mercoledì 6 marzo 2013

Stéphane Hessel: il suo testamento “aspetto la mia fine con curiosità”

Qualche giono fa, a 95 anni,  è morto Stéphane Hessel, l'autore di "Indignatevi!" , il libretto che ha dato vita alle maniestazioni di piazza contro lo strapotere della finanza. Questo viene indicato come il suo "testamento" scritto qualche anno fa.

Ho un’età in cui si sa perfettamente che la morte non può essere troppo lontana. Un anno,
due, tre... Cinque anni sarebbero già troppi rispetto a quanto si vive normalmente... So quindi
che la morte presto arriverà, ed è una cosa buona. Sono contento di essere mortale, perché
penso che sia la mortalità a dare senso alla vita. Si vive solo se si può morire. Ciò che vive –
ce lo insegnano tutte le saggezze del mondo – è qualcosa che va fino alla morte.

La mia vita andrà fino alla morte, e quando la morte arriverà la accoglierò con un sentimento
tutto mio, perché sono sicuro che quella esperienza sarà come molte altre della mia vita: unica.
Si incontra l’amore solo in alcuni momenti, si incontra la morte, a quanto pare, una volta sola.
Finora «Nobody has come back from those bones », come dice Shakespeare, quindi non
sappiamo che cos’è la morte. Però sicuramente possiamo dire che non si tratta di un nulla. È
sicuramente qualcosa.
Questo qualcosa mi suscita curiosità. Parlo di prelibatezza perché fa chic, perché suona bene, ma
chiaramente è soltanto un modo di dire. Quello che intendo è che non soltanto non ne ho
paura, ma che effettivamente il momento in cui si metterà la parola fine alla mia vita le avrà
dato tutto il suo senso, e non è poi così male poter guardare una vita alla sua conclusione
dicendo a se stessi: «Ecco ciò che sono stato». [...] Non mi piace l’idea di vivere come un
vegetale incapace di pensare o di esprimersi. Per me sarebbe una decadenza davvero
insopportabile. Spero ardentemente di morire prima che si manifesti questa decadenza. Se
dovesse accadere, sarei riconoscente a chi mi facesse l’iniezione letale.
In altre parole, non ho bisogno di vivere ancora a lungo.
Penso che novantatré anni siano già molti, se arrivassi a novantacinque forse
andrebbe ancora bene. Ma se arrivassi troppo lontano e, appunto, ciò andasse di pari passo
con l’incapacità di esprimermi, ne sarei amareggiato e preferirei che finisse. [...]
L’essere di un uomo è qualcosa che inizia prima e finisce dopo la sua biografia.
L’uomo non comincia a esistere prima dei due o tre anni. Prima di quel tempo già è, ma non esiste davvero nel senso che Sartre dà al termine, ovvero con un progetto estatico.
Esiste per tutta la sua vita, forse anche fino alla sua morte, ammesso che possa arrivare alle ultime ore della sua vita, poi non esiste più veramente, ma l’essere continua. Noi siamo nell’essere che comprende la nostra vita, ma anche ciò che viene prima e dopo.
Nella Tempesta, Shakespeare fa dire a Prospero:
«Siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è
circondata dal sonno». Quindi possiamo dire che ci siamo svegliati per vivere, e che morendo
ci riaddormentiamo. Il sonno che circonda la vita è l’essere stesso. Un essere che non si
esprime attraverso l’esistenza, ma che abbraccia la totalità del cosmo, dell’umanità e della
natura.


Tratto da Vivete! (Castelvecchi, traduzione di Giacomo Cuva)

Fonte: Stéphane Hessel, la Repubblica
Giovedì 28 Febbraio 2013 09:44