E'
internet la causa dell'ignoranza
Nella
sua "Bustina di Minerva" sull'ultimo "Espresso"
Umberto Eco racconta un fatto al tempo stesso esilarante e
preoccupante. In una trasmissione televisiva di quiz condotta da
Carlo Conti erano stati scelti quattro giovani e gli erano state
poste alcune domande apparentemente assai facili: in che anno Hitler
fu nominato cancelliere della Germania e quando avvenne l'incontro di
Benito Mussolini con Ezra Pound. La facilità
delle domande consisteva nel fatto che le date proposte dal
conduttore consentivano ai concorrenti risposte abbastanza sicure
perché alcune superavano largamente la morte sia di Hider sia di
Mussolini. Sicché i giovani prescelti, anche se ignoravano la
data esatta, avrebbero dovuto escludere quella decisamente
sbagliata. Invece non fu così. La risposta di una dei giovani
invitati al gioco collocò l'incontro di Mussolini e Pound nel
1964,cioè vent'anni dopo la morte del Duce.
ECO
COSÌ
COMMENTA L'ACCADUTO, registrato
su "You Tube":
«Quest'appiattimento del passato in una
nebulosa indifferenziata si è verificato in molte epoche, ma ora non
dovrebbe avere giustificazioni visto le informazioni che
anche l'utente più smandrappato può ricevere su Internet.
Evidentemente la memoria in alcuni (molti) giovani si è contratta
in un eterno presente dove tutte le vacche sono nere. Si tratta
dunque d'una malattia generazionale». Del resto lo stesso Eco
qualche settimana fa aveva segnalato che, usando attendibili
sondaggi, risultava che molti studenti universitari fossero
convinti che Aldo Moro era il capo delle Brigate Rosse. Altro che
malattia generazionale! Ma perché è accaduto questo? E perché
colpisce (o almeno così sembra) soprattutto i giovani?
Il
motivo per il quale riprendo su questa pagina le preoccupazioni di
Eco (che ovviamente condivido) segnala le cause che hanno
determinato la malattia. Eco l'attribuisce soprattutto alle
carenze della scuola, delle famiglie, dei vari centri educativi,
che non si curano della memoria. La memoria un tempo veniva
esercitata obbligatoriamente: i giovani dovevano imparare a memoria
una serie di poesie indicate dagli insegnanti. Non importava se
capissero o no il loro contenuto, im-
portava
di tenere in esercizio le mappe cerebrali dove la memoria ha la
sua sede. In seguito quest'obbligo è
stato abolito: sembrava che una memoria meccanica non servisse a
nulla e anzi fosse disdicevole. Ed ecco le tristissime conseguenze.
Osservo tuttavia che Eco considera Internet, e in generale la
memoria artificiale affidata alla tecnologia, una risorsa per
stimolare i giovani mettendo a loro disposizione una massa
enorme di informazioni. Su questo il mio pensiero differisce molto
dal suo. Secondo me, infatti, la tecnologia della memoria
artificiale è la causa prima dell'appiattimento sul presente o
almeno una delle cause principali. La conoscenza artificiale esonera
i frequentatori della Rete da ogni responsabilità: non hanno nessun
bisogno di ricordare, il clic sul computer gli fornisce ciò di cui
in quel momento hanno bisogno. C'è chi ricorda per te e tanto basta
e avanza.
Ma
c'è
di più: la possibilità di entrare in contatto, sempre attraverso il
clic, con qualunque abitante del mondo, di parlare con un
residente in Australia e, a tuo piacimento, con uno che vive nei
Caraibi o in Brasile o nel Sudafrica o a Pechino; sembra inserirti in
una folla di contatti e di compagnia. In realtà è l'opposto: ti
confina nella solitudine. Molti fruitori della Rete infatti hanno
smesso di frequentare il prossimo e restano ritirati in casa a
"navigare" sulle onde della nuova tecnologia. L'amore anche
fisico attraverso la Rete è diventato abituale per molti. Si chiama
da tempo "amore solitario" e infatti lo è.
INFINE
LA RETE HA MODIFICATO il
pensiero,
ha ridotto al minimo la parola scritta. Perfino il Papa si serve del
linguaggio "twitter" e comunica in questo modo con molti
milioni di persone con frasi che non superano i 140 caratteri.Tra il
pensiero e la parola scritta c'è
un rapporto interattivo. I
nostri
giovani leggono i giornali e i libri attraverso la Rete. Cioè
leggono notizie e cultura ridotte a poche parole. Il numero
delle parole usate è ormai al minimo e poiché tra il pensiero e il
linguaggio c'è una interazione, ne deriva che il pensiero si è
anchilosato come il linguaggio. La malattia è estremamente
preoccupante e segna un passaggio di epoca. Caro Umberto
credimi, è qualcosa di più che non una malattia generazionale.
Eugenio
Scalfari, L'Espresso, 23 gennaio 2014