Il 7 dicembre 2011 avevo esposto anche in questo blog una mia vecchia idea in merito al part time di accompagnamento alla pensione. Con acqua e sole maturano le zucche, si diceva. Un anno e mezzo dopo, il (nuovo) governo fa sua questa proposta, ma con un problema: chi paga la differenza di contributi, tra part time e tempo pieno?
Come già scrivevo, a mio parere NON deve essere lo Stato a colmare la differenza, ma invece i datori di lavoro, ai quali l'attuazione del progetto dà ventaggi intermini di produttività, flessibilità, formazione di nuovi assunti affiancati da gente con esperienza.
Ma se proprio ci fosse la necessità di un intervento statale, porrei un vincolo: che il differenziale tra lo stipendio più alto e più basso in azienda sia al massimo di 20 volte.
Infatti, le aziende sono sempre pronte a piangere miseria per ottenere incentivi e sgravi dallo Stato. Se poi questi soldi (anche miei) invece di agevolare le nuove assunzioni, andassero ad ingrassare i già lauti stipendi di dirigenti, la questione mi farebbe parecchio incavolare.
Il rapporto tra il compenso di un lavoratore dipendente e un top manager è stato nel 2012 pari a 1 a 64 nel settore del credito, 1 a 163 in campo economico. Nel 1970 era di 1 a 20.
Si tenga conto che sabato scorso ero a Firenze alla assemblea annuale di Banca Etica, dove ho appreso che il differenziale tra il Direttore Generale e l'ultimo degli impiegati in Banca Etica è di 6 (sei) volte!!!
allego il mio articolo del dicembre 2011
Giorgio Gregori
IL PART TIME PRIMA DELLA PENSIONE
di Giorgio Gregori
La
manovra sulle pensioni comporta da un lato l'aumento dell'età di
pensionamento, dall'altro l'omogeneizzazione del sistema di calcolo ,
che sarà per tutti in base ai contributi versati.
Il
primo commento che si sente dire è:”Mi tocca lavorare fino alla
morte: come si fa a godersi poi la pensione a 67-70 anni?”.
È
vero che l'età di sopravvivenza si è allungata. Ma vivere non è la
stessa cosa che sopravvivere: a 70 anni non si hanno le stesse
energie di quando se ne avevano 57/60, e vegetare dagli 80 in su,
magari in una casa di riposo, non è certo vita.
Si
tenga presente inoltre un altro fatto: il brusco distacco dalla vita
lavorativa e la vita da “pensionato”, il passare, nel bene e nel
male, da una giornata dove si trascorrono 10-12 ore fuori casa, a
contatto con i colleghi, a giornate in casa dove i contatti
lavorativi non ci sono più. Con il rischio di depressione,
solitudine, conflitti con i familiari e con lo stipendio che si
riduce almeno del 20-30%.
La
vita lavorativa è spesso totalizzante, la pensione sembra sempre
così lontana, che raramente ci si preoccupa di crearsi degli
interessi e delle attività per quando verrà il momento di lasciare.
Qual
è la mia proposta? Dare al possibilità di trasformare
consensualmente il rapporto di lavoro da tempo pieno a part time
negli ultimi anni 5-10 anni della vita lavorativa.
Cosa
intendiamo per part-time? Sono due le tipologie principali:
ORIZZONTALE
quello classico, dove viene ridotta la quantità giornaliera di
lavoro, nella maggior parte dei casi lavorando solo 5 ore al mattino.
È la forma più diffusa, utilizzata in particolare dalle
lavoratrici madri.
VERTICALE,
nel quale si sceglie di lavorare solo alcuni giorni della settimana.
Alla
base della mia proposta sta questa seconda forma, interessante sia
per l’azienda sia per il lavoratore.
Quest’ultimo
ad esempio potrebbe concordare di lavorare tre giorni alla
settimana, 9 ore al giorno.
Avremmo
in questo caso un part time di 27 ore settimanali. Vantaggi per
l'azienda: avrebbe a disposizione un lavoratore esperto che
potrebbe dare una mano nei giorni più impegnativi, laddove
servirebbe quella “persona in più” che però non viene quasi
mai concessa. Non ci sarebbe il problema delle pratiche rimaste a
metà della giornata. Il lavoratore sarebbe presente anche oltre
l’orario normale, essendo disponibile 9 ore.
Il
lavoratore avrebbe il vantaggio di lavorare tre giorni su sette ed
entrando quindi gradatamente nell’ottica di non dover lavorare
tutti i giorni, avrebbe 4 giorni la settimana da dedicare a hobby,
volontariato, viaggi, disbrigo di pratiche domestiche di solito
relegate al sabato. Avremmo un vantaggio sul traffico: per
raggiungere il luogo di lavoro si dovrebbe spostare solo tre volte la
settimana. Ovviamente rimane il rischio che qualcuno possa dedicarsi
a qualche doppio lavoro, ma lo riterrei minimale.
Come
cambierebbe lo stipendio a part time verticale?
Mettendo
in pratica l’ipotesi di cui sopra lo stipendio netto potrebbe
aggirarsi intorno al 70-75 % rispetto a quello a tempo pieno, tenuto
conto di un’eventuale riduzione dell'imponibile fiscale.
Il
lavoratore comincerebbe quindi ad abituarsi alla riduzione dello
stipendio, come se fosse già in pensione.
Ovviamente
ci sarà chi se lo potrà permettere, perché ad esempio già
proprietario della casa in cui abita,o perché non ha più carichi
familiari, e chi no.
Rimane
però il nodo dei contributi pensionistici: stante il regime
contributivo, questo lavoratore, dopo 5-10 anni di part-time, al
momento della pensione si troverebbe con un assegno ridotto.
E
qui sta il nodo della mia proposta: siano i datori di lavoro a
contribuire versando i contributi pensionistici, come se il
lavoratore fosse a tempo pieno. Questi versamenti sarebbero
sicuramente e vantaggiosamente compensati da una maggior efficienza
lavorativa.