L'importanza di coltivare il dubbio davanti agli
ogm
di MICHELE SERRA
08 ottobre 2014

L'AFFERMAZIONE "la scienza ha sempre ragione" non è
scientifica. È ideologica. Lo è tanto quanto il pregiudizio
reazionario per il quale ogni mutamento del modo di produrre,
consumare, nutrirsi, avviene nel nome di interessi inconfessabili, e
a scapito della salute della collettività umana. L'acceso dibattito
sugli ogm (vedi gli interventi su
Repubblica di
Vandana
Shiva,
Elena
Cattaneo,
Carlo
Petrini,
Umberto
Veronesi) fatica a mondarsi di queste opposte rigidità. E fa
specie che nel campo "pro", che annovera valenti
ricercatori e scienziati, pesi ancora come un macigno l'idea che il
fronte degli oppositori sia un'accolita di mestatori che, in odio al
progresso umano e alla libertà di ricerca, alimentano dicerie
malevole e speculano sulla paura e l'emotività dell'opinione
pubblica. Una volta esposte le ottime ragioni della ricerca
scientifica e della sua necessaria libertà d'azione, perché
evocare, tra i soggetti "antiscientifici" in qualche modo
assimilabili agli oppositori degli ogm, anche i fattucchieri di
Stamina? Allo stesso identico modo le frange più eccitabili del
fronte anti-ogm possono immaginare che la ricerca genetica sulle
piante sia nelle mani di squilibrati megalomani (alla dottor
Frankenstein) o di avidi mercenari.
Le forzature polemiche
fanno parte del gioco, ma non aiutano a mettere meglio a fuoco gli
argomenti. La più autorevole istituzione mondiale in tema di
agricoltura e alimentazione, la
Fao,
mette a disposizione di competenti e incompetenti (come me) una
sintesi esauriente e comprensibile delle potenziali ricadute positive
e negative delle coltivazioni ogm, con una breve analisi della loro
verificabilità.