venerdì 11 ottobre 2013

Io, Malala, chiedo ai potenti

Io, Malala, chiedo ai potenti: mandate penne, non fucili solo così finiranno le guerre
MALALA YOUSAFZAI

Vengo da un posto paradisiaco chiamato Swat, nel Nord del Pakistan. Tre anni fa, Swat era nel mirino dei terroristi. Nel gennaio del 2009 i terroristi massacravano due o tre persone innocenti ogni sera. Toglievano alle donne il diritto alla libertà e all'uguaglianza. Facevano saltare in aria le scuole, più di quattrocento. Ci strappavano di mano le penne, e noi dovevamo nascondere i libri sotto la camicia, fare finta che non studiavamo. I cosiddetti Talebani avevano paura della forza delle donne, avevano paura della forza dell'istruzione.

In quel periodo, noi non rimanemmo in silenzio: facemmo sentire la nostra voce, facemmo sentire la nostra voce per il diritto all'istruzione. Dicevamo che in quest'epoca moderna non studiare significa non avere strumenti, specialmente i bambini, dicevamo che in quel modo spingevano le donne e le bambine indietro, all'età della pietra. Solo poche persone fecero sentire la loro voce, ma la voce che si levava a chiedere pace e istruzione era forte. Quando nessuno parla e tutto il mondo resta in silenzio, anche una voce sola assume una grande forza. Swat ora è un luogo pacifico: non ci sono terroristi, le scuole sono riaperte e molte bambine vanno a scuola.
Cari fratelli e sorelle, voi siete sicuramente molto orgogliosi di studiare e aver studiato in questa prestigiosa università. Questa università ha grandi valori e grandi tradizioni. Questa istituzione dinamica ha illuminato generazioni intere negli ultimi 376 anni. Voi avete sicuramente i vostri sogni, come è vostro pieno diritto. Ma tutti noi, tutti noi dobbiamo avere un sogno in comune: l'istruzione e la pace. Dobbiamo pensare a un futuro radioso, e non dimenticarci che dobbiamo fare moltissimo peri bambini che vivono in Paesi in sofferenza, perché i bambini, e in particolare le bam­bine, devono fronteggiare molti problemi, come il lavoro minorile, il traffico di mino­ri, la disuguaglianza e le norme e tradizioni culturali. Dobbiamo pensare ai siriani, che sono senza una casa, e ai bambini siriani che non possono studiare. I bambini pakistani e afghani sono vittime del terrorismo. Non dobbiamo dimenticarci che in India i bambini vengono sfruttati sul lavoro. In molti Paesi, come la Nigeria, le bambine sono costrette a sposarsi, e sono vittime della violenza settaria. Non dobbiamo dimenticarci che in molti Paesi africani i bambini non hanno da mangiare e non hanno acqua pulita da bere, e hanno una grande fame di istruzione. Non dobbiamo dimenticarci che le donne non sono nemmeno accettate come esseri umani, che i loro diritti vengono negati o trascurati, anche nei Paesi sviluppati: anche nei Paesi sviluppati alle donne non vengono date le
opportunità per progredire ed essere ciò che sono.
Ma non siamo qui, fratelli e sorelle, per fare un lungo elenco dei problemi che ab­biamo di fronte: noi siamo qui per trovare la soluzione. E la soluzione è una sola, ed è molto semplice: istruzione, istruzione, istruzione. E oggi chiediamo alle potenze mondiali, chiediamo loro di capire che non si può mai mettere fine a una guerra con una guerra. Si possono combattere le guerre attraverso il dialogo e l'istruzione. E chiediamo alle potenze mondiali, se vogliono vedere la pace in Siria, in Pakistan, in Afghanistan, di non mandare fucili, ma penne; di non mandare carri armati, ma libri; di non mandare soldati, ma insegnanti.
E ricordiamoci che anche un solo libro, una sola penna, un solo bambino e un solo insegnante possono cambiare il mondo. Oggi dobbiamo sognare! Sognare un futuro radioso, dove ogni bambina e ogni bambino potranno andare a scuola; dove i diritti delle donne saranno riconosciuti e dove ci sarà uguaglianza e giustizia. Difendiamo i nostri diritti, combattiamo per i nostri diritti. Noi saremo il futuro, costruiamo il nostro futuro oggi e trasformiamo i sogni di oggi nella realtà di domani.

Tratto dal discorso che la giovane attivista pakistana Malala Yousafzai ha tenuto il 28 settembre a Harvard
(Traduzione di Fabio Galimberti)