giovedì 5 settembre 2013

Tecnologie per tutti - Global Innovation Commons

Tra i programmi open source che funzionano benissimo, segnalo Libre Office , che sostituisce benissimo il solito Office di Microsoft. Merita anche una piccola donazione con paypal per la manutenzione dei server e il continuo aggiornamento.
Giorgio Gregori




Global Innovation Commons è una banca dati dedicata alle tecnologie nei settori della salute, delle energie pulite, dell'agricoltura e dell'acqua, di dominio pubblico a livello globale in quanto non (più) protette da brevetti, o a livello locale perché un brevetto altrimenti in forza non è stato registrato per un particolare Paese. Chi attinga alle risorse informative di Global Innovation Commons si impegna a condividerne lo spirito, rendendone pubblico l'impiego così come eventuali miglioramenti. Fondato da David E. Martins tre anni fa, in partenariato con la Banca mondiale, Global Innovations Commons stima di mettere a disposizione un valore equivalente a 2 trilioni di dollari in termini di risparmio in licenze.

Scopo, contrastare quelli che Martins considera abusi dell'istituto del brevetto – come nel caso di innovazioni protette da chi non abbia interesse alla loro messa in produzione –, e più in generale promuovere la circolazione e il progresso della conoscenza e lo sviluppo sociale. A tal fine Martins dispiega anche altri strumenti, indirizzando per esempio i potenziali imprenditori verso forme di finanziamento che accorciano quanto possibile la distanza tra produttori e beneficiari.
Commons, bene comune, è espressione che si va affermando da qualche anno con vigore crescente, grazie anche alla diffusione delle licenze CC (che a differenza del copyright consentono la riproducibilità gratuita di testi, immagini eccetera) o al dibattito pubblico sull'acqua, ma il cui significato rimane tuttora un po' misterioso, tendendo a confondersi con "bene pubblico". Non esiste una definizione chiaramente consolidata. Ma in generale può dirsi "commons" un bene di interesse comune (come il patrimonio ambientale o la conoscenza) gestito cooperativamente dalla comunità dei diretti beneficiari, che se ne prende cura, ne disciplina l'uso e ne sanziona gli abusi.
A restituire dignità ai commons in ambito economico era stata il premio Nobel Elinor Ostrom (1933-2012), la quale aveva studiato alcune comunità di pastori e contadini in Africa e in Asia, dimostrando la loro capacità di autoregolamentarsi in maniera tale da armonizzare le proprie necessità produttive e di sostentamento con la tutela durevole del patrimonio ambientale.
Nel corso della storia molta parte dei commons è stata via via sottratta alle comunità che vi si riferivano, e la loro gestione affidata a singoli proprietari o allo Stato. In questo modo, oltre a depredare nei casi più eclatanti le comunità dei loro diritti (si pensi all'occupazione in epoca coloniale di terre impropriamente considerate "libere"), il rapporto tra le persone e i beni comuni si sarebbe inaridito, perdendo quell'intreccio qualitativamente ricco e difficilmente quantificabile di significati e relazioni che lo caratterizzava.
Secondo i promotori dei commons, il sistema di governo del bene comune espresso per esempio dai contadini studiati da Ostrom, rappresenta un modello adattabile e trasferibile in altri ambiti in ogni parte del mondo, inclusi i Paesi più avanzati. Per dirla con David Bollier e Silke Helfrich in The Wealth of the Commons. A World beyond Market & State, i commons si pongono come terzo paradigma parimenti autorevole. Mettono in gioco valori, leve motivazionali e dinamiche normative non riconducibili né al mercato né allo Stato – cui si imputa piuttosto una progressiva occupazione di spazi impropri, che la società civile dovrebbe nuovamente avocare a sé –, e si prestano come soluzione a problemi cui né il mercato né lo Stato riescono propriamente a rispondere, come quello ambientale.
Gli incentivi, qui, hanno carattere non monetario e marcato significato sociale, come la gratificazione che deriva dalla reciprocità, dal cooperare con altri, dal perseguire un obiettivo eticamente positivo. Esempi moderni di commons, evidenti per la loro efficacia e a noi più familiari, sono quelli costituiti da Wikipedia o dai software open source, inconcepibili secondo la logica dell'homo oeconomicus.
Gli studi, le pratiche, i progetti nonché le possibili declinazioni concrete dei commons, come documenta il libro che raccoglie i contributi di una settantina di studiosi, attivisti e responsabili di progetti, sono numerosi e interessano già oggi diverse dimensioni: dai servizi per la mobilità o l'abitare in spirito sharing, alle transition towns in Gran Bretagna (e altrove: anche in Italia) o alle comunità faxinal in Brasile, fino ai progetti su scala globale di cui il sopra citato Global Innovation Commons rappresenta un esempio semplice, che non richiede cioè una struttura di governance articolata.
Le domande aperte sono moltissime, riguardano tra l'altro le sfere di applicazione dei commons (in che misura sono collegabili ai diritti fondamentali dell'uomo?), la loro scala (virtualmente globale, grazie al web), i sistemi di governance, appunto, il ruolo e le interazioni con lo Stato e il mercato. Ma oggi innanzitutto vi è la necessità di un'attenzione più strutturata e diffusa. E questo è uno degli scopi che si prefigge The Commons Strategies Group, organizzazione impegnata da qualche anno a radunare esperienze e competenze e a dar voce e autorevolezza ai commons. A parte il libro, ora in via di traduzione e adattamento in varie lingue (incluso l'italiano), che costituisce un deposito estremamente ricco e variegato di esperienze e teorizzazioni, il gruppo ha promosso una prima conferenza internazionale nel 2010 e ne ha un'altra in programma per maggio 2013 a Berlino. Focus, in questo caso, sull'economia: un passaggio ritenuto fondamentale, insieme a quello dello studio dei sistemi governance, per dare ai commons legittimità piena tra i politici, gli economisti e l'opinione pubblica.

David Bollier e Silke Helfrich (a cura di), The Wealth of the Commons, The Commons Strategies Group, pagg. 442, www.wealthofthecommons.org

Chiara Somajni, domenica del sole 24 ore,
24 febbraio 2013