martedì 2 settembre 2008

la sicurezza non è una fiction

La Repubblica 30 agosto 2008

Ma la sicurezza non è una fiction
Giovanni Valentini - La Repubblica

Nessuno poteva francamente aspettarsi né tantomeno pretendere che l´impiego dei militari in difesa dell´ordine pubblico nelle nostre città, a fianco degli agenti di polizia e dei carabinieri, risolvesse di colpo i problemi della sicurezza.

E in tutta sincerità, come avrebbe sentenziato il mitico Catalano nei surreali e divertenti talk-show di Renzo Arbore, meglio vedere tre uomini armati e in divisa che passeggiano per strada piuttosto che non vederne affatto. Almeno, per il cittadino che non ha nulla da nascondere o da temere.

Ma l´escalation di violenza degli ultimi giorni, con la successione impressionante di stupri a danno di malcapitate turiste straniere e con il culmine dell´aggressione o addirittura del raid contro i poveri frati del Canavese, rompe brutalmente l´incantesimo mediatico della sicurezza catodica. Quella, per intenderci, indotta dalla messinscena governativa, alimentata e avallata dalla grancassa compiacente della tv, pubblica e privata. Non aveva torto Famiglia Cristiana a scrivere nelle settimane scorse che il nostro è ormai "un Paese da marciapiede", presidiato appunto dai militari e nel contempo infestato dalla prostituzione peripatetica.

La sicurezza però non è una fiction. Non può essere ridotta a una rappresentazione propagandistica; a una parata o a uno spettacolo nazional-popolare. Se è diventata uno dei temi centrali dell´ultima campagna elettorale, o magari proprio quello decisivo, qualcuno dovrà pur domandarsi come fa poi il ministro dell´Interno, Roberto Maroni, ad annunciare nella sua conferenza-stampa di Ferragosto che nell´ultimo anno - a cavallo di due legislature - i reati in Italia sono diminuiti del dieci per cento. E se la spiegazione è che nel frattempo s´è esaurito l´effetto dell´indulto, cioè che molti ex detenuti sono tornati in carcere, allora bisognerebbe avere l´onestà di chiarire che l´emergenza sicurezza era stata provocata da questo fattore contingente, in base a una scelta condivisa peraltro anche da una cospicua parte del centrodestra.

In un dibattito estivo a Cortina, nel ciclo organizzato da Enrico e Iole Cisnetto, a giusta ragione Eugenio Scalfari ha osservato che una tale "manipolazione mediatica" meriterebbe di essere studiata nei master di comunicazione delle università italiane. E in effetti, a proposito di dipendenza dai mass media, la teoria dei mezzi di comunicazione di massa insegna che questa può essere cognitiva, di orientamento e di svago. Nel nostro caso, evidentemente, la dipendenza di una gran parte degli italiani dalla tv corrisponde a tutte e tre le categorie: informazione, opinione e intrattenimento.

A livello collettivo, la sicurezza è certamente un elemento psicologico, non solo un dato reale o statistico. Ma quanto influiscono i telegiornali su questa percezione? E quanta responsabilità ha la tv nella diffusione della violenza, soprattutto attraverso certi film e telefilm, innescando un meccanismo inconscio di assuefazione ed emulazione? Quanti episodi di cronaca nera finiscono per assomigliare terribilmente a scene già viste sul piccolo o grande schermo?

Ecco, questa continua sovrapposizione fra dimensione reale e proiezione virtuale è verosimilmente all´origine della sensazione d´insicurezza che pervade larghi strati di popolazione. La televisione come strumento della politica e la politica come effetto della televisione. Ma bisogna stare attenti a parlare in pubblico di "questione televisiva", di concentrazione o conflitto d´interessi: in alcuni casi, si può rischiare il linciaggio. È una sorta di sindrome di Stoccolma - o forse bisognerebbe dire di Arcore - per cui i teledipendenti non si accorgono neppure più della propria condizione e, anzi, difendono e amano i custodi della loro prigione catodica.

Le vestali del berlusconismo si strappano le vesti quando si affrontano questi argomenti. E spesso attribuiscono polemicamente agli interlocutori tesi di comodo, come quella che Berlusconi usa le televisioni per fare politica oppure che ha vinto le elezioni perché controlla la tv. A parte il fatto che ormai le elezioni le ha vinte tre volte nell´arco di quindici anni, e ha diritto perciò a un riconoscimento politico come si diceva ai tempi bui del terrorismo, in realtà nessuno è tanto ingenuo o sprovveduto da sostenere tesi così semplicistiche. Ma da qui a insinuare che la televisione non influisce più di tanto sull´opinione comune o a negare un controllo diretto e indiretto da parte del governo in carica, ce ne corre.

La verità è che la sicurezza non è né di destra né di sinistra. E quest´ultima - almeno nella sua versione riformista - farebbe bene a preoccuparsene sia quando è al governo sia quando è all´opposizione, senza sottovalutare l´aspetto psicologico del fenomeno, mentre non si può negare che in passato l´abbia considerato a lungo un tabù o addirittura uno strumento repressivo. La sensazione d´insicurezza diffusa merita in ogni caso di essere compresa, corrisposta e tutelata, prima sul campo o sul territorio e poi magari anche sul piano mediatico della comunicazione.

Quello che occorre garantire, innanzitutto, è la certezza della pena: e cioè il timore effettivo della sanzione. Vale come minaccia e ancor prima come deterrente. Troppi delinquenti in Italia escono troppo presto dal carcere o comunque non scontano interamente la pena. La sicurezza comincia dalla giustizia, dal rispetto e dall´applicazione rigorosa della legge.
Altrimenti, non basterà schierare in strada tutte le forze armate e tutte le forze di polizia per contrastare la criminalità, la violenza, il progressivo imbarbarimento della società.