Umberti Galimberti, La Repubblica delle donne, sabato 31 marzo 2012
Ci sono delle parole, come
avvertiva Nietzsche, che, a furia di usarle, lasciano intendere
che la realtà a cui si riferiscono esista. Una di queste è la
parola «democrazia» la cui attuazione forse non è mai esistita.
Non in Grecia dove la parola fu coniata, non nell'Impero romano,
tanto meno nei mille anni di Medioevo, non parliamo delle
Signorie e dei Principati, e via via proseguendo
nell'Ottocento e nel Novecento che ha assistito a fascismi, nazismi e
due guerre mondiali. E questo solo per limitarci all'Occidente, senza
sporgere lo sguardo sul resto del mondo dove è difficile reperire
forme democratiche di convivenza.
Non riduciamo poi la
democrazia alla possibilità di voto, perché, come spesso
ribadisce Giovanni Sartori, questa è solo una modalità tra le tante
di eleggere i capi. La democrazia è ben altro. Dobbiamo allora
concludere, utilizzando una formulazione di Kant, che la
democrazia è un'«idea regolativa» verso cui dobbiamo tendere,
per quanto faticoso sia il percorso per giungervi. Lo stesso Platone
non credeva alla democrazia, che significa «governo del
popolo», se poi il popolo veniva persuaso da quegli
affabulatori che erano i retori e i sofisti che, con la loro
retorica e i loro sofismi, con falsi sillogismi e con la mozione
degli affetti, ottenevano il consenso.
Oggi la retorica ha il suo
strumento potentissimo nei media. E l'arte della persuasione,
e non un corretto esame della realtà, ha affascinato e sedotto
per anni molti italiani, finche è giunta la resa dei conti che
ha determinato il discredito della politica.
Ora, con Mario Monti,
abbiamo un "governo tecnico" che non è "tecnico"
perché né lui, né ì suoi ministri sono stati eletti, come spesso
si sente dire, lo penso che il provvidenziale governo Monti sia
"politico", non solo perché non c'è una sua decisione che
non sia approvata dal parlamento (che essendo da noi composto da
nominati e non da eletti, questo si potremmo definire non
democratico), ma perché, com'era nell'ideale dei Platone, cerca di
pensare al «bene comune» del Paese e non agli interessi di
parte. L'unica ragione per cui lo possiamo definire «tecnico», e
non è una ragione da poco, è che, dopo l'esperienza ber-lusconiana
Monti ha dovuto scegliere come orizzonte di riferimento, a partire
dal quale prendere i suoi provvedimenti, la "razionalità
tecnica dei mercati", capovolgendo l'ideale platonico che
subordinava la tecnica alla politica, perché la tecnica sa
"come" le cose si devono fare, ma spetta alla
politica stabilire "se e per quale ragione" si devono
fare.
La colpa di questa scelta
tecnica non è di Monti, ma della nostra cultura europea e
americana che ha scelto la razionalità economica come unico
riferimento per organizzare una società, anche se la
razionalità economica comprime il mondo della vita e, per molti
strati sociali, addirittura la sacrifica, in nome dell'efficienza e
della produttività che sono gli unici valori riconosciuti dalla
tecnica. Per cui, come osserva Heidegger, siamo diventati tutti «im
piegati», piegati alla razionalità tecnica che abbiamo eletto a
forma organizzativa della nostra società. Questo è il vero
problema.