martedì 2 aprile 2013

Se un film sorpassa i partiti

Daniele Lucchetti - domenica del sole 24 ore 17 marzo 2013


Quando ho visto ad urne oramai chiuse «Viva l'Italia», il bel film di Roberto Andò, mi sono detto: dentro questo film c'era l'intuizione che avrebbe segnalato alla sinistra dove è stato l'errore.
Nel film si racconta di un partito immaginario (che ovviamente è il PD) che ha spezzato il legame tra l'elettorato e i dirigenti del partito. Il film racconta come il ricorso a parole semplici e potenti sia stato colpevolmente abbandonato da quel partito. Una parola risolleva quel partito immaginario, ed è «passione». Avrebbe potuto anche essere «democrazia», «libertà», «uguaglianza», «solidarietà», per non parlare di «rivoluzione», o «ricerca della felicità». Non è difficile immaginarne altre, potenti e condivise, emozionanti, calde. Le parole che hanno tenuto assieme milioni di italiani per decenni. Mentre il PD tentava di nascondere il suo grigiore con qualche battuta poco efficace, ad un comico era stata lasciata la parola «rivoluzione».
Qualcuno se ne era accorto, e questo film lo dimostra.
Certo, «dopo» è facile dire dove si è sbagliato, e voglio evitarlo. È anche facile attribuire solo al tono della comunicazione le ragioni della sconfitta, perché sarebbe una banalizzazione del problema. Però la vicenda di questo film è davvero singolare e fa riflettere.
Andò, con questa storia (che prima è stata un romanzo), ha avuto una intuizione artistica attraverso la quale è riuscito a dire della realtà molto più di un corsivo politico. Attraverso il «farsi antenna», o «sciamano», se vogliamo usare una parola più evocativa, ha catturato un umore latente nel Paese, lo ha trasformato in efficace narrazione e l'ha messa a disposizione del pubblico.
A volte gli artisti hanno avuto intuizioni che anticipavano la Storia e cercavano di metterci in guardia dai suoi rischi. Chi ricorda l'apologo di Ginger e Fred, dove Fellini metteva profeticamente in guardia il Paese dall'avvento del Cavalier Fulvio Lombardon? Profezie che avrebbero potuto cambiare la Storia di un Paese, qualora ascoltate, o perlomeno aprire discussioni, confronti, strategie.
Forse però è solo nella solitudine del narratore che certe intuizioni possono nascere. È proprio il suo essere fuori da tabelle, statistiche, ragionamenti o partiti, che gli consente di intuire, ancor prima di capire.
Uno strumento prezioso, una finestra sull'inconscio collettivo spesso più preziosa di un sondaggio, spesso inascoltata, spesso trascurata. Eppure quando accade è un miracolo da valutare con attenzione.
Sto parlando anche della oramai cronica separazione tra artisti, intellettuali e narratori e classe politica. Usati di tanto in tanto nelle manifestazioni per cantare una canzone o per firmare un appello, gli artisti sono stati fedeli alla sinistra come un amante ottuso, che ama incondizionatamente nonostante ogni passione comune sia ormai solo data per scontata. Eppure appare oramai chiaro come l'assenza di questo rapporto abbia impoverito il dibattito, privandolo della sua dimensione intuitiva e spiega come mai la sinistra abbia perso anche la sua anima creativa, immaginifica, utopista. Questo risultato elettorale non porterà alla rivoluzione, ma più probabilmente ad un rave analcolico. E il PD forse non parla più di passione e rivoluzione perché ha smesso semplicemente di crederci. Però di qualcosa ho nostalgia, ed è dell'impegno di una società che partecipa nel suo complesso alla politica non solo perché schiacciata dal problema della sopravvivenza, ma anche perché in grado di immaginare, inventare, intuire, ascoltare se stessa. Una società che una volta avviata la soluzione del problema del lavoro possa anche immaginare come essere più felice non ascoltando solo le leggi dell'economia.
Ho nostalgia di un Paese tanto creativo quanto serio, che non obbedisca solo alle ragioni dell' amministrazione, ma anche a quelle dell'immaginazione. L'Italia ha dimostrato spesso come la sua parte migliore sia rappresentata dalla sua possibilità di generare cultura, narrazione, arte, architettura, ricerca. Sarebbe bello che tutto ciò venisse considerato la ricchezza fondante del nostro Paese, perché crea identità, e perché è di questa materia prima che siamo fatti da molti secoli.