A
colloquio con Angelo Bolaffi, che illustra l'emancipazione della
Germania:
la
caduta del Muro come spartiacque, l'occidentalizzazione,
Auschwitz
come mito fondante
Paolo
Valentino
«Quando
Thomas Mann formulò la famosa drammatica alternativa tra una
Germania europea e un'Europa tedesca, aveva memoria delle tragedie
della Storia... Oggi è possibile ipotizzare che l'Europa si
germanizza proprio e nella misura in cui la Germania si è
completamente e convintamente europeizzata. Liquidare la questione
tedesca significa infatti costruire finalmente l'Europa. E la
Germania ha la forza, l'interesse e soprattutto la necessità
storica e morale di farlo». Si chiude così il libro che Angelo
Bolaffi, filosofo della politica e tra i pochi germanisti italiani
di fascia alta, pubblica per Donzelli. Cuore
tedesco
è un viaggio colto, avvincente e rigoroso dentro un triangolo in
pieno corto circuito — il modello Germania, l'Italia e la crisi
europea — che non nasconde l'ambizione di colmare una lacuna più
che evidente, oggi, nel nostro Paese: non si tratta tanto di amare
la Germania, spiega l'autore a «la Lettura», quanto «di capirla e
conoscerla, forse cominciando a vedere se è possibile pensare alla
Storia d'Europa dal e non contro il punto di vista tedesco».
L'evento
intorno al quale ruota la narrazione del libro è la caduta del Muro
di Berlino, «spartiacque spirituale, equivalente geopolitico della
presa della Bastiglia, rappresentazione simbolica e fisica del
crollo di tutti i presupposti storici e strategici dell'integrazione
europea». Piaccia o no, l'Europa aveva un padre e una madre: il
problema tedesco e la minaccia sovietica. Sparito il Muro, venne
meno la sua placenta.
Bolaffi
ricostruisce il panico di cui furono preda i leader politici
europei: Thatcher, Mitterrand, Andreotti, ognuno a suo modo,
cercarono di ostacolare l'ipotesi dell'unità tedesca. «Fu uno
scherzo della Storia, imprevisto e non voluto. C'erano due strade:
costruire l'Europa politica, come proponevano i tedeschi. Oppure,
quella indicata in un secondo tempo da Mitterrand, che riprese il
Piano Delors e indicò la prospettiva della moneta unica: l'idea era
di togliere alla Germania la sua particolare bomba atomica, il
marco. Kohl, nonostante il parere contrario di tutti gli economisti,
disse che non si poteva tradire il mandato europeista e dette il suo
accordo. Funzionò all'inizio. Ci si illuse che l'euro fosse da solo
la garanzia della stabilità tedesca portata a tutta l'Europa. Ma
senza sovrano, senza pagatore di ultima istanza e senza unione
politica, non poteva funzionare nel lungo periodo. Oggi, quando la
cancelliera Merkel dice che bisogna correggere gli errori iniziali
dell'euro, dice una cosa vera».
Il
che non assolve del tutto la classe politica berlinese. «La tesi
del libro è che il modello socio-economico tedesco non è solo
quello socialmente più inclusivo ed equo, ma anche quello più
efficace dal punto di vista produttivo. E per questo ha vinto,
mettendo la Germania in una condizione egemonica. Ma a questa
condizione oggettiva non ha corrisposto una cultura di governo
dell'egemonia da parte delle élite tedesche. Soprattutto negli
ultimi anni, sono state riluttanti: in effetti non hanno deciso di
assumersi in pieno le responsabilità imposte dalla Storia, dalla
collocazione geopolitica e dall'economia. Detto questo, la
cancelliera Merkel è stata l'unico leader europeo a visitare tutti
i 27 Paesi dell'Unione, pur sapendo che in alcune capitali sarebbe
stata accolta malissimo. È la dimostrazione che si rende conto
della responsabilità egemonica della Germania. E parlo di egemonia
in senso gramsciano, quindi benevola, gentile, che organizza il
consenso e non impone agli altri la propria volontà».
Bolaffi
individua una delle cause della crisi attuale nell'abbandono della
Germania da parte dell'Italia. È un'analisi intrigante, che indica
il nostro Paese, insieme all'Urss, come uno dei due perdenti della
Guerra Fredda. Nel 1989, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna
erano grosso modo sullo stesso livello dal punto di vista della
potenza politico-economica. Caduto il Muro l'equilibrio strategico
si è allontanato dal Reno, spostandosi verso l'Elba, isolando
Francia e Italia. La Germania, anche sul piano demografico, è
diventata il Paese decisivo. Francia e Gran Bretagna hanno
compensato in qualche modo con l'antico status di potenze
vincitrici, il seggio al Consiglio di Sicurezza e l'arma nucleare.
Mentre l'Italia si è ritrovata su una faglia geopolitica in pieno
movimento sussultorio.
Avremmo
potuto gestire diversamente quella fase? «Sì, se avessimo capito
ed elaborato cosa significava. Ricordo che firmammo Maastricht, un
accordo che vincolava le generazioni future, senza un dibattito
parlamentare, invano invocato dal solo Marco Pannella. Guido Carli
commentò "non sanno cos'hanno fatto". In quel momento
rinunciammo ai pilastri del sistema italiano, governi deboli e
moneta debole. Il modello vincente fu quello tedesco, governi
stabili e moneta stabile. Ci abbiamo provato dieci anni dopo, col
governo Prodi-Ciampi, facendo uno sforzo sovrumano per entrare
subito nell'euro. Qualcuno fece cadere Prodi e lì abbiamo perso non
solo la Guerra Fredda, ma anche la battaglia con noi stessi. Poi
venne il decennio berlusconiano, che non solo ha snaturato la
tradizione italiana dell'europeismo, ma ha sprecato un tempo
prezioso nel quale, grazie all'euro, prima che scoppiasse la crisi
dei mutui in America e il contagio si estendesse all'Europa, avevamo
avuto gratis uno spread ai minimi storici. In quegli anni, mentre la
Germania si ristrutturava grazie all'Agenda 2010, l'Italia dilapidò
quel tesoretto per una politica di sperpero pubblico».
Bolaffi
pensa tuttavia che siamo ancora in tempo per aprire una nuova
pagina. Non crede, al contrario del ministro degli Esteri, Emma
Bonino, che proprio la drammaticità della situazione rilanci
l'ipotesi del federalismo. Obietta che «i popoli, non i governi
hanno già detto di no alla Costituzione europea, il più generoso
tentativo di darsi una struttura federale». E critica l'idea che
«l'unica istanza democratica sia il Parlamento europeo isolato da
quelli nazionali». Sostiene invece che «bisogna costruire una
legittimità nuova, fondata su quest'ultimi». Gli Stati Uniti
d'Europa, a differenza di quanto succede in America ed è scritto
sul dollaro, ex pluribus unum, dovranno rimanere ex pluribus plures,
salvaguardando la loro incomparabile ricchezza di culture e di
linguaggi».
Tornando
a Thomas Mann e alla dicotomia di cui il libro celebra il
superamento, perché questa Germania è diversa? «Perché è post
tedesca. Peter Sloterdijk parla di metanoia, di auto-ravvedimento
della Germania. C'è stata una occidentalizzazione politica,
iniziata da Adenauer. Poi c'è stata l'occidentalizzazione dello
spirito tedesco, avvenuta attraverso la riscoperta della colpa
tedesca della Shoah, i conti col passato innescati dalla generazione
del Sessantotto. Auschwitz è diventato il mito fondante della
Repubblica Federale. Sulla base di questo ravvedimento, che è stato
spirituale, politico, storico, oggi la Germania è un Paese più
europeo degli altri».
"Corriere
- La Lettura", 9 giugno 2013