sabato 8 giugno 2013

Ma il bello della vita non possiamo comprarlo ancora

di Adriano Sofri

questo articolo è a commento di una bella intervista di Federico Rampini al filosofo Michel Sandel il 2 giugno 2013, che si trova qui http://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2013/06/Valori-supermarket.-Rampini-interv.-M.-Sandel.pdf



Voltaire, che ci investiva i suoi denari, fece il più brillante elogio del mercato finanziario mondiale (1734): «Entrate nella borsa di Londra, questo luogo più rispettabile di tante Corti... Là il giudeo, il maomettano e il cristiano trattano l' uno con l' altro come se fossero della medesima religione, e non danno l' appellativo di infedeli se non a coloro che fanno bancarotta; là il presbiteriano si fida dell' anabattista e l' anglicano accetta la cambiale del quacchero. Uscendo, gli uni si recano in sinagoga, gli altri vanno a bere; l' uno va a farsi battezzare in una grande tinozza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, l' altro fa tagliare il prepuzio a suo figlio e borbottare sul bambino parole ebraiche che non comprende; altri vanno nella loro chiesa, col cappello in testa, ad aspettare l' ispirazione divina; e tutti sono contenti».

Il mercato promuove tolleranza e libertà: domanda e offerta vi si incontrano e si danno la mano contenti. Naturalmente, che fra l' uno e l' altro ci sia uno squilibrio è evidente dall' inizio. Io ho bisogno di un rene, tu hai bisogno di quattro soldi, mi vendi un tuo rene, ti do quattro soldi, e ci stringiamo la mano più o meno contenti.
Il mercato che si allarga a dismisura e la tecnologia che sfida la natura sottraggono pressoché ogni ingrediente della vita personale all' ambito delle cose che non si possono comprare né vendere. Si poteva da sempre impadronirsi del proprio prossimo, farne una bestia da soma, uno schiavo domestico, e anche, da cadavere, celebrarci i propri riti o mangiargli il cuore. Trapiantarlo ancora no. Prima delle documentate critiche all' ultraliberismo da parte di prestigiosi premi Nobel, correva la sentenza: «Se la merda fosse oro, i poveri nascerebbero senza il buco del culo», e relative varianti. Con la monnezza di Napoli venduta alla Norvegia si è realizzato, e senza nemmeno l' amputazione temuta. La merda, com' è noto, diventò oro quando gli artisti la misero in scatola o la scolpirono e la firmarono, mostrando come le cose che costano di più siano, appunto, merda. Da allora i prezzi non hanno fatto che salire.
L' amicizia, dice Sandel, non si compra: però la fiducia, o almeno il voto di fiducia, sì. Il consumismo ha trionfato rovesciando il precetto: «Non desiderare la roba d' altri...». Quel desiderio è sobillato e sfrenato: vogliamo comprare la roba d' altri e gli stessi altri, i loro ricordi, la loro giovinezza, i loro capelli. Possederli.
Non si può comprare solo ciò che non si lascia possedere: allora gli spariamo a pagamento, come il rinoceronte citato da Sandel o l' elefante sgominato da Juan Carlos. L' impero del mercato sta all' altro capo della libertà. Compro oro, me ne frego della felicità. Ora, quando ci si chiede che cosa resta che non sia in vendita, si balbetta qualche frase della terza media: il tramonto, quella volta che guardavi un ramarro verdissimo che ti guardava fino a che uno dei due facesse un passo falso, l' aria che si respira. Macché:i tramonti si comprano in agenzia, nei bar di Tokyo i passanti si fermavano a inalare un po' di ossigeno dalla mascherina già quarant' anni fa, e il nord del mondo compra l' aria pulita del sud.
Trent' anni fa un ministro del regime militare brasiliano, reagendo alle proteste contro la distruzione dell' Amazzonia, "il polmone del mondo", proclamò che allora avrebbero venduto l' ossigeno al barile, come il petrolio. C' era del metodo in quella follia. Di nostra sorella acqua non parliamo. Si può resistere, certo. Ci si può vantare di quello che non si ha: «Non ho la macchina», e, snobismo supremo, «Non ho l' orologio».
Si può ripudiare il mercimonio universale facendosi latitanti, battendo in ritirata, nel tentativo sempre più arduo di rendersi irreperibili. L' isola di Robinson è a due ore di volo da Santiago. Oppure si può resistere insieme strappando i beni comuni a chi li espropria e governandoli solidarmente: un altro libro appena uscito ancora per Feltrinelli fa da manuale di istruzione. L' autore, noto ai lettori di Repubblica,è Guido Viale,e le cose che non si devono comprare né vendere le chiama Virtù che cambiano il mondo. Analogamente all' invadenza del mercato in ogni ambito, e fin nella vita personale, «la categoria dei beni comuni non esclude a priori nessuna delle risorse materiali o spirituali che occupano il panorama della vita moderna», purché se ne affermi la rivendicazione o già la pratica condivisa. Quanto alla vita privata e intima, dobbiamo forse rassegnarci all' idea che le cose più belle non si possano comprare, e le più brutte non si possano vendere - i rimpianti,i rimorsi,i sogni cattivi. E l' eredità? Le cose che si possono comprare e vendere ci sopravvivono. Le altre muoiono con noi. Perciò meglio dar via tutto prima, e morire, dunque vivere, leggeri. Per testamento lasciare solo ricordi e avvertimenti, e soprattutto saluti.
ADRIANO SOFRI

Repubblica, 2 giugno 2013