martedì 30 dicembre 2014

Curti e le sue carte. Quale futuro per il suo archivio?

Chi era Fabio Curti? Chissà! Sicuramente una istituzione, per chi a Brescia segue i numerosissimi concerti e mostre (non è vero che a Brescia non succede niente, chi lo dice si trasferisca a New York e viva là felice e contento). Lo definivo "il professore". Mi dava l'idea di quegli insegnanti in pensione, solitari, abbandonati da tutti e che magari hanno difficoltà a tirare avanti. Le prime volte che lo vidi, decenni fa, alla inaugurazione di qualche mostra, aveva l'aria dell'"imbucato", di chi è lì per mangiarsi le tartine e rimediare la cena. Prendeva i depliant, e via per un'altra inaugurazione. Ma era anche ai concerti (senza tartine). E chi riusciva a scambiare due parole con lui, scopriva una persona molto curiosa (nel senso che era piena di curiosità, chiedeva notizie degli strumenti, come suonarli, ecc.). Ce ne sono sempre meno, di quelle persone. E rimpiango di non avere mai avuto il coraggio di parlargli, di chiedergli notizie di sè. Bello l'articolo che gli dedica Massimo Minini.


Curti e le sue carte. Quale futuro per il suo archivio?

Fabio Curti era come un fantasma. Un po' quel­l'impermeabile bianco, stile tenente Colombo che già di per sé dava un'idea di understatement, qualcu­no che "seguiva un suo pensiero senza troppo curarsi delle apparenze.
Cosa pensassero gli altri di lui non é che non gliene importasse, semplicemente era troppo occupato a rincorrere gli avvenimenti di sep­pur vago sapore culturale per porsi il problema. Guardava per terra davanti a sé mentre camminava, un po' per timidezza, un po' per la schiena, un po' per il peso del bottino; non salutava per troppa concen­trazione, sembrava non vedere. Invece vedeva tutto e ultimamente mi faceva persino dei trattenuti sorri­si...
Poi il suo incedere, con quella piega in avanti, chissà', una scoliosi, una deviazione o forse solo il peso delle carte che gentilmente, con mano (anzi manina) delicata ma determinata raccoglieva ad ogni dove.
Chissà chi era Fabio Curri, dicono un ingegne­re: se é vero, un Ingegnere anomalo, uno ammalato di cultura, di curiosità, di collezionismo spinto alla manìa. Uno che, narra la leggenda, rimase sotterrato sotto un catasta di documenti raccolti puntigliosa­mente negli anni, documenti che gli si sono ribellati, sotterrandolo. L'ho conosciuto, la prima volta, con il professor Giancarlo Piovanelli, mio insegnante di Storia dell'arte, anni fa. Vennero in galleria e restaro­no a parlare, veramente parlava solo Piovanelli, cui notoriamente non manca la parola specialmente se si parla d'arte. E mentre io e il mio ex professore ri­percorrevamo le nostre vite, lui allungava sguardi pieni di un triste ma determinato interesse verso le amate «carte». E si vedeva che le avrebbe anche man­giate pur di averle. Quel giorno gli diedi tutto quello che potevo e lui usci felice col suo sacchetto di plasti­ca bianco, anonimo, quelli dei fruttivendoli che non possono permettersi la sovrastampa personalizzata.
Quel sacchetto che sempre lo accompagnava, vuoto all'inizio del periplo, gonfio del cartaceo bottino al termine del suo «voyage au bout de la nuit». Niente a che vedere con Celine, un amico mi suggerisce piut­tosto Truffaut. lo propenderei per Monsieur Hulot e Jacques Tati, non fosse che la statura non corrispon­deva.
Sabato era in prima fila in Santa Giulia alla pre­sentazione del grande libro sulla Pinacoteca. Poco dopo non c'era più. Ma come é possibile? Ma come è possibile! E il suo archivio? Lo immagino enorme, di­sordinato, impilato in disequilibrio, non credo po­polato tanto di libri quanto piuttosto da documenti. Chissà dove abitava. Aveva una famiglia? Figli? Stavo per andare a trovarlo e capire come era fatto quel te­soro, forse una collezione importante per la cultura a Brescia. Posso chiedere agli eredi di non buttare via quelle montagne di cartacce e di farcele consultare?
Massimo Minini

Corriere della Sera, 24 dicembre 2014