martedì 2 settembre 2008

visioni del lago titicaca

Noi ci siamo stati, tempo fa.....questo racconto rende benissimo l'atmosfera, brava Laura Pariani


Titicaca, il lago della tigre di Laura Pariani
che ha anche un bel sito:
http://www.omegna.net/pariani/start.html

greg
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Sole 24 ore, domenica 10 agosto 2008

Fa freddo a Tiahuanaku, a quattromila metri di altitudi-ne sull'altopiano boliviano. Il tramonto incendia il tempio-osservatorio detto Kalasasaya, con la sua imponente Puèrta del Sol intagliata in un unico ciclopico blocco di andesite verdastra, trasportato qui da centinaia di chilometri di distanza. La luce dell'ultimo sole scivola sulla figura centrale del dio piangente, sulla rappresentazione degli elefanti estinti da millenni, sui due serpenti mitici del tuono e dell'arcobaleno. Si ritrae dal tempio semi-sotterraneo dalle cui mura si affacciano centinaia di teste di pietra. Illumina ancora per un istante la fila estatica dei grandi monoliti neri che rappresentano una folla di giganti e gigantesse dall'espressione severa, in piedi a braccia conserte o seduti: i crani deformati a cono e le orecchie lunghissime assorbono l'ultimo guizzo di luce. Poi l'ombra sale lentamente i sette gradoni dell'enorme piramide di Akapana, fino alla cima dove si apre il pozzo centrale a forma di croce, che alimentava canali interni per portare acqua a ogni livello dell'edificio.
Ecco, il buio è definitivamente calato su questo enigma archeologico; a partire dal nome: Tia, sostantivo che significa margine, e Huanaku, participio passato del verbo disseccare. Margine secco. Il mito dice che Tiahuanaku fu costruita in una sola notte, con enormi pietre trasportate in volo al suono di una tromba: il tutto sarebbe avvenuto, secondo la leggenda, quindici millenni fa e i calcoli recenti sugli allineamenti astronomici delle due porte del tempio di Kalasasaya
indicano sorprendentemente il 10.500 a.C, epoca in cui tra l'altro il lago Titicaca giungeva fin qui. La Suma y Narratión de los Incas di Juan de Betanzos racconta infatti che agli inizi del mondo il Creatore - Apu Kon Titi Wira Gocha - apparve sul lago Titicaca, nel luogo chiamato Tiahuanaku, e fabbricò gli uomini col materiale più abbondante, la pietra. Queste figure scultoree di maschi e femmine vennero collocate dal Creatore nelle Pacarinas - anfratti ombrosi dove il sole non penetra, oppure vene profonde da cui sgorga l'acqua - che sono per la cultura andina i luoghi di comunicazione privilegiata tra il nostro mondo e quello dello spirito. Poi diede a ciascuna statua un nome e, nel momento in cui vennero nominate, le figure di pietra si animarono trasformandosi in uomini e donne di carne e sangue...
Insomma, per la mitologia andina qui sarebbe stato ubicato l'Eden, la culla della vita umana.
Da millenni però il lago si è ritirato da questa parte dell'altipiano e le grandi strade lastricate, i moli e i canali di Tiahuanaku giacciono in completo abbandono nel respiro gelido del vento che spazza il deserto. Opera di distruzione certamente non dovuta solo al cataclisma climatico, ma anche allo zelo religioso dei conquistadores e all'avidità dei predoni archeologici.
A un chilometro, sorge l'odierna Tiahuanaku, un paesino di case di fango. Sul lato orientale della piazza, la chiesa costruita con massi prelevati dal sito archeologico; ai due lati dell'ingresso stanno due grandi figure di pietra nera, sicuramente di identica provenienza. Per il resto, cani randagi e un misero emporio che vende alla rinfusa lubrificanti per auto, gallette e Coca Cola; sopra la porta, un cartello: «Si affittano abiti da sposa»... Dell'Eden non è rimasta memoria.
Perciò eccomi di nuovo in viaggio verso il lago Titicaca, la grande Pacarina, la madre di tutti i laghi. La strada corre a strapiombo sulla scogliera scoscesa. Una fila di lama procede su uno stretto sentiero tra ripidi terrazzamenti Sotto di me il lago blu intenso, di un'estensione inconcepibile per un europeo: sembra un mare ma a quattromila metri di altitudine. Nel piccolo spiazzo dove, affascinata dal paesaggio, mi fermo a scattare fotografie, è posteggiato un camioncino sgangherato. Di lato una donna - trecce lunghe e nerissime sotto la bombetta tradizionale - sta accoccolata nella sua lunga gonna a balze. Ne vedrò tante di persone nello stesso atteggiamento di preghiera -singoli o interi gruppi familiari - impassibili, sul margine degli strapiombi impressionanti che costeggiano il Titicaca. Che in effetti sembra di sentire qualcosa di misterioso che permea di sé l'aria, le rocce, l'acqua, le azioni umane; forse perché sull'orlo di questi precipizi, fra cielo e lago, tra abisso e abisso, il cuore pulsa più forte...
Si prega, accompagnando le invocazioni con l'offerta di coca e tabacco bruciati in una latta vuota a mo' di braciere improvvisato. Con libagioni di birra o di chicha, precedute dal rito della "tinca": introducendo tre dita nel bicchiere da cui si beve e spruzzando gocce della bevanda nelle quattro direzioni dello spazio... Gente salita fin quassù a pregare per un amore, una maternità a lungo desiderata, il proprio corpo malato, il raccolto di fave e patate, i sogni che non si possono confidar e a nessuno.
C'è qualcosa di sacro e primordiale, nei gesti lenti, nell 'aspirazione del fumo, nella cantilena monotona: «Ay con mi lindo tabaquito». ay con la yerba del buen querer... ay con la yerba del sol... ay con la yerba de la luna...».
Ritiro la macchina fotografica, mi rendo conto di essere di troppo: testimone europea di una cultura arcaica distante e dimenticata. Il tempo si è fermato sulle Ande, oppure da noi in Europa il tempo è corso troppo velocemente dietro al benessere?
La barca ci mette un'ora ad arrivare all'Isola del Sole, la più grande delle isole che punteggiano il lago Titicaca. Mi sbarca alla baia di Pilkokaina. Mi aspettavo un paese, ma c'è soltanto una casa di fango con tetto di canne, dove mi offrono patate lesse, formaggio fresco e pesciolini fritti. Poi, mentre alla fine del pranzo bevo un mate di coca, interrogo il capofamiglia, Marcelino, sulle storie del luogo.
Racconta che, quando il Creatore diede vita su questo lago ai primi uomini, non esistevano ancora ne il Sole né la Luna: l'Eden agli albori era buio. E allora come poteva vivere il genere umano? Chiedo, incredula. Vi era una particolare fonte di luce, ribatte Marcelino: quella di Titi, la tigre luminosa che abita sulla cima più alta di quest'isola; è un monte che si chiama TitiKaka, roccia della tigre, nome che successivamente passò a tutto il lago... Una tigre luminosa, sostituto del sole e della luna? Via, Marcelino, le spari grosse... Lui aggrotta le sopracciglia, scuote la testa: un aymara non mente mai; tre leggi soltanto ha il popolo aymara: «Ama sua, ama Uulla, ama kella»; non essere pigro, non essere ladro, non essere, bugiardo. Tre leggj semplici, ridotte all'osso come tutto quello che può riguardare una piccola comunità che vive su un'isola sperduta nel lago più alto del mondo. Lui non dice bugie, continua a ripetere caparbiamente. Domani mi mostrerà la fontana della giovinezza, che sta nella baia di Yumani; e anche quella non sarà menzogna. Prima però, continua, devo vedere la famosa tigre. La troverò stanotte, in cima alla montagna.
Mi rimetto in cammino. Sopra Pilkokaina c'è un sacrario antichissimo dove il felino luminoso veniva venerato: massi giganteschi, porte trapezoidali, sale oscure, monoliti di pietra nera. Rovine misteriose che ricordano Tiahuanaku, quando gli Incas erano ancora un sogno di un futuro lontano...
Il sentiero è stretto e ripido. Pochi chilometri, ma a quasi quattromilatrecento metri la fatica rende le gambe di piombo. Incrocio ogni tanto lama e asini dal pelo lungo, carichi di fave. Donne che filano lungo i muretti a secco. Via via che salgo, l'occhio abbraccia la cerchia di vulcani innevati che si specchiano nel Titicaca, l'Isola della Luna di fronte a me, tutta blu nell'immensità rosata del lago al tramonto. Un silenzio sereno in cui l'anima si espande.
È notte fonda quando scopro che Marcelino non ha mentito. Si gela nella camera in cui mi hanno ospitato, che quassù mancano corrente elettrica e riscaldamento. Esco da sotto le coperte battendo i denti, ma è troppa la curiosità: sono le due di una notte senza luna eppure la stanza è piena di luce. Mi avvicino alla finestra, sbalordita Sopra la cima del monte brillano le sette stelle della costellazione del Puma, Choq'e Chinchay. Ed è tale la luce che emanano - la sento entrare nelle ossa, fluire nel cervello - che non ho bisogno della torcia per vedere con chiarezza i minimi particolari di ciò che ho intorno. Marcelino ha ragione: l'Adamo e l'Eva nati sul Titicaca potevano fare a meno del sole e della luna.