mercoledì 22 gennaio 2014

E' internet la causa dell'ignoranza

E' internet la causa dell'ignoranza

Nella sua "Bustina di Minerva" sull'ultimo "Espresso" Umberto Eco racconta un fatto al tempo stesso esilarante e preoccupante. In una trasmissione televisiva di quiz condotta da Carlo Conti erano stati scelti quattro giovani e gli erano state poste alcune domande apparentemente assai facili: in che anno Hitler fu nominato cancelliere della Germania e quando avvenne l'incontro di Benito Mussolini con Ezra Pound. La faci­lità delle domande consisteva nel fatto che le date proposte dal conduttore consentivano ai concorrenti risposte abbastanza sicure perché alcune superavano largamente la morte sia di Hider sia di Mussolini. Sicché i giovani pre­scelti, anche se ignoravano la data esatta, avrebbero dovuto escludere quella decisa­mente sbagliata. Invece non fu così. La rispo­sta di una dei giovani invitati al gioco collocò l'incontro di Mussolini e Pound nel 1964,cioè vent'anni dopo la morte del Duce. 
ECO COSÌ COMMENTA L'ACCADUTO, regi­strato su "You Tube":
«Quest'appiattimento del passato in una nebulosa indifferenziata si è verificato in molte epoche, ma ora non do­vrebbe avere giustificazioni visto le informa­zioni che anche l'utente più smandrappato può ricevere su Internet. Evidentemente la memoria in alcuni (molti) giovani si è contrat­ta in un eterno presente dove tutte le vacche sono nere. Si tratta dunque d'una malattia generazionale». Del resto lo stesso Eco qual­che settimana fa aveva segnalato che, usando attendibili sondaggi, risultava che molti stu­denti universitari fossero convinti che Aldo Moro era il capo delle Brigate Rosse. Altro che malattia generazionale! Ma perché è ac­caduto questo? E perché colpisce (o almeno così sembra) soprattutto i giovani?
Il motivo per il quale riprendo su questa pagina le preoccupazioni di Eco (che ovvia­mente condivido) segnala le cause che hanno determinato la malattia. Eco l'attribuisce so­prattutto alle carenze della scuola, delle fami­glie, dei vari centri educativi, che non si cura­no della memoria. La memoria un tempo veniva esercitata obbligatoriamente: i giovani dovevano imparare a memoria una serie di poesie indicate dagli insegnanti. Non impor­tava se capissero o no il loro contenuto, im-
portava di tenere in esercizio le mappe cere­brali dove la memoria ha la sua sede. In segui­to quest'obbligo è stato abolito: sembrava che una memoria meccanica non servisse a nulla e anzi fosse disdicevole. Ed ecco le tristissime conseguenze. Osservo tuttavia che Eco consi­dera Internet, e in generale la memoria artifi­ciale affidata alla tecnologia, una risorsa per stimolare i giovani mettendo a loro disposi­zione una massa enorme di informazioni. Su questo il mio pensiero differisce molto dal suo. Secondo me, infatti, la tecnologia della me­moria artificiale è la causa prima dell'appiat­timento sul presente o almeno una delle cause principali. La conoscenza artificiale esonera i frequentatori della Rete da ogni responsabilità: non hanno nessun bisogno di ricordare, il clic sul computer gli fornisce ciò di cui in quel momento hanno bisogno. C'è chi ricorda per te e tanto basta e avanza.
Ma c'è di più: la possibilità di entrare in contatto, sempre attraverso il clic, con qua­lunque abitante del mondo, di parlare con un residente in Australia e, a tuo piacimento, con uno che vive nei Caraibi o in Brasile o nel Sudafrica o a Pechino; sembra inserirti in una folla di contatti e di compagnia. In realtà è l'opposto: ti confina nella solitudine. Molti fruitori della Rete infatti hanno smesso di frequentare il prossimo e restano ritirati in casa a "navigare" sulle onde della nuova tecnologia. L'amore anche fisico attraverso la Rete è diventato abituale per molti. Si chiama da tempo "amore solitario" e infatti lo è.
INFINE LA RETE HA MODIFICATO il pensie­ro, ha ridotto al minimo la parola scritta. Perfino il Papa si serve del linguaggio "twitter" e comunica in questo modo con molti milioni di persone con frasi che non superano i 140 caratteri.Tra il pensiero e la parola scritta c'è un rapporto interattivo. I nostri giovani leggono i giornali e i libri attraverso la Rete. Cioè leggono notizie e cultura ridotte a po­che parole. Il numero delle parole usate è ormai al minimo e poiché tra il pensiero e il linguaggio c'è una interazione, ne deriva che il pensiero si è anchilosato come il linguag­gio. La malattia è estremamente preoccu­pante e segna un passaggio di epoca. Caro Umberto credimi, è qualcosa di più che non una malattia generazionale.

Eugenio Scalfari, L'Espresso, 23 gennaio 2014