lunedì 17 maggio 2010

L'operaio di Shenzhen scopre un sentimento nuovo: il razzismo contro chi è più povero di lui, e disposto a tutto

Piccole storie cinesi di GIAMPAOLO VISETTI

180 EURO AL MESE
L'operaio di Shenzhen scopre un sentimento nuovo: il razzismo contro chi è più povero di lui, e disposto a tutto

L'operaio cinese sa cos'è il lavoro. Non ha però mai avuto un problema: la concorrenza. Fino a dieci anni fa i'ha tutelato l'industria di Stato, costruita dal comunismo. Poi s'è protetto da sé: nessun lavoratore al mondo costava meno di lui. Non è più così. Con il tempo, sul mondo, ci crea sempre qualcuno più conveniente del più conveniente. Il lavoratore cinese, nominato «personaggio dell'anno» da Time, scopre oggi di essere già fuori mercato. La crescita del pianeta inizia a poggiare su spalle nuove: gli immigrati dal Vietnam, da Sri Lanka, dalla Cambogia e dalle Filippine.

Migliaia di clandestini del Sudest asiatico imbottiscono le fabbriche cinesi che avvelenano il delta del fiume delle Perle. Vivono nascosti nei reparti, lavorano quindici ore al giorno, non dispongono di riposo settimanale e guadagnano cinquanta euro al mese. Sono illegali e il padrone può ingaggiarli, o cacciarli, in ogni momento. La fame di mano d'opera delia fucina del secolo è talmente vorace, che nella regione del Guangdong cominciano ad approdare anche navi cariche di africani. L'operaio cinese, da sempre sfruttato e per questo imbattibile, scopre così un sentimento nuovo: il razzismo contro chi è più povero dì lui. Negli ultimi mesi migliaia di lavoratori, emigrati dalle campagne, hanno denunciato l'invasione di stranieri attraverso i confini meridionali della Cina. Con asiatica lentezza si delinea un impressionante traffico di esseri umani. Commercianti di persone, per dieci euro, garantiscono camion di vietnamiti agli stabilimenti di Shenzhen, o alle fabbriche di Dongguan. 

Migliaia di donne seguono la corrente. La legge del figlio unico ha prodotto nella popolazione cinese un enorme squilibrio tra i sessi. Mancano alcuni milioni di femmine e assieme ai nuovi schiavi della Cina arrivano anche loro, vendute per pochi yuan ai maschi in cerca di una donna per casa. A insorgere contro «le puttane del sud» sono questa volta le giovani cinesi, che temono di perdere i pochi diritti acquisiti negli ultimi anni. Questa nuova Cina razzista, che finge di indignarsi contro lo sfruttamento di chi non è cinese, preoccupa il potere di Pechino. La convenienza della produttività nazionale resta la spina dorsale di esportazioni, crescita e stabilità. Aumentare il costo del lavoro significa esporsi al rischio di perdere qualche indispensabile punto di Pil. 
Governo e partito temono però che tra le masse degli emigrati e dei contadini cinesi, oltre 900 milioni di persone, con l'odio contro gli immigrati possa crescere anche un senso del diritto interno. Denunciare i clandestini per riguadagnare il posto di lavoro perduto, significa pulire il terreno dalla concorrenza e prepararsi a tornare indispensabili per le aziende. Lo spettro, per i nipoti di Mao, è la nascita dì un sindacato. Contro questo pericolo si è mossa la polizia. Negli ultimi due anni oltre 20mila lavoratori clandestini sono stati sorpresi alle catene di montaggio dei distretti industriali. Ogni notte pullman e camion di vietnamiti vengono bloccati lungo i 553 chilometri di confine con il Guanxì. Nel porto di Dongxing, a fine aprile, sono stati scoperti centinaia container gonfi di quasi diecimila lavoratori del Sudest, pronti per essere consegnati in Cina. Tra i duecento intermediari arrestati, qualcuno ha raccontato che nel Delta le nuove braccia strappate alla disperazione possono costare oggi anche meno di quaranta dollari al mese. L'improvviso scoppio del mercato del lavoro più stabile del mondo ha due ragioni principali. I finanziamenti governativi per lo sviluppo delle regioni cinesi dell'Ovest sta riportando milioni di emigrati nei loro villaggi contadini. A fine marzo, solo tra Dongguan e Shenzhen, le industrie hanno lamentato la mancanza di almeno tre milioni di lavoratori, non rientrati dopo le ferie. Sono poi entrate in vigore alcune leggi. Garantiscono agli operai regolari l'assicurazione, assistenza medica e risarcimento in caso di licenziamento. Dal primo maggio il salario minimo, anche in bassa stagione, è stato aumentato del 21%. L'operaio cinese, vittima ed eroe dell'Occidente sconvolto dalla propria crisi, con straordinari e festivi riesce a guadagnare fino a 180 euro al mese. Scopre però che il sogno è già un incubo: è troppo. Milioni di non cinesi più cinesi di lui sono cresciuti. E non gli resta che diventare più vietnamita del collega di Hanoi.

D la repubblica delle donne, 15 maggio 2010