mercoledì 24 dicembre 2014

Natale - La recente invenzione dei regali

E...buone feste e felice anno nuovo a tutti quelli che seguono questo non-blog!
Giorgio Gregori

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La  recente invenzione dei regali
Gianfranco Ravasi

sole 24 ore 21 dicembre 2014

So che, scrivendo questa recensione, sto compiendo un atto autolesionistico. Ma devo essere sincero, ricevendo i regali di Natale, l'unica preoccupazione che ho è quella di non smarrire o confondere i cartoncini d'auguri col nome del donatore per la corretta calibratura del ringraziamento. Il dono natalizio è, comunque, un cerimoniale che permane anche in un'epoca così secolarizzata. Sulla sua ritualità si sono sprecate le più esilaranti ironie, a partire dal riciclaggio mal riuscito (il biglietto del primo donatore dimenticato nell'involucro) e dalla reiterazione (un anno a Natale mi furono regalate otto copie dello stesso libro d'arte). Ebbene, in tempi di iperspecializzazione, c'è anche chi, come la socio-etnologa francese Martyne Perrot, si è consacrata al fenomeno "natalizio" in tutte le sue caratteristiche di antropologia culturale, escludendo però la matrice originaria autentica, quella neotestamentaria, che è pur sempre la radice di questa tradizione.
Così, ha scritto un'indagine sull'Etnologia del Natale, tradotta in italiano da Elèuthera nel 2012, si è dedicata alle Idées reçues sur Noël (2002), ha scavato Sous les images, Noël (2002), si è interrogata se mai Faut-il croire au Père Noël? (2010) e ora si consacra alla storia dell'invenzione ottocentesca del Regalo di Natale. Devo riconoscere che quest'ultimo mini-saggio è gustoso. Dall'alto delle tesi sul dono di Marcel Mauss o dalla sempre emozionante Christmas Carol di Dickens ci fa insensibilmente scivolare fino ai cataloghi pubblicitari e alle ultime leggi dello shopping natalizio da celebrare nei nuovi templi della domenica che sono i centri commerciali. Là, tra l'altro, si ha la conferma sperimentale di quanto scriveva Eric Fromm già nel 1956 nella sua indimenticata Arte di amare: «La felicità dell'uomo moderno: guardare le vetrine e comprare tutto quello che è possibile in contanti o a rate».
Proprio per questo la Perrot ha un capitolo dedicato anche al "Natale in vetrina", i cui primi modelli – con tanto di neve artificiale, stelline baluginanti, bambini vezzosi e le renne di Santa Claus – appaiono negli Stati Uniti attorno al 1880 e dilagano poi in Francia e nel resto d'Europa. A proposito di Santa Claus, che ha anch'essa il suo bel capitolo, è necessario ribadire ciò che è noto ai più. La denominazione è una deformazione derivata dall'area anglosassone del "Sankt Niklaus", il san Nicola tanto caro ai baresi e, prima di loro, ai cristiani orientali (anche Andy Warhol, memore delle sue radici bizantine, ci ha lasciato una "Santa Claus", ormai trasformata nelle vesti del popolare Babbo Natale). Al santo, infatti, la leggenda ha assegnato un gesto che persino Dante rievoca quando parla della «larghezza che fece Niccolao a le pulcelle, per condurre ad onor la giovinezza» (Purgatorio XX,31-33). A tre giovani donne, che un padre in miseria stava per votare alla prostituzione per ragioni di sopravvivenza, il santo originario di Myra in Turchia era venuto in soccorso introducendo di notte nella loro stamberga tre borse colme di monete d'oro.
Dovrebbe essere questo il senso genuino del dono natalizio, tenendo conto del vero festeggiato, Gesù Cristo, la cui nascita è segnata dalla povertà, è accompagnata dall'incubo di una strage di bambini e sfocia in una migrazione da profugo, un po' come si ripete ai nostri giorni nei viaggi dei disperati lungo le rotte del Mediterraneo. A questo Bambino il s. Nicola vero (e non tanto il mitico Babbo Natale o la fantasiosa Santa Claus) cederebbe il passo volentieri. In questa linea mi sembra suggestivo evocare un paragrafo di un articolo di Alberto Moravia. È una sorta di breve omelia natalizia "laica" che invita a spogliare il Natale dalla carta lustra dei pacchi dono.
Scriveva, infatti, l'autore della Noia: «Il Natale mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le loro reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose, eccetera, eccetera». Con veemenza maggiore e una carica oratoria quasi secentesca, nel 1954 Curzio Malaparte condannava la "suprema ipocrisia" di un simile Natale da strenna: «Vorrei che la notte di Natale in tutte le chiese del mondo un povero prete si levasse gridando: Via da questa culla, ipocriti, bugiardi, andate a casa vostra… Vorrei che il giorno di Natale il panettone diventasse carne dolente sotto il nostro coltello e il vino diventasse sangue e avessimo tutti per un istante l'orrore del mondo in bocca!».
Detto questo, è però necessario non cadere in un radicalismo ascetico moralistico e in un'austerità savonaroliana: dopo tutto Cristo ha anche amato stare a tavola, al punto tale che il rigorismo farisaico l'aveva bollato come «un mangione e un beone» (Matteo 11,19). Proprio per questo il libro della Perrot può far riscoprire il fascino che si cela anche nei riti collettivi, la freschezza dei sentimenti, la tenerezza dei ricordi dell'infanzia, l'allegria della festa, l'intimità familiare e persino la verità dell'unico detto di Gesù non citato nei Vangeli ma riferito da san Paolo: «C'è più gioia nel dare che nel ricevere» (Atti 20,35). Sarebbe, questo, anche un modo per infrangere la logica rigida ed esigente dell'utilitarismo con un tocco di libertà e di gratuità.
Adorno nei Minima moralia aveva ragione quando affermava che «uno regala quello che gli piacerebbe per sé, ma certamente di qualità inferiore», facendo così riaffiorare l'egoismo come prima regola del nostro agire. Martyne Perrot nelle sue pagine cita le sei "regole invisibili" coniate dal sociologo americano Theodore Caplow (leggetele nelle pagine 130-132), applicate da chi sta sfogliando i cataloghi commerciali o approda in un negozio di articoli-regalo per Natale. C'è molta malizia ma anche molta verità in quelle norme non dichiarate ma praticate. Eppure se non ricevessimo nessun dono, se nessun Babbo Natale si affacciasse alla nostra porta, nessun postino o Dhl ci recapitasse un pacco-dono, resteremmo proprio del tutto indifferenti?

Martyne Perrot, Il regalo di Natale. Storia di un'invenzione, traduzione di Romeo Fabbri, Dehoniane, Bologna, pagg. 160, € 13,50