dell'Angelo, quieto o consapevolmente turbato come il gatto dell'Annunciata di Lorenzo Lotto, che fugge dal quadro per avvisare chi guarda della portata inaudita dell'evento.
Dai miei gatti ho capito che, per via misteriosa, devono essere consapevoli di tanta storia: per esempio odiano le feste, la casa affollata di gesti e voci sconosciute e paventano l'imprevedibilità altrui difendendo strenuamente la propria. Una mattina che, stanca di un lungo viaggio, dormivo ben oltre l'orario consueto del risveglio, il gatto capofamiglia è salito sul letto e con una zampa mi ha aperto delicatamente la palpebra di un occhio. Forse per assicurarsi che stessi bene, forse perché l'ora della colazione era passata da un pezzo.
Katharine M. Rogers, «Storia sociale dei gatti», traduzione di Caterina D'Amico, Bollati Boringhieri, pagg. 204, euro 16,00.