domenica 1 aprile 2012

Il governo Monti e la democrazia


Umberti Galimberti, La Repubblica delle donne, sabato 31 marzo 2012 

Ci sono delle parole, come avvertiva Nietzsche, che, a furia di usarle, la­sciano intendere che la realtà a cui si riferiscono esista. Una di queste è la parola «democrazia» la cui attuazione forse non è mai esistita. Non in Grecia dove la parola fu coniata, non nell'Im­pero romano, tanto meno nei mille an­ni di Medioevo, non parliamo delle Si­gnorie e dei Principati, e via via prose­guendo nell'Ottocento e nel Novecento che ha assistito a fascismi, nazismi e due guerre mondiali. E questo solo per limitarci all'Occidente, senza sporgere lo sguardo sul resto del mondo dove è difficile reperire forme democratiche di convivenza.

Non riduciamo poi la democrazia alla possibilità di voto, perché, come spes­so ribadisce Giovanni Sartori, questa è solo una modalità tra le tante di eleg­gere i capi. La democrazia è ben altro. Dobbiamo allora concludere, utilizzan­do una formulazione di Kant, che la democrazia è un'«idea regolativa» ver­so cui dobbiamo tendere, per quanto faticoso sia il percorso per giungervi. Lo stesso Platone non credeva alla de­mocrazia, che significa «governo del popolo», se poi il popolo veniva per­suaso da quegli affabulatori che erano i retori e i sofisti che, con la loro retori­ca e i loro sofismi, con falsi sillogismi e con la mozione degli affetti, ottenevano il consenso.
Oggi la retorica ha il suo strumento po­tentissimo nei media. E l'arte della per­suasione, e non un corretto esame del­la realtà, ha affascinato e sedotto per anni molti italiani, finche è giunta la re­sa dei conti che ha determinato il di­scredito della politica.
Ora, con Mario Monti, abbiamo un "governo tecnico" che non è "tecnico" perché né lui, né ì suoi ministri sono stati eletti, come spesso si sente dire, lo penso che il provvidenziale governo Monti sia "politico", non solo perché non c'è una sua decisione che non sia approvata dal parlamento (che essen­do da noi composto da nominati e non da eletti, questo si potremmo definire non democratico), ma perché, com'era nell'ideale dei Platone, cerca di pensa­re al «bene comune» del Paese e non agli interessi di parte. L'unica ragione per cui lo possiamo definire «tecnico», e non è una ragione da poco, è che, dopo l'esperienza ber-lusconiana Monti ha dovuto scegliere come orizzonte di riferimento, a partire dal quale prendere i suoi provvedi­menti, la "razionalità tecnica dei mer­cati", capovolgendo l'ideale platonico che subordinava la tecnica alla politi­ca, perché la tecnica sa "come" le co­se si devono fare, ma spetta alla politi­ca stabilire "se e per quale ragione" si devono fare.
La colpa di questa scelta tecnica non è di Monti, ma della nostra cultura euro­pea e americana che ha scelto la ra­zionalità economica come unico riferi­mento per organizzare una società, an­che se la razionalità economica com­prime il mondo della vita e, per molti strati sociali, addirittura la sacrifica, in nome dell'efficienza e della produttività che sono gli unici valori riconosciuti dalla tecnica. Per cui, come osserva Heidegger, siamo diventati tutti «im piegati», piegati alla razionalità tecnica che abbiamo eletto a forma organizza­tiva della nostra società. Questo è il ve­ro problema.