lunedì 10 febbraio 2014

Bertrand Russell: eccellenza in ironia

Le letture che hanno formato il mio modo di pensare, quando avevo 15/16 anni, sono state quelle delle opere di Bertrand Russell e di Voltaire. E' uscito   questo volumetto (per ora solo in inglese) molto stuzzicante..

 

Eccellenza in ironia

di Nicla Vassallo
26 gennaio 2014 Domenica Sole 24 ore




Bertrand, terzo conte Russell, è stato filosofo, matematico, saggista, pacifista e Nobel 1950 per la letteratura (Olycom)
La povertà encefalica, artificiosa, macchinistica, priva di intellettualità, logica, razionalità fa male ai più, ai tanti presuntuosi che corrono sulle rotaie inchiodate della mente, confidando di essere liberi, quando non lo sono, credendo di scegliere, quando non dispongono di alcuna conoscenza deliberativa, illudendosi di pensare quando sono schiavi della propria immondizia ideologica, se non addirittura assoggettati alle proprie incomprensibili follie.

Non intendo sostenere che l'educazione sia sempre buona, o sempre nutrita di grande senso civico. Ricordo anzi con piacere un caustico Bertolt Brecht: durante «le scuole superiori non sono riuscito a insegnare niente ai miei professori». Ma non occorre pessimismo o presunzione o élite: la sobrietà è virtù da coltivare, sebbene riesca a condensarsi, sempre in relazione alla conoscenza più che alle buone maniere, in battute ambigue, come quella di Jacques Prévert: «La differenza tra un intellettuale e un operaio? L'operaio si lava le mani prima di pisciare e l'intellettuale dopo».
Cultura e conoscenza, ormai instabili e precarie, contano sempre meno. Il crollo etico e pubblico, oltre che sconveniente, deriva da lì, dai tanti, troppi che parlano e agiscono senza istruzione, o con formazione "professionale" e lobbistica, incardinata su una meschinità ignara di ogni concetto di coerenza e responsabilità. A tutti costoro, consiglierei un agile volume, Russell. A Guide for the Perplexed di John Ongley & Rosalind Carey, uscito di recente presso Bloomsbury.
Perché, a costo di risultare uggiosa, concordo con il Bertrand Russell di Matrimonio e morale (Tea, pagg. 228): «Tutti possono essere rovinati da una cattiva educazione, come infatti avviene quasi sempre, e soltanto persone dotate di certe attitudini naturali possono raggiungere un grado di eccellenza in vari campi. Non credo che alcun tipo di educazione, per quanto buono, possa fare di un ragazzo mediocre un pianista straordinario; non credo che la miglior scuola del mondo possa far diventare ciascuno di noi un Einstein; non credo che Napoleone non fosse dotato di qualità superiori a quelle possedute dai suoi compagni di Brienne, e che abbia imparato la strategia osservando sua madre organizzare una banda di figli disordinati». E Russell prosegue oltre, sostenendo che i giovani con menti eccellenti debbano venir privilegiati e frequentare l'università, istituzione in cui la loro superiorità verrà stimata e si accrescerà per il bene di tutti. Lui, però, Russell, si riferisce a una università che, oggi come oggi, non esiste più, neanche in Inghilterra, e che nel nostro paese non è mai esistita. Il che non significa che la conoscenza non debba contare.
Deve anzi contare e dobbiamo celebrare la riflessione sulla conoscenza, memorizzando bene che sono trascorsi cent'anni dalla pubblicazione di tre capolavori proprio di Russell, tutti usciti nel 1914, un volume e due articoli scientifici: Our Knowledge of the External World (The Open Court Publishing, Chicago e London), On the Nature of Acquaintance, sul Monist; The Relation of Sense-Data to Physics, su Scientia. (Alla faccia di chi disegna una barriera tra conoscenza umanistica e scientifica, difendendo la prima e attaccando la seconda.) Cent'anni anche dall'attentato a Sarajevo, e, a seguire, dalla dichiarazione austriaca di guerra alla Serbia, da quella tedesca alla Russia e alla Francia, da quella inglese, australiana, canadese, neozelandese alla Germania, e così via. Da una parte, la Prima Guerra Mondiale, col vanaglorioso Ludwig Wittgenstein che si arruola da subito, volontario, nell'esercito austro-ungarico; dall'altra Russell che riflette. Da una parte la militarizzazione, i traumi e i genocidi: doveroso ricordare quello spesso omesso, dogmatistico, musulmano contro i cristiani assiro-caldeo-siriaci. Dall'altra, lui, Russell, l'agnostico, il cultore del dubbio, poiché la conoscenza conduce al dubbio e il dubbio alla conoscenza. La Prima Guerra Mondiale turba Russell e lui paga per le sue teorie: rottura del contratto con il Trinity College e carcere; nel mentre scrive l'Introduzione alla filosofia matematica, opera per tutti, ove è presente molta epistemologia per chiarire la difficoltà di tracciare i confini tra logica e matematica.
Quando dici "Russell", sempre che non si pensi a Kurt Russell, l'associazione spontanea (freudiana? o arguta?) è «inglese, filosofo analitico e del linguaggio, logico, antinuclearista». D'accordo, vero, viene spesso accostato, al grande Kurt Gödel (associazione, tra l'altro, appropriata anche per l'insaziabile e comune desiderio di conoscenza). Sarebbe proprio associarlo pure a Voltaire: illuministi e ironici, entrambi. Nutriti di conoscenze, innovazioni, intersezioni, con Bertie che consiglia: «Do not fear to be eccentric in opinion, for every opinion now accepted was once eccentric». Non temiamo dunque di risultare eccentrici nel proseguire a sottolineare il valore della cultura e della conoscenza. Esploriamo: altrimenti conoscenza e cultura scompariranno, e noi con loro.
www.niclavassallo.net
nicla.vassallo@unige.it
John Ongley, Rosalind Carey,
Russell: A Guide for the Perplexed,
Bloomsbury, New York, pagg.224, $24,95