Vito Mancuso 19 maggio 2014
Chissà come risponderà il Papa alla
lettera indirizzatagli da 26 donne che (così si sono presentate)
«stanno vivendo, hanno vissuto o vorrebbero vivere una relazione
d’amore con un sacerdote di cui sono innamorate». Ignorarla non è
da lui, telefonare a ogni singola firmataria è troppo macchinoso,
penso non abbia altra strada che stendere a sua volta uno scritto.
Avremo così la prima epistula de coelibato presbyterorum indirizzata
da un Papa a figure che fino a poco fa nella Chiesa venivano
chiamate, senza molti eufemismi, concubine…
Dai frammenti della lettera riportati
sulla stampa risulta che le autrici hanno voluto presentare la
«devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un
prete la forte esperienza dell’innamoramento». Il loro obiettivo,
scrivono al Papa, è stato «porre con umiltà ai tuoi piedi la
nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi,
ma per il bene di tutta la Chiesa». Ecco la posta in gioco, il bene
della Chiesa. L’attuale legge ecclesiastica che lega
obbligatoriamente il sacerdozio al celibato favorisce il bene della
Chiesa? Guardando ai due millenni del cattolicesimo, ritroviamo che
nel primo il celibato dei preti non era obbligatorio («fino al 1100
c’era chi lo sceglieva e chi no», così scriveva il cardinale
Bergoglio).
Mentre lo divenne nel secondo in base a
due motivi: 1) la progressiva valutazione negativa della sessualità,
il cui esercizio era ritenuto indegno per i ministri del sacro; 2) la
possibilità per le gerarchie di controllare meglio uomini privi di
famiglia e di conseguenti complicate questioni ereditarie. Così il
prete cattolico del secondo millennio divenne sempre più simile al
monaco. Si tratta però di due identità del tutto diverse. Un conto
è il monaco il cui voto di castità è costitutivo del codice
genetico perché vuole vivere solo a solo con Dio (come dice già il
termine monaco, dal greco mònos, solo, solitario); un conto è il
ministro della Chiesa che determina la sua vita nel servizio alla
comunità. Il prete (diminutivo di presbitero, cioè “più
anziano”) esiste in funzione della comunità, di cui è chiamato a
essere “il più anziano”, cioè colui che la guida in quanto
dotato di maggiore saggezza ed esperienza di vita. Ora la questione
è: la celibatizzazione forzata favorisce tale saggezza e tale
esperienza? Quando i preti celibi parlano della famiglia, del sesso,
dei figli e di tutti gli altri problemi della vita affettiva, di
quale esperienza dispongono?
Rispondo in base alla mia esperienza:
alcuni sacerdoti dispongono di moltissima esperienza, perché il
celibato consente loro la conoscenza di molte famiglie, altri di
pochissima o nulla, perché il celibato li fa chiudere alle relazioni
in una vita solitaria e fredda. Ne viene che il celibato ha valore
positivo per alcuni, negativo per altri, e quindi deve essere
lasciato, come nel primo millennio, alla libera scelta della
coscienza.
Vi è poi da sottolineare che la
qualità della vita spirituale non per tutti dipende dall’astinenza
sessuale e meno che mai dall’essere privo di famiglia, basti
pensare che quasi tutti gli apostoli erano sposati e che il Nuovo
Testamento prevede esplicitamente il matrimonio dei presbiteri (cf.
Tito 1,6). Se poi guardiamo alla nostra epoca, vediamo che veri e
propri giganti della fede come Pavel Florenskij, Sergej Bulgakov,
Karl Barth, Paul Tillich erano sposati.
Se i nazisti non l’avessero
impiccato, anche Dietrich Bonhoeffer si sarebbe sposato, ed Etty
Hillesum, una delle più radiose figure della mistica femminile
contemporanea, ebbe una vita sessuale molto intensa. Anche Raimon
Panikkar, sacerdote cattolico, tra i più grandi teologi del ‘900,
si sposò civilmente senza che mai la Chiesa gli abbia tolto la
funzione sacerdotale.“Non è bene che l’uomo sia solo”,
dichiara Genesi 2,18. Gesù però parla di “eunuchi che si sono
resi tali per il regno dei cieli”( Matteo 19,12). La bimillenaria
esperienza della Chiesa cattolica si è svolta tra queste due
affermazioni bibliche, privilegiando per i preti ora l’una ora
l’altra. Penso però che nessuno possa sostenere che il primo
millennio cristiano privo di celibato obbligatorio sia stato
inferiore rispetto al secondo.
Oggi, a terzo millennio iniziato, penso
sia giunto il momento di integrare le esperienze dei due millenni
precedenti e di far sì che quei preti che vivono storie d’amore
clandestine (che sono molto più di 26) possano avere la possibilità
di uscire alla luce del sole continuando a servire le comunità
ecclesiali a cui hanno legato la vita. La loro “anzianità” non
ne potrà che trarre beneficio. Vi sono poi le molte migliaia di
preti che hanno lasciato il ministero per amore di una donna (ma che
rimangono preti per tutta la vita, perché il sacramento è
indelebile) e che potrebbero tornare a dedicare la vita alla missione
presbiterale, segnati da tanta, sofferta, anzianità.
Vito Mancuso, la Repubblica 19 maggio
2014