CAPITALISMO ARTISTA
PARIGI «Oggi, il vettore
dell'estetizzazione del mondo non è più l'arte, ma il consumo».
Per Gilles Lipovetsky, il trionfo del «capitalismo artista», che ha
fatto dell'estetica uno strumento essenziale della propria
espansione, sta trasformando radicalmente la società e la percezione
stessa dell'arte. Per descrivere e analizzare questo fenomeno che
ogni giorno interagisce con le nostre vite, il celebre sociologo
francese ha scritto, insieme a Jean Serroy, un vasto saggio
intitolato L'esthétisation du monde (Gallimard, pagg. 490, 23,50
euro), nel quale sottolinea il carattere ambivalente e
contraddittorio di questa ennesima metamorfosi del capitalismo,
difendendone però la forza innovativa. Per lui infatti il
capitalismo artista diffonde una crescente attenzione allo stile e
alla bellezza, facendo appello al gusto e alla sensibilità degli
individui. All' homo oeconomicus si è affiancato così l' homo
aestheticus.
«Il capitalismo artista è arrivato a
maturità, portando a termine una storia cominciata fin dalla metà
del XIX secolo», spiega lo studioso, già autore di molti saggi, tra
cui L'era del vuoto, Una felicità paradossale e La cultura-mondo.
«L'industria del consumo ha ormai incorporano in maniera sistematica
il parametro dell'estetica. È un fenomeno totale. Nessun oggetto
sfugge a tale modello, perfino i più banali. Questo capitalismo di
seduzione contribuisce a rendere più sensibile all'estetica tutta la
società. E la sua dimensione più creativa ed edonistica coesiste -
non senza contraddizioni e conflitti- con la tradizionale dimensione
razionale e contabile del capitalismo. La lettura marxiana di un
capitalismo unicamente rivolto al profitto e capace solo di sfigurare
il mondo va secondo me aggiornata». Nel mondo dei consumi l'estetica
è comunque al servizio del profitto. Non è in contraddizione con
una visione disinteressata dell'arte? «Noi, in effetti, siamo ancora
sensibili a una dimensione disinteressata, pura e romantica
dell'arte. Nel capitalismo artista accade esattamente il
contrario. L'economia e l'estetica danno luogo a un sistema
trans-estetico al cui centro, più che la ricerca della bellezza,
agisce la ricerca di sensazioni. Il capitalismo artista
s'interessa certo alle forme, ma soprattutto cerca di produrre
emozioni. Indifferente al sublime, non mira alla verità dell'arte né
tanto meno sogna opere immortali ed eterne. La sua è un'estetica in
continua trasformazione». Questa massiccia presenza estetica nel
mercato di consumo quali conseguenze ha prodotto nel mondo dell'arte?
«La cultura del denaro e del successo ha evidentemente influenzato
un mondo artistico dove ormai è venuta del tutto meno la
tradizionale opposizione tra arte e mercato. Ma va detto che il
capitalismo ha solo accompagnato un'evoluzione già in corso
autonomamente all'interno del mondo artistico. Se infatti, ai tempi
di Baudelaire, l'artista vive per l'arte e non per il denaro,
difendendo una visione romantica della sensibilità artistica, già
ai tempi delle avanguardie novecentesche l'arte si è allontanata
dall'estetica tradizionale, disinteressandosi del bello.
L'arte è diventata un'esperienza.
Con Warhol, l'artista rinuncia alla bohème e si trasforma in un
imprenditore che fa affari e per il quale gli affari sono arte.
L'arte è diventata così un settore del mercato.
Questa evoluzione è avvenuta
parallelamente all'esplosione della società dei consumi, che
evidentemente l'ha accentuata e accelerata».
Per alcuni critici la dimensione
estetica dei prodotti di consumo sarebbe solo una vasta opera
illusionistica. Che ne pensa? «È vero che, come diceva Raymond
Loewy tra le due guerre, il brutto si vende male. I prodotti di
consumo usano quindi l'estetica della seduzione per imporsi sul
mercato. Ma il capitalismo artista non produce solo illusioni. In
realtà, contribuisce a cambiare il mondo e soprattutto le persone.
Il capitalismo artista ha cambiato le nostre aspirazioni, il nostro
sguardo sulla realtà e i nostri comportamenti. Ci ha trasformato
interiormente, facendo di noi dei consumatori estetici. Una volta
la bellezza era un'esperienza riservata ai ricchi. Oggi tutti
possiedono un senso estetico e desiderano una relazione estetica con
la realtà. La fruizione artistica si è democratizzata, dando luogo
a un edonismo diffuso». Non è una visione troppo ottimistica? «So
bene che alcune forme d'arte continuano a essere appannaggio di un
pubblico privilegiato. L'opera lirica si rivolge ancora a poche
persone ed è vero che l'arte contemporanea ha successo solo quando è
molto semplice, come ad esempio quella di Jeff Koons. Va però
riconosciuto che altre forme d'arte sono ormai molto diffuse, penso
al cinema, alla musica, alla street art. Da questo punto di vista la
democratizzazione dell'arte è una realtà indiscutibile. Ognuno fa
le proprie esperienze estetiche, anche minori. E in ciascuno vive un
piccolo desiderio artistico. Ascoltare Vivaldi non è certo la stessa
cosa che ascoltare Withney Houston, ma l'emozione estetica può
essere la stessa. Sul piano delle ricezione non è c'è gerarchia.
L'esperienza estetica può essere intensa e sconvolgente sia con
un'opera raffinata che con un'opera molto popolare. Certo, non tutti
leggeranno l'Iliade, ma ciò che conta è la progressiva diffusione
delle esperienze estetiche».
Lei però nel libro sottolinea anche i
limiti di questa evoluzione...
«In effetti, nonostante la presenza
diffusa dell'estetica nel capitalismo, il mondo non è diventato più
bello e la gente non è più felice. La crescente diffusione del
sentimento estetico ci rende tutti più esigenti e quindi più
critici. Siamo diventati feroci, dei veri e propri terroristi del
giudizio critico nei confronti degli altri. Tutto ciò evidentemente
produce angoscia negli individui. Un altro fallimento del capitalismo
artista è evidente sul piano urbanistico. Le città fatte di enormi
periferie sono dei non luoghi senz'anima e senza estetica. Procurano
un sentimento di monotonia e di uniformità terrificante, che è
esattamente il contrario dell'investimento estetico dominante.
Insomma, il capitalismo artista, per ora, non ha saputo trasformare
il paesaggio urbano.
Secondo me però l'architettura sarà
l'arte dominante del XXI secolo». Quale sarà l'evoluzione futura
del capitalismo artista? «Dopo l'ibridazione tra estetica e
economia, razionale e irrazionale, calcolo e emozioni, in futuro
si aggiungerà una nuova ibridazione con l'ecologia. Il capitalismo
dovrà fare i conti con il paradigma ecologico, che finora è sempre
stato del tutto estraneo alle preoccupazioni dell'estetica. Da
questo punto di vista, il movimento nato attorno a slow food è
l'espressione dell'emergere di un desiderio estetico differente,
capace di preoccuparsi della salvaguardia del pianeta. Un desiderio
che in nome della qualità si contrappone alla velocità della
mondializzazione che esige profitti immediati».
Pensa che i giovani siano attrezzati
per orientarsi nella nuova selva culturale del capitalismo artista?
«Oggi la vita estetica occupa uno spazio considerevole nella vita di
tutti. Per evitare che le regole estetiche siano solo quelle dettate
dal mercato, dobbiamo aiutare i giovani ad allargare i loro orizzonti
d'esperienza. Non dobbiamo dire loro ciò che devono amare - perché
i gusti non si decretano - ma dobbiamo aiutarli a scoprire la varietà
dell'offerta culturale, dando loro gli strumenti per orientarsi. La
scuola deve inventare una nuova educazione artistica. È una sfida
capitale perché la vita estetica è ormai diventata un ideale
diffuso».
FABIO GAMBARO
Repubblica, 22 agosto 2013