lunedì 10 novembre 2014

Ma in quelle megalopoli non c'è nulla da esplorare

A seguito di un articolo di Repubblica, che parlava del turismo del futuro dove l'Asia scalzerà l'Europa, il grande Paolo Rumiz esprime bene anche  i miei dubbi sul turismo contemporaneo.
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di PAOLO RUMIZ
PERDEREMO il primato? Pazienza. Io mi tengo la mia Europa. Se l'industria pesante del turismo preferisce buttarsi in Cina all'assalto di shopping, aeroporti, megalopoli e aria condizionata, si accomodi. Lo dice uno che ha sempre amato e sognato l'Oriente. Oggi la terra del sol levante è un'altra cosa. Ha perso molto del suo mistero. La Transiberiana è sempre più un'avventura per ricchi, non ha più profumo di samovar e carovane. L'Afghanistan è uno spazio off limits, il Pakistan gli fa concorrenza. Il Kazakistan si è trasformato in una sequenza di pozzi petroliferi. Le strade russe sono governate dalle mafie e percorrerle da soli si rischia la vita, per saperlo basta parlare con un camionista. Buona metà del Caucaso fermenta di rivolte e bande armate. Il Tibet e lo Xinkiang sono schiacciate da un'indecente repressione.

Ma i signori delle statistiche guardano davvero alla realtà? Non vedono che gli spazi di viaggio per i nostri figli si sono drammaticamente ristretti anziché allargarsi? Quarant'anni fa io potevo andare in macchina da Trieste a Kabul senza correre alcun rischio e senza essere un Indiana Jones. Ora tutto questo non è più possibile. Ma i governatori dei flussi mondiali non vedono e non sentono. Non tengono conto che il mondo è al collasso, che l'instabilità comincia già in Ucraina e che Paesi mediterranei da sempre invasi da turisti, come la Siria e l'Egitto, sono diventati insicuri o proibiti. Non mettono in conto, nelle loro proiezioni matematiche, che Paesi emergenti come la Cina e l'India sono condannati, nel giro di pochi anni, a un disordine sociale sul quale il turismo avrà, ne sono certo, l'effetto della benzina sul fuoco.
Non so che farmene di un Oriente che non ha più una sua via della seta, che non mi permette un approccio graduale. Non me ne frega niente di farmi un Ottomila himalaiano su percorsi già attrezzati da bombole di ossigeno e dopo essere stato portato ad alta quota in elicottero. Non salirò mai su un penitenziario galleggiante di lusso per andare alle Hawaii e non farà mai acquisti nei grattacieli di Dubai. Non esiste. Voglio viaggiare, non "essere viaggiato", e non intendo subire pacchetti preconfezionati da altri. Non mi importa un mondo che assomiglia al mio, non voglio volare per dieci fusi orari solo per incontrare una tranquillizzante fotocopia dell'Occidente. Non salirò mai su un battello del Volga se a bordo, anziché delle vecchie canzoni russe, mi obbligheranno ad ascoltare un deprimente karaoke.
Mi diranno che il mio è un discorso di élite, e rispondo di sì. Ma è un'élite dello spirito, non del denaro. Scendere il Po in canoa è di gran lunga più affascinante e meno costoso che andare alle Seychelles. L'Europa offre scelte di una varietà incomparabile. Zigzagare per i Carpazi, valicare le Alpi in bicicletta, discendere il Danubio in battello, andare a piedi in pellegrinaggio a Cestochowa, affacciarsi sulle dune del Baltico, percorrere a vela le isole dalmate, entrare nelle mura fredericiane di Castel del Monte, salire sui campanili di Chartres, camminare sulle brughiere delle Ebridi a Nord della Scozia, salire sulle nevi dell'Etna o affacciarsi sui tempestosi faraglioni di Cabo da Roca a Ovest di Lisbona. Non esiste continente capace di condensare così tanto in così poco spazio.
Il problema è che non lo sappiamo dire, comunicare. Come una vecchia signora, Europa dorme sugli allori, certa che corteggiatori non le mancheranno. L'Italia del Grand Tour, non se ne parla. È un magnifico giocattolo governato dall'incuria e da scriteriati che non ne comprendono le bellezze, e che non ha ancora imparato a costruire un'ospitalità moderna, leggera. Se il continente perderà il suo primato nonostante il sontuoso apparato dell'Unione che lo rappresenta, sarà anche per la sua incapacità di percepire le sue bellezze in modo unitario, anziché in ordine sparso. Forse dobbiamo ancora cominciare a conoscerci. Quanto ci farebbe bene un bel bagno autarchico d'Europa.


Repubblica, 27 ottobre 2014