giovedì 1 maggio 2014

La carriera? No, pagatemi in valori e tempo libero


Svolta dei millennial

C’è chi lo definisce un «nuovo sogno americano» e chi già disegna sulle loro inclinazioni le professioni del futuro. Un dato è certo: i millennial — termine con cui si indicano i nati tra il 1981 e il 2000 — trasformeranno, e in parte stanno già trasformando, il mondo del lavoro. Se per le generazioni precedenti — dai baby boomer ai nati negli anni Sessanta e Settanta — l’obiettivo era una carriera ricca di promozioni economiche, per i venti/trentenni di oggi il lavoro deve essere, innanzitutto, un’esperienza ricca di valori e significati. Come ha affermato Nathaniel Koloc, fondatore dell’agenzia di lavoro ReWork, «la carriera non è vista più come una traiettoria lineare ma come una serie di progetti».

La generazione dei millennial affronta il peggiore mercato del lavoro degli ultimi 60 anni. La disoccupazione giovanile — che negli Stati Uniti ha raggiunto il 10% — in Europa supera il 20%. Un americano su quattro tra i 18 e i 34 anni è tornato a vivere con i genitori. La crisi non è una parentesi da superare ma uno stato permanente: secondo il Pew Research Center, la maggioranza dei millennial americani ha già cambiato lavoro, mentre il 90% ha dichiarato che la durata di un impiego non deve superare i 3 anni. La flessibilità non è un’opportunità tra le tante ma l’unica grammatica lavorativa conosciuta. Proprio le sfavorevoli condizioni socio-economiche stanno plasmando positivamente le giovani menti: la loro attitudine alla mobilità, al sociale e all’imprenditoria diventano caratteristiche competitive.
Adam Smiley Poswolsky ha raccolto le loro voci per il libro The Quarter-Life Breakthrough: «Neanche un ragazzo — ha dichiarato al sito Fast Company — ha espresso come desiderio quello “di fare soldi”, “raggiungere posizione di potere” o “andare in pensione tardi”. Piuttosto le aspirazioni vanno da “voglio insegnare ai teenager come evitare debiti e diventare imprenditori sostenibili” a “dare alle giovani donne l’ispirazione per diventare ingegneri”». I bonus, per chi riesce a ottenerli, tanto vale averli in tempo libero piuttosto che in denaro.
Per Arthur Kay, fondatore del social business Bio-bean, «i ragazzi non vedono la professione come un mezzo per pagare l’affitto ma come un percorso per esplorare passioni, hobby, filosofie». Tutto questo può avere un forte impatto sul mondo del lavoro, delineando percorsi orientati verso la soddisfazione dell’individuo nella sua totalità. Alcune aziende sembrano averlo già capito. Barry Salzberg, amministratore delegato di Deloitte, società numero uno per la consulenza, ha dichiarato a «Forbes» che, a differenza dei loro padri, «i millennial non si lasciano impressionare da titoli o stratagemmi da pubbliche relazioni». Il loro interesse principale sta nella dimensione valoriale dell’impresa: «Questa generazione — ha continuato — vuole sapere cosa l’organizzazione fa in concreto per migliorare la società e se loro faranno la differenza per il mondo scegliendo di farne parte». Salzberg ha raccontato che, durante i colloqui della scorsa estate, la maggior parte dei laureati delle migliori università americane — Harvard, Yale, Darmouth e Stanford — ha definito una «decisione assurda» quella dei colleghi (il 25% dei laureati 2011) che hanno scelto il mondo della finanza. «Almeno la metà degli intervistati è convinto che il mondo aziendale avrà una sempre maggiore responsabilità nella risoluzione delle grandi sfide della società. L’86% crede che le aziende avranno la stessa responsabilità morale dei governi nell’orientare le scelte dei cittadini». Per questo motivo è probabile che i settori che più beneficeranno di questa nuova spinta generazionale siano il volontariato e il business sociale. L’artigianato sta trovando una seconda vita in siti come Etsy e Big Cartel, così come il settore dell’agricoltura si ravviva grazie a nuovi «contadini» che trovano nella terra il loro laboratorio. Sarebbe questo il nuovo «sogno americano» da molti auspicato: un capitalismo più gentile forse, che considera il tempo per sé e per gli altri il vero lusso del XXI secolo.

Serena Danna

Corriere della Sera » Il Club de La Lettura » Articolo » La carriera? No, pagatemi in valori e tempo libero 27 aprile 2014