Una
diffusa rivista di moda ha messo recentemente in copertina la foto di
una modella che indossava una pelliccia, suscitando le giuste ire
degli animalisti che hanno inviato alla direttrice valanghe di
rimproveri, insulti e minacce, il WWF fin dagli anni 60 si è
schierato contro l'uso di pellicce, soprattutto quelle di animali
selvatici predatori o maculati. Ricordo ancora un volantino, che
raffigurava un ghepardo con lo slogan «Tu spogli la natura per
vestirti», che i miei bambini, raccogliendo insulti e occhiatacce,
distribuivano in via Condotti alle signore che indossavano questi
indumenti.
Quello
che mi stupisce è che la protesta contro le pellicce non si estenda
anche a quei blue jeans consunti artificialmente con tecniche di
sabbiatura, definite sandblasting, oggi diffusissimi e
indossati con disinvoltura meglio se massacrati con orrendi tagli e
sdruciture.
lo
ho sempre odiato questi pantaloni, simbolo di un'omologazione beota,
non comodi, non eleganti ma amatissimi da tutti, dai capitani
d'industria all'ultimo scippatore. Ma l'odio mi si è acuito venendo
a sapere che, oltre ad inquinare i fiumi con il lavaggio con la
varechina, la pomice e con altri modaioli sistemi, la tecnica di
logoramento mediante getti di sabbia silicea causa la morte di
centinaia se non migliaia di operai, anche ragazzini di 13/14 anni,
condannati a morte inesorabile dalla silicosi, soprattutto in Turchia
e Indonesia. Mi chiedo se i baldi giovanotti e le simpatiche ragazze
che fingono una vita da cow boy o da pioniere del West senza
allontanarsi da casa, solo grazie ai pantaloni artificialmente
usurati, si rendano conto di quali sofferenze i loro calzoni siano
responsabili e favoriscano almeno quelle marche che garantiscono
produzioni più responsabili.
Fulco Pratesi, Panda
wwf, dicembre 2011