lunedì 2 aprile 2012

Esodati: quale soluzione?


Visti i deliri sull'argomento anche da parte di "illustri" sottosegretari in libera uscita, cerco di fare il punto con una proposta di soluzione.

I lavoratori “esodati” sono di due tipi:
a) derivanti da accordi collettivi.
Si tratta in gran parte di lavoratori delle banche, che in base ad un accordo del 2000 sono “accompagnati” alla pensione tramite un fondo pagato da banche e lavoratori. Hanno dato le dimissioni, e ricevono dal Fondo, tramite l'INPS, un assegno fisso non rivalutabile pari ad una percentuale della pensione. Questo assegno è pagato dal fondo (cioè dalle banche) e non dell'INPS.
Questi lavoratori , pena la perdita dell'assegno, NON possono svolgere altra attività. I sindacati e le banche hanno già fatto accordi che intervengono nel caso di modifiche legislative, ma comunque il numero dei lavoratori eventalmente scoperti è esiguo, e le banche se ne potrebbero fare comunque carico.
b) i lavoratori che si sono dimessi in base ad accordi individuali.
Si tratta di lavoratori delle Poste e altre aziende grandi e piccole che hanno concordato con il datore di lavoro un importo che avrebbe permesso loro di mantenersi fino alla data di pensionamento, compresi i contributi. Ad esempio, un lavoratore che nel 2010 prevedeva di andare in pensione nel 2014 avrebbe potuto ricevere dall'azienda, a fronte delle dimissioni, subito un importo di circa 150.000 euro, oltre al TFR.
A differenza dell'esodato bancario, per lui di solito non ci sono vincoli e quindi potrebbe svolgere altri lavori nel frattempo.
Se il lavoratore in questione, con la riforma Fornero, si trovasse nella condizione di dover andare in pensione nel 2017 invece che nel 2014, sarebbe costretto a pagare i contributi fino al 2017, e inoltre dovrebbe avere risorse economiche sufficienti anche per mantenersi fino al 2017.
Sarebbe molto difficile che il lavoratore venisse reintegrato in azienda, in quanto l'azienda stessa nel frattempo potrebbe essere scomparsa, oppure profondamente ristrutturata proprio grazie alle procedure di esodo.
Inoltre, lo stesso lavoratore potrebbe avere impiegato parte di quanto ha ricevuto, ad esempio acquistando immobili per sé o per familiari e quindi non avere risorse sufficienti per mantenersi oltre la data del presunto pensionamento.
Si tenga presente che questo lavoratore nel 2017 andrà in pensione molto probabilmente con il vecchio sistema retributivo.
A questo punto, dato che qualsiasi soluzione non dovrà pesare sulle casse dello stato, e che l'esigenza del lavoratore è avere un reddito, la soluzione più equa a mio parere è dare al lavoratore l'opzione di poter scegliere di calcolare la pensione con il metodo contributivo.
In pratica:
  1. se il lavoratore dell'esempio volesse ricevere la pensione nel 2014 invece del 2017, opterebbe per il calcolo con il sistema contributivo invece del retributivo. L'importo dell'assegno sarebbe probabilmente inferiore, ma almeno avrebbe la pensione subito, senza gravare sulle finanze dell'INPS.
  2. Se il lavoratore invece vuole mantenere il sistema di calcolo retributivo, aspetta il 2017, versando i contributi e si mantiene come può.

Del resto, questa soluzione sarebbe stata la più semplice per TUTTA la riforma, visto che il passaggio di tutti a contributivo è stato fatto digerire a tutti senza grandi problemi. Quello che mi stupisce è come una “tecnica” come la Fornero abbia partorito una riforma pasticciata, quando la cosa più semplice sarebbe stata quella di dire:
  • tutti coloro che sono a regime misto passano a regime contributivo con le nuove regole e possono andare in pensione solo dopo i 60 anni.
  • tutti quelli che sono a regime retributivo, che hanno i requisiti per la pensione (con i vecchi criteri) e che vogliono andare in pensione prima dei 60 anni sappiano che la loro pensione verrà calcolata con il sistema contributivo.

    Ho messo 60 anni perchè con il sistema contributivo l'assegno della pensione è calcolato in base ai contributi versati, e ognuno può fare i propri conti relativamente alla convenienza o meno di andare in pensione, senza gravare sui conti pubblici.
    I 60 anni eliminano anche tutte le varie discussioni sui lavori usuranti di vario tipo.
    Un sessantenne in pensione non toglie lavoro ai giovani, anzi. 
Evidentemente questa soluzione era troppo facile.....per i tecnici del Ministero pagati centinaia di migliaia di euro e i loro consulenti......